Pietro
Ferrero
M
15/05/1892, Grugliasco (TO), Italia
18/12/1922, Torino (TO), Italia
Pietro Ferrero, nato a Grugliasco (TO) il 15/5/1892, di Giuseppe, operaio.
Aderisce giovanissimo all'anarchismo, diventando nel 1911, all'atto della sua fondazione, il segretario della Scuola Moderna creata dai libertari torinesi per la formazione dei militanti operai.
Esponente del Circolo di Studi Sociali della Barriera di Milano e, successivamente, tra i fondatori del Fascio Libertario Torinese, è sempre in prima fila nelle agitazioni popolari dell'epoca in cui gli anarchici hanno un ruolo di primo piano (scioperi di protesta per la condanna a morte del pedagogo libertario catalano Francisco Ferrer, agitazioni contro la guerra libica, settimana rossa, moti del 1917 contro la guerra, ecc.). Pietro Ferrero, dopo essere uscito, insieme a Maurizio Garino e altri anarchici, dal Sindacato Metallurgico aderente all'USI, che nel 1912 non era riuscito a concludere vittoriosamente un importante sciopero, aderisce alla FIOM, diventando il redattore responsabile del mensile «La Squilla», supplemento di propaganda al «Metallurgico federale». Le motivazioni alla base di questa scelta sono dovute ad una maturata concezione unitaria delle lotte operaie, per cui si reputa dannosa la divisione in sindacati diversi tra operai rivoluzionari e operai di tendenza socialista. Secondo tale teoria, il compito dei rivoluzionari deve essere quello di spingere le masse proletarie su obiettivi e parole d'ordine rivoluzionarie, agendo all'interno dello stessa organizzazione sindacale. Ferrero, guadagnandosi la stima e la fiducia degli operai, diventa subito un esponente di punta dell'organizzazione confederale dei metalmeccanici torinesi. Nel 1919 un'assemblea di commissari di reparto delle varie fabbriche metallurgiche torinesi lo elegge, a grande maggioranza, segretario della FIOM strappando la carica alla corrente riformista. Conscio della responsabilità dell'ora, egli abbandona il suo posto di lavoro, quale modesto operaio, per assumere la carica ma dichiarando, al tempo stesso, di non aspirare al ruolo di funzionario e di essere pronto, non appena la sua opera non sarebbe più stata necessaria, a riprendere il lavoro in fabbrica. E' firmatario, assieme a Maurizio Garino, del "Manifesto per il Congresso dei Consigli", pubblicato su «L'Ordine Nuovo», e tenace assertore, all'interno del movimento anarchico, delle tesi dei Consigli operai torinesi quali germe libertario della rivoluzione sociale. Notevole è il suo impegno nelle lotte operaie del biennio rosso che culminano nelle occupazioni delle fabbriche.
"La sua azione fu sempre coerente e indifferente ad ogni pericolo personale, spostandosi giorno e notte da una fabbrica all'altra, per mantenere il contatto fra gli operai armati, non esitava, dal suo posto di responsabilità, a sostenere l'azione risolutiva respingendo ogni compromesso".
Al Convegno nazionale della FIOM di Milano, difende la posizione rivoluzionaria del Consigli di fabbrica opponendosi strenuamente all'accordo D'Aragona-Giolitti per lo sgombero delle fabbriche. Anche dopo la sconfitta operaia e la restituzione delle fabbriche ai padroni, Ferrero continua instancabilmente la sua attività in difesa degli interessi del proletariato torinese. Spesso il suo nome ricorre tra gli oratori di innumerevoli meeting sia di difesa sindacale, sia contro la repressione governativa, sia contro il fascismo. La sera del 17 dicembre 1922 numerose squadre fasciste si concentrano a Torino con il pretesto di vendicare due di loro, Lucio Bazzani e Giuseppe Dresda, uccisi dal tranviere comunista Francesco Prato che aveva sparato per difendersi da un'aggressione. Il giorno seguente la strage. Quattordici morti accertati e numerosi feriti sono il bilancio delle tragiche giornate in cui i criminali in camicia nera ferirono e trucidano vigliaccamente numerosi militanti operai indifesi. Pietro Ferrero e Carlo Berruti, comunista ma "in gioventù fervente anarchico", segretario dello Sfi (Sindacato ferrovieri italiani) torinese, sono le vittime più conosciute, ma non è mai stato possibile fare il calcolo preciso degli assassinati (forse 30), poiché di molti venne fatto sparire il cadavere, e dei numerosi feriti. I fascisti si scatenano aggredendo e trucidando a sangue freddo non solo tutti coloro che sono conosciuti come sovversivi, ma anche quelli che osano protestare alla vista di tali iniquità. Ferrero, sorpreso verso mezzogiorno alla Camera del Lavoro, occupata dalle camicie nere, viene pestato a sangue con gli altri militanti sindacali presenti all'interno del locale (tra cui il deputato socialista Vincenzo Pagella), dopodiché è lasciato andare. Egli non si può allontanare da Torino perché è depositario della cassa della FIOM (£. 19.000). Dopo essere andato a casa per medicarsi le ferite, si reca alla Cassa dei Disoccupati dove deposita la somma. Poi, incurante dei rischi che corre aggirandosi per la città, dove ormai è aperta la caccia all'uomo, cerca di rintracciare il segretario della Camera del Lavoro, Giovanni Roveda, presumibilmente perché ha ancora delle consegne da dare prima di mettersi in salvo. Infine decide di andare a dare un'occhiata alla Camera del Lavoro, nella speranza che i fascisti se ne fossero andati, ma quando arriva la trova in fiamme, incendiata dalle camice nere. Riconosciuto tra la folla dei curiosi, viene nuovamente aggredito.
"Pietro Ferrero, dopo essere stato colpito ferocemente, è stato legato per i piedi ad un camion e trascinato a lungo per i viali di Torino. Il suo corpo, martirizzato, irriconoscibile, è stato abbandonato presso l'aiuola di un viale non molto distante della Camera del Lavoro".
I funerali, svoltisi nell'indifferenza generale, sanciscono la sconfitta del proletariato torinese di fronte al fascismo. Gli squadristi autori degli eccidi, godranno dell'assoluta impunità. Il ricordo di Pietro Ferrero, sarà ancora vivo durante la resistenza quando una brigata SAP torinese assumerà il suo nome.