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Intervista a Franco V.
Franco V. , operaio, nasce a Pola nel 1943. Il padre, operaio in una fabbrica cittadina, è fatto prigioniero dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943 e deportato in Germania, da dove farà poi ritorno soltanto alla fine della guerra. Parte da Pola con la motonave Toscana nel 1947 e arriva al centro raccolta profughi di La Spezia. Da qui è smistato alle Casermette di Torino, dove resta poco tempo per trasferirsi a Montanaro, dove è stato intervistato il 3 aprile 2009. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nato?
R.:"Sono nato il 19 luglio 1943 a Pola."
2) Mi può parlare della sua famiglia di origine?
R.:"Ma, guardi, mio padre lavorava nella Fabbrica Bandiere, a Pola, faceva il meccanico, e mia mamma lavorava al Pattinaggio. Il Pattinaggio era un club, pattinaggio su rotelle, dove c'era una sala da ballo, un bar annesso e tutte queste cose qui. E lavorava lì." E niente, poi mio papà e mia mamma si sono sposati prima della guerra, papà poi è stato fatto prigioniero, ma ci siamo rivisti un attimo e lui poi è sparito di nuovo per la storia della guerra, e ci siamo poi rivisti [alla] fine del '47 qui a Montanaro. Quindi mio padre io non l'ho mai visto."
3) Ho capito. Ma posso chiederle suo padre da chi e come mai è stato fatto prigioniero...
R.:" Mio papà era nell'aereonautica, era militare nell'aereonautica, ed è stato preso prigioniero nel Veneto, a Treviso mi sembra."
4) Ma questo dopo l'8 settembre?
R.:"Prima dell'8 settembre erano bloccati come caserma, poi è venuto a Pola, ci siamo visti per un giorno o due e quando i tedeschi han preso l'Istria, c'è stato il ribalton e lo han fatto prigioniero e lo han portato a Pedemunder su in Germania, e poi è stato liberato dagli inglesi a fine guerra."
5) Lei riesce a descrivermi Pola? Che tipo di città era, come se la ricorda?
R.:"Guardi, io ci vado, normalmente, due volte all'anno, tre volte all'anno. Quando lavoravo, che ero nel Veneto, andavo a dormire a Pola per non dormire a Trieste, facevo centoventi chilometri ad andare! Nella parte vecchia è rimasta quasi la stessa fino a dieci anni fa, perché non c'era ancora interesse a toccare tutto quello che era italiano: più era degrado, più andava su la Jugoslavia, no? Dopo Tito, dopo tutti i cavoli, cinque o sei anni dopo Tito, hanno incominciato ad aggiustare. Adesso direi che tolta tutta la parte che nuova che è stata fatta, come da noi, con quei palazzi da quattro soldi che deturpano più che essere belli, la città in se stessa direi che adesso è ben tenuta. E' ben tenuta, cominciano anche loro ad avere le isole pedonali come noi, e perciò vivi bene. Poi è una città di mare, e come tutte le città di mare c'è il pro e il contro. Rispetto alle altre città di mare è bella perché non ha un retro brutto come hanno, normalmente, le altre città di mare. Pola dietro ha leggermente subito una piccola collina, perciò è tutta lì, non ha da sfogare. Poi Pola è bella perché c'è tanta storia, cioè le cose belle della storia dei romani sono ancora là, dell'impero austro-ungarico ci sono ancora un mucchio di testimonianze. E' una città nella quale io - e mia moglie ride - quando arriviamo a Trieste che andiamo giù e c'è anche lei, a me mi si apre il cuore, cioè ritornano a casa mia. Poi quando arrivo là mi incazzo, perché vedo gente con la quale non ho sintonia. Io ho ancora un mio cugino che abita là a Pola, ho dei parenti che abitano in Serbia, in Bosnia: sa, le famiglie poi si dividono, si ampliano e perciò...Poi ho due sorelle qui in Italia, tutte e due a Settimo, una più vecchia e una un po' più giovane [di me], mentre i miei genitori sono mancati."
6) Da un punto di vista della composizione della popolazione, Pola com'era?
R.:"Pola era italiana".
7) E la componente di origine slava dov'era, verso l'interno?
R.:"Allora, dai miei nonni e dai miei bisnonni che io ho conosciuto tutti e due - i miei nonni, tra l'altro, sono morti qui a Montanaro - [ho saputo che] nell'interno dell'Istria si parlava già un dialetto di tendenza croata comunque, croato di base. Come in Piemonte ci sono vari dialetti, si parlava molto croato. Difatti nei vecchi documenti, specialmente quelli della chiesa, sono in latino, in italiano e in croato, tutti quanti. E ancora adesso si parla molto il dialetto, il dialetto polesano, rovignese o il fiumano, che sono quasi uguali [tra di loro], e poi c'è il croato. Il vecchio croato si parla ancora nei vecchi paesi, nei piccoli paesi dell'interno. Poi adesso c'è venuto un marasma di gente, però ancora adesso, e a me fa piacere, che vai a Pola, c'è il circolo italiano che è una bellissima cosa e dove, ai giardini, si parla ancora polesano e al mercato si parla ancora polesano. Lei va a Rovigno, e difficilmente parlano croato. A Rovigno parlano ancora polesano, cioè rovignese, che poi ha l'accento leggermente diverso. E ancora adesso io ho dei nipoti, che hanno dieci o undici anni, che vanno a scuola italiana. Comunque la componente croata era all'interno, perché i vecchi contadini, i vecchi istriani, avevano un'influenza croata. Poi, se andiamo dietro alla storia, lì ne son passati di tutti e di più!"
8) E da un punto di vista economico, Pola che città era?
R.:"Rovigno è sempre vissuta di pesca e Fabbrica Tabacchi. Pola invece è vissuta di cantieri [navali], Fabbrica Tabacchi e Fabbrica Bandiere. Cantieri Navali intesi come civili e come militari, perché c'era il siluruficio, le armi le facevano a Pola: il golfo di Pola era diviso, metà era militare e metà era civile. Scoglio Olivi c'è due isolette: dalla parte sinistra, dalla terra guardando il mare, c'è Scoglio Olivi e sulla destra invece c'era dove c'era i silurufici e lì è la zona di guerra. E dava lavoro a molta gente, era tutto lì il lavoro, fabbriche non ce n'era, praticamente."
9) Torniamo un attimo indietro nel tempo prima di arrivare a parlare dell'esodo. Posso chiederle cosa ricorda o, vista la sua età, cosa magari le hanno raccontato, del periodo fascista?
R.:"Niente, quasi niente. Io mi ricordo di un mio zio che è stato ammazzato dai partigiani, più italiani che croati. Poi lì la storia dei partigiani, di chi era partigiano e di che cos'era il partigiano è un discorso...Dalla memoria che ho io e dai discorsi dei miei familiari e dei miei parenti, a Pola come in tutta Italia erano tutti piccoli balilla. Eri iscritto per legge di natura [al partito fascista], perché in quel periodo tutti andavano a scuola, tutti avevano la tessera colò suo numero e io, per esempio, c'ho ancora le pagelle di mio papà con la tessera e col suo numero [di tessera], che ogni anno cambiavi, perché ogni anno ti ritesseravano. Eri obbligato, no. E poi quando sono nati questi partigiani, che non si capiva bene chi erano, se erano gente [che lo faceva] per vendetta, se erano delinquenti, se erano genti di un'altra fascia politica, io mi ricordo che mio zio lo hanno ammazzato a diciotto anni, solo perché era un ragazzo che andava in giro ben vestito. Sa, a diciotto anni, andavi a ballare con tutte le ragazzine che trovavano, ma allora le amicizie erano al 99, 95% di gente che era iscritta al partito fascista. Ciò non toglie che uno doveva essere fascista per forza, perché noi ad esempio se io devo parlare di fascismo non saprei neanche da dove cominciare. L'unico ricordo che io di ragazzino è dei ricordi di certe zone di Pola dell'Arena, subito dietro l'Arena, dove abitavano dei parenti, ho dei ricordi che io abitavo in Siana, dove c'erano le grosse caserme degli inglesi e dove mio papà aveva passato una parte di passaggio di prigionia strano, e io mi ricordo che camminavo avanti e indietro con dei ragazzini e con un bastone a spalla e cantavamo le canzoni di Tito, perché c'era Tito e c'erano gli inglesi e allora cantavi, da ragazzino, le due canzoni che più sentivi in giro. L'unico ricordo di Pola che ho è quello."
10) Quindi lei non ha ricordi diretti del fascismo e dei suoi comportamenti adottati nei confronti della popolazione slava...
R.:"No, anche perché i miei parenti erano tutti dei paesi interni dell'Istria. Mio nonno si chiamava B. ed era di un paese prima di Dignano, perciò... Ma poi [da noi] non si parlava mai di politica, anche perché c'era un fratello di mio papà che era nell'arma. Era nell'arma sotto l'Italia e poi è passato nell'arma sotto Tito, ha fatto tutta la trafila e poi è diventato generale. Perciò anche quando ci vedevamo in vacanza, non si parlava mai di politica. Perché poi parlane pure finché vuoi, ma tanto tutti hanno torto e tutti hanno ragione."
11) E invece lei della guerra ricorda qualcosa?
R.:"Dei bombardamenti, e mi ricordo quelle agitazioni. Anche perché io sono nato sotto un bombardamento: mia mamma stava scappando da Siana per andare a Scoglio Olivi dove c'erano i rifugi, e davanti all'ammiragliato che era in riva, una bomba è scoppiata lì in mare e mia mamma è caduta e l'anno ricoverata all'ospedale dell'Ammiragliato e io sono nato lì quel giorno. Il 19 luglio del 1943 c'è stato un bombardamento a Pola, perciò mi ricordo quello. Io posso poi ricordarmi, perché mi è rimasto in un angolo del cervello, un cassettino, qualcosa dell'agitazione, ma niente di più."
12) Ad esempio?
R.:"Mi ricordo che correvo con mia sorella in mezzo alle rovine, questo si, che poi mia sorella è caduta e si è rovinata il braccio con un collo di bottiglia rotto. Però di guerra proprio no, non mi ricordo assolutamente."
13) E i tedeschi lei se li ricorda?
R.:"No, niente, zero assoluto. Penso di non averne mai visto uno. Mi ricordo invece qualcosa degli inglesi, mi ricordo che c'era la fanfara e che avevano i gonnellini, però ho un vago ricordo. E passavano con la fanfara e noi, ragazzini, [gli] andavamo dietro, facendo le cose che può fare un ragazzino di quattro anni. Cioè, ti rimane qualcosa in qualche cassetto che ogni tanto, stranamente, emerge, però è molto labile."
14) Prima mi ha raccontato di un triste episodio accaduto a un suo zio. Non so se volesse riferirsi alle foibe. Le chiedo, comunque, quando ha iniziato a sentire parlare delle foibe e in che termini...
R.:"Io delle foibe ne ho sentito parlare, cioè ne ho sentito parlare perché mio zio è stato infoibato, prima di tutto. Il fratello di questo mio zio che hanno infoibato subito, è morto nel 1944-1945, quando son nato io, perché mi ricordo che mia mamma mi diceva che giocava con me ed è sepolto qui a Montanaro, abbiamo portato le ossa qui a Montanaro. E l'hanno infoibato e quello stesso giorno hanno preso anche un mio zio che ha cambiato ilo cognome in B., che sua moglie è ancora viva in via Genova, a Torino. Lui era autista del federale, e l'avevano preso anche lui lo stesso giorno, ma lui si è salvato perché si era nascosto tra la cabina e il telone del camion, e hanno infoibato tutti quanti. E li hanno infoibati a Pisino. Questo lo so perché sono andato anche a visitare queste foibe: io quando vado giù ogni tanto faccio il mio giro di visite, ma è più il fastidio che mi danno che altro, perché vedere la cosa abbandonata - sa in centro Istria, lei sarà andato, ci sono molti paesi in stile veneziano abbandonati - ti dà fastidio. Cioè, ti dà fastidio vedere certe cose in certe condizioni, poi ognuno la pensa alla sua maniera."
15) Ritornando alle vicende della sua famiglia. Questi suoi due zii come son stai presi?
R.:"Sono arrivati a casa, li han presi e li han portati via tutti e due. Adesso io ammetto quello che era autista del federale perché potevi dire che sei fascista perché l'altro era fascista - poteva anche essere fascista per quel che ne so io, per carità -, ma l'altro mio zio era un ragazzino di diciotto anni. E i diciotto anni di allora non sono i diciotto anni di adesso, allora a diciotto anni eri un bambino, adesso sei un uomo. Poi è ciclica la cosa, però non posso dire che e come. Non mi ricordo neanche di aver visto dei fascisti, o delle ronde o dei partigiani. Mi ricordo di quello che raccontava mamma che ogni tanto si nascondevano e si chiudevano in casa perché, specialmente nell'ultimo periodo quando i titini erano proprio attorno a Pola e gli infiltrati già erano dentro, già venivano ad occuparti le case quando noi aspettavamo il Toscana per venire via come ultimi, quei periodi sono stati periodi di terrore, proprio. Di paura, perché di vita ce n'è una sola, e in quei momenti lì a farti fuori non ci mettevano niente."
16) Quindi diciamo che c'era la percezione della gente che spariva...
R.:"Si, si, io ho anche un pezzo di giornale, dell'Arena, di quel periodo lì - li ho a Settimo da mia sorella - che spiegavano di questo. Poi ho anche tanti libri, cioè quando stavo via per lavoro due o tre giorni, andavo a Trieste all'associazione degli esuli e prendevi un libro e lo leggevi. Che poi dopo due o tre libri di dà fastidio, perché rivanghi sempre le stesse cose. Poi a seconda di chi le scrive e del periodo in cui le scrive: c'è chi scrive tutto da una parte e chi scrive tutto dall'altra, rarissimi scrivono al centro. Rarissimi scrivono la verità, perché tutti sono o finanziati o spinti da qualche associazione."
17) Ho capito. Senta, parliamo ora dell'esodo. Lei che ricordi ha del suo viaggio?
R.:" Mi ricordo quando siamo partiti che faceva un freddo cane, che c'era la neve. Mi ricordo che avevamo un freddo della Madonna. [Dei ricordi] del viaggio dell'esodo, io c'ho il viaggio sulla nave e del freddo che ho patito. E poi ho il ricordo a Bologna su un treno che eravamo fermi, dove non ci lasciavano scendere perché c'erano le cosiddette squadre rosse di Bologna che non ti lasciavano scendere perché noi per loro eravamo fascisti. E poi da lì siamo andati a La Spezia."
18) Questo, se non le spiace lo vediamo dopo. Posso chiederle quando parte?
R.:"Mi sembra che siamo partiti a febbraio del 1947. Siamo partiti con gli stracci e un pezzo di corda, e via. E abbiam lasciato tutto quello che uno poteva avere e non avere, i ricordi e quelle robe lì, come tutti quanti. Io non penso che i miei - almeno, a detta dei miei - avessero dei capitali giù: avevamo una casa che abbiamo perso, come tutti quanti, e basta. Siamo partiti col Toscana. Ma io [del viaggio] ricordo poco, anche perché mia mamma mi diceva che in quei giorni io ero sballottato a destra e a sinistra. Mia sorella, forse, si ricorda di più. Anche perché noi abbiamo fatto questo viaggio e poi siamo corsi dietro a mio padre, mio padre [è corso] dietro a noi, ma non ci siamo trovati, allora i treni non si pagavano perché dal Vaticano ti facevano una tessera anche per girare e noi come profughi avevamo [questi aiuti]. Poi specialmente mio papà, essendo [stato] prigioniero [di guerra] c'era questa associazione che faceva queste cose. E mio papà lo abbiamo cercato, lui cercava noi, ma in quei periodi era strano, lui non sapeva neanche che noi eravamo arrivati qua in Piemonte."
19) Lei ricorda, oppure le hanno raccontato, com'era Pola nei giorni dell'esodo?
R.:"[Era una città] che si svuotava e di caos, e c'era addirittura qualcuno che rompeva la roba per non lasciarla ai titini. E del resto non puoi neanche farle torto, perché lasci casa tua, lasci la tua terra. E secondo me questa cosa bisogna provarla, o la senti dentro o solo raccontarla non è che rendi [l'idea]. Si svuotava, e mi ricordo che mamma diceva che era una città che moriva. Questo mi ha fatto impressione. Che poi son tornato tanti anni dopo, e i miei parenti, quelli che son rimasti là, abitavano nelle vecchie case italiane che erano le uniche che non avevano diritto ad essere messe a posto e riparate. E mamma mi diceva, appunto, è una città che sta morendo, era tutta morta Pola. Che poi non è mai stata tanto bombardata come città, se non le parti di produzione. C'era tantissima gente che partiva, che poi mi sembra che siano partiti 700.000 o 800.000 da tutta l'Istria [sic!], che poi i numeri, da 300 a un milione, non so. So che Pola era 30.000 persone s on partiti il 90%. Io non posso dirle quanti son partiti, posso però dirle che son rimaste 300 famiglia, 250 famiglie."
20) Abbiamo parlato dell'esodo. Ecco, secondo lei, perché la gente che è andata via ha deciso di fare questa scelta? Quali sono stati i motivi che hanno spinto, ad esempio anche la sua famiglia, a partire?
R.:"Ma, secondo me, di base, è stata la paura di quello che sentivi in funzione di quello che i cosiddetti titini stavano facendo nella parte da Zara in su. Come le voci dei fascisti che circolavano di quello che facevano e di quello che poi effettivamente hanno fatto. Perciò lì secondo me la bilancia a seconda di che parte tira il vento pesa."
21) E che voci circolavano sui titini?
R.:"Io avevo una zia che era titina, era delle brigate, perciò la vedevamo: lei ogni tanto veniva a Pola e poi ripartiva. Loro, di primo acchito...Cioè per loro, di primo acchito, tutti quelli che erano italiani erano fascisti, perciò li facevi fuori. O eri comunista, cioè i primi comunisti, e ti schieravi dalla loro parte - e tanti sappiamo la fine che hanno fatto, cioè i 3.000 [di Monfalcone] che sono andati [a Goli Otok] - e perciò io penso che lì ognuno tira l'acqua al suo mulino. Io so comunque di racconti di gente che dicono che loro hanno fatto cose sporche, come penso abbiano fatto anche abbastanza cose sporche gli altri. Perciò non saprei a chi dare la colpa. Io la colpa grossa la do ai nostri politici che sono stati incapaci di puntare i piedi e di fermare tutto quanto a Fiume invece che farli arrivare fino a Trieste. Che se poi qualcuno non diceva basta arrivavano fino a Padova o a Venezia!"
22) Quindi, se non ho capito male, una delle maggiori motivazioni che spinge alla partenza è secondo lei la paura?
R.:"Una parte la paura. Poi mio papà era un democristiano di suo, perciò lui non è mai stato fascista. Era un democristiano di suo, perciò lui era anticomunista. Suo fratello era comunista, gli altri due fratelli e infatti loro sono rimasti là. Altri due fratelli [invece] son venuti via: uno è andato in Australia e invece noi siam venuti qua in Italia. Cioè, di principio era l'ideologia politica: o sei legato a loro, o non sei legato a loro. Noi anche, di seconda motivazione, eravamo nati italiani, ed è difficile per uno che è nato in una nazione dire da domani mattina sono di un'altra nazione. Non so quanto [sia possibile]: poi c'è chi ritiene a queste cose e chi ci tiene meno. Questa è una mia idea, naturalmente."
23) Ho capito, forse anche perché quello che sarebbe arrivato con la Jugoslavia era un mondo nuovo, che forse non si era del tutto preparati ad accettare...
R.:"Sa, era un mondo nuovo, ma era anche - e questa è una cosa che non bisognerebbe dire - un mondo di barbari, nel senso che era un mondo di ignoranza che veniva su allo sbaraglio. Difatti li hanno trascinati da tutta la Jugoslavia e del resto noi sappiamo che la Jugoslavia o la ex Jugoslavia è una confluenza di uno scarto d'Europa."
24) Ecco, e a questo proposito mi sembra che ci sia un termine dialettale molto preciso per identificare le persone di origine slava. Mi riferisco al termine s'ciavi, s'ciavoni...
R.:"Si, s'ciavi era proprio un termine per dividere l'italiano e il croato che arrivava dall'interno. Ma non era proprio dispregiativo. S'ciavo era un modo di dire, come per dire io sono piemontese, torinese, e tu sei di Montanaro. T'ses 'n barot! Era la stessa cosa, non era un discorso di s'ciavi o s'ciavoni, il discorso è che le orde di Tito era un'accozzaglia di gente che aveva a capo gente sicuramente intelligente e tutto quello che vuole, però era gente di un'ignoranza e di una barbarie abbastanza pronunciata. Anche perché abbiamo visto che noi come Italia dopo la guerra ci siamo ripresi in pochi anni, loro [invece] ci hanno messo vent'anni! C'era l'incapacità, cioè era un'accozzaglia di gente. Cioè, di base, uno è venuto via un 25% per idea politica e un 75% perché era italiano."
25) E se io le ribaltassi la domanda, chiedendole invece secondo lei chi è rimasto per quale motivo lo ha fatto?
R.:"Per scelta politica, secondo me. Da quello che so io, da quelli che conosco io sia a Pisino, ad Albona, che io ho per lo meno dieci parenti che abitano in Istria, a Rovigno stessa, che [sono rimasti] secondo me per scelta politica, o per influenza che qualcuno della famiglia faceva parte della fascia di partigiani che non era né carne né pesce in quel periodo. Non sapevano da che parte stare: erano quelli che erano contro il fascismo - per carità di dio, tutto quanto era lecito - perciò non sapevano da che parte stare, e hanno scelto, hanno optato per una [parte], cioè come noi abbiamo optato per una parte, loro hanno optato per l'altra. Poi non voglio sindacare su questa scelta."
26) Lei mi diceva di essere partito col Toscana. Poi cosa succede?
R.:"Eh, non mi ricordo...Io mi ricordo solo di Bologna che avevo fame e sete e non ci lasciavano scendere da questo treno e poi so che ci tiravano della roba, mi ricordo una cosa del genere. Mamma poi mi aveva fatto leggere su un libro, che avevano scritto persino qualcosa èsu questo episodio], ma non saprei dire. Non lo so, i polesano che erano venuti qua, cioè quelli che erano lì [sul treno] la chiamavano [riferendosi a queste persone] la banda della piccola Russia. Però, più di tanto, guardi non è che mi [ricordi]. Poi so che ho rivisto il mare, perciò dovevamo essere dalla parte del Tirreno e poi mi ricordo delle Casermette. Se non sbaglio noi siamo arrivati ad Ancona. Se non sbaglio, perché poi mi ricordo questo treno. E poi mi ricordo che siamo stati da qualche parte e poi mi ricordo bene le Casermette, perché c'erano un mucchio di bambini. E mi ricordo che c'erano questi cameroni con le coperte stese che facevano le stanze."
27) E prima mi parlava di La Spezia?
R.:"Si, che lì siamo stati poco noi, perché mio zio - quello che si era slavato [dalle foibe] - voleva andare in America, il fratello di mio papà voleva invece andare in Australia. E invece non siamo andati né in Amrica né in Austrailia, e con questo mio zio e la famiglia siamo venuti a Montanaro. E siamo stati lì [a La Spezia] qualche giorno, ma pochissimo, e poi ci hanno portato alle Casermette di Torino, e alle Casermette siamo stati un giorno , un giorno e mezzo."
28) E qual è il suo primo ricordo delle Casermette?
R.:"Tanti bambini. Tanti bambini e delle coperte, e poi che c'era tanto rumore. Solo quello ricordo, sa, da ragazzino giocavi... Magari non so, può darsi che siamo arrivati, ci hanno dato qualcosa da mangiare, e io ero la persona più contenta del mondo! E poi mi ricordo che è arrivata una richiesta, un'ordinanza o una disponibilità per delle famiglie in un paese che si chiamava Montanaro, e mi ricordo che mamma diceva, in dialetto: piuttosto che stare qua coi pedoci, 'ndemo via! Perché allora la pulizia era quella che era, i tempi erano quelli che erano, non diamo colpa a nessuno, e siamo venuti in questo paese [a Montanaro], che non sapevamo dov'era, comunque. Come penso che non sapevano dov'era Pinerolo chi è andato a Pinerolo. Cioè, abbiamo preso questo camion, siamo venuti a Montanaro e ci han dato il posto in comune. Però in comune c'era il posto solo per una famiglia, e allora la prima settimana - quindici giorni, noi siamo andati ad abitare - guardi il destino - nella cascina della nonna di mia moglie che era oltre la ferrovia. E poi siamo andati ad abitare in comune e abbiamo fatto tutta la nostra bella trafila."
29) In comune dove?
R.:"Cioè, dove c'è il comune adesso, all'ultimo piano c'erano delle stanze vuote e ci avevano messo lì. E siamo stati lì noi come profughi, e poi c'erano degli sfollati di Torino anche."
30) E quante famiglie giuliane eravate?
R.:"Lì al comune due, la nostra e quella di mio zio. Poi a Montanari c'era i Di B., c'era i C., e poi c'erano i R.. Quelle sono le cinque famiglie di Montanaro. Nella cascina c'eravamo solo noi come famiglia, c'era una camera e stavamo lì, gli altri erano invece distribuiti un po' qua e un po' là."
31) E come mai siete finiti a Montanaro?
R.:"Eh, per quello: è arrivata questa disponibilità - chiamiamola così - di tot famiglie a Montanaro, e a Montanaro noi siamo arrivati. Siamo arrivati, penso, nella primavera, tra una cosa e l'altra. A inizio primavera. Adesso onestamente non mi ricordo."
32) Posso chiederle come siete stati accolti qui a Montanaro?
R.:"Ma, guardi, subito subito ci chiamavano zingari, e questo è durato un bell'annetto. Perché a Montanaro noi eravamo la prima famiglia, anzi le prime due famiglie, non piemontesi, non di Montanaro. Qua di non piemontesi non ce n'era proprio. E infatti i R. sono arrivati qualche mese dopo, o un anno [dopo], perché sono stati più alle Casermette, loro. E noi eravamo come zingari, cioè ci chiamavano zingari perché arrivavamo da là, perché non eravamo italiani e poi perché allora c'era il discorso dei partigiani e allora noi eravamo fascisti. Già, sa com'è, ma bisogna viverle queste cose, no? E penso che abbiano sofferto più i miei che io e mia sorella, perché noi eravamo bambini. Io mi ricordo comunque che quando siamo arrivati qua - io avevo quattro anni e mezzo - siamo andati all'asilo prima di andare a scuola. E l'asilo a Montanaro era gestito dalle suore. E so che mia mamma ci teneva sempre ben vestiti nel senso che ci rivoltava il tessuto avanti e indietro per essere [ordinati]. E per quello la gente a Montanaro diceva: ecco, i figli di M. - perché mia mamma la chiamavano così - son sempre a posto! E allora siamo andati a questo asilo io e mio cugino, che abbiamo la stessa età, abbiamo dieci giorni di differenza, e siamo andati a questo asilo alle otto o alle nove del mattino, e dopo un'ora eravamo già a casa. Le suore ci avevano già portato a casa. Ci avevano portato a casa perché le suore avevano detto a mia mamma: guardi, signora, noi non possiamo tenere questi ragazzi, perché sono maleducati e parlano male. E mia mamma è caduta un po' dalle nuvole, no? Fa, ma cosa è successo? Eh, sa, cominciano a insultare tutti i ragazzini, perché agli altri bambini le dicono picio e picia, e sa, non sono cose belle. E noi [invece] eravamo di dialetto,. Perché bambino e bambina in Istria si dice picio e picia. E qua c'era ancora quella mentalità, d'altronde torniamo indietro di sessant'anni, ragazzi! E mamma ha accettato tutto. Sta di fatto che mio papà era poi quell'uomo di fatica che andava a lavorare al monastero delle suore in cambio di un pezzo di pane o di un po' di verdura per mangiare. E siamo stati poi bene accettati anche qui a Montanaro, dove siamo stati fino al '56 - mi sembra - e poi siamo andati ad abitare a Settimo."
33) Qui a Montanaro voi, in quanto profughi, avevate dell'assistenza, vi venivano offerti dei sussidi?
R.:"Che sappia io no. Mio papà so che avrebbe dovuto andare a Torino a prendere dei pacchi dell'ECA, o un nome del genere, ma non ha mai voluto, perché ha detto che lui era orgoglioso e voleva fare tutto con le sue mani. E difatti non ha mai fatto domanda di entrare - che aveva lui, come avevo io dei punteggi in più per essere assunti - in enti statali o regionali. E papà ci aveva già inculcato questa cosa fin da bambini: una cosa ce l'hai se tu ce la fai, se no niente. Poi papà è andato a lavorare alla Fiat nel '56 o nel '57. Ha cominciato ad andare a lavorare alla Fiat, e lì ha fatto la sua vita."
34) E quando era a Montanaro che lavoro faceva?
R.:"Ma, il papà ha lavorato i primi due anni o tre anni ha lavorato un po' per il comune, per i contadini faceva il pane a un panettiere...Sa, nel dopoguerra facevi un po' quel che potevi. Poi c'erano delle officine meccaniche qui a Chivasso e andava un po' lì e poi è andato alla Fiat. Ma no, mi sembra che sia andato alla Fiat nel '49 o nel '50...Ma no, è andato alla Fiat nel '49. Lavorava a Mirafiori, e andava a lavorare in bicicletta, che c'era il vecchio messo comunale di Montanaro che le prestava una bicicletta, e andava in bicicletta da qua a Mirafiori."
35) E la Fiat cosa voleva dire, cosa significava?
R.:"Voleva dire Fiat, voleva dire lavoro. A parte che poi nel '49-'50 lavoro ce n'era per tutti. Io - più o meno - ho incominciato a lavorare nel '60 e lavoro ce n'era da far schifo. Cioè, tu non facevi in tempo a mettere il piede fuori dalla ditta che qualcuno ti chiedeva di rientrare dall'altra porta, perché c'era tanto, tanto lavoro a quei tempi lì. Poi bastava essere capaci a fare qualcosa, voler fare qualcosa."
36) Mi ha detto che l'accoglienza nei vostri confronti, almeno inizialmente, non è stata delle migliori. Posso chiederle come avete fatto a integrarvi e se questa situazione si è protratta per molto tempo?
R.:"No, no assolutamente. La storia di dire zingari, è stato un discorso di entrata che non sapevano forse neanche loro che cosa volesse dire. Perché come siamo arrivati, c'era il manifesto in comune per dire chi eravamo, che arrivavamo e il perché e il per come. Entriamo anche nella mentalità del montanarese, del piemontese e specialmente di Montanaro, quindi di un paese che aveva una collettività molto chiusa, ognuno per sé. E ancora adesso, se uno va nelle case di alcuni contadini è difficile entrare! Perciò io non dico niente contro questa gente, anzi. Specialmente mamma, dopo il primo mese che eravamo qua, con certe famiglie ha cominciato a legare, e ancora adesso, quando mamma è morta, gente di Montanaro son venuti ai funerali, ancora adesso parlano dei miei. Cioè, hanno seminato bene, perché di ceppo eravamo onesti, eravamo chiari, eravamo sinceri."
37) C'erano comunque un po' di stereotipi nei vostri confronti, come ad esempio quello di essere fascisti...
R.:"Eh, ma questo era il tetto del paese. Cioè, tu arrivavi da una zona che il giornale italiano o la radio italiana [indicava come quella] dove i fascisti hanno fatto più danni. E dove i fascisti hanno fatto più danni è da Zara in su. Perciò noi essendo l'ultimo posto dove tutti quanti sono arrivati e poi da lì ci hanno mandati via, tutta la feccia era lì, secondo loro. Poi, certo, dipende sempre da chi spinge la cosa."
38) Secondo lei gli italiani allora avevano una vaga idea di quello che vi stava accadendo?
R.:"non ce l'ha ancora adesso. Io adesso parlo con dei miei amici - e io ho degli amici che sono di centro-destra e degli amici che sono di centro-sinistra - e specialmente una coppia di centro sinistra fino a quattro o cinque anni fa, non sapeva cosa fossero le foibe. Le foibe sono state conosciute da una certa parte della sinistra solo dopo il discorso ribellione di Pansa. E allora c'è stata una presa di posizione su questa cosa, che poi bisogna sempre vedere chi le presenta, perché se noi andiamo nel Goriziano e andiamo a comprare dei libri che io ho letto, c'è chi il partigiano lo dipinge di verde, chi di bianco, chi di rosso e chi di blu. E allora... Ma nessuno aveva idea... Noi siamo scappati... Secondo loro noi siamo scappati, non siamo stati spinti [ad andare via]. E poi noi non eravamo italiani, perché noi eravamo jugoslavi. E non puoi farci una colpa, no?!"
39) Quindi l'integrazione è poi avvenuta....
R.:"Io dico che poi è andata abbastanza bene. Io ho vissuto a Montanaro, la prima media l'ho fatta poi a Torino, però abitavo ancora a Montanaro e andavo giù in treno, poi sono andato ad abitare a Settimo e poi son ritornato e mi son sposato a Montanaro."
40) E da bambino a Montanaro come passava il suo tempo libero?
R.:"Sa, il tempo libero di Montanaro...Era un paesino e giocavi con le bandi di rione, c'erano le bande, le compagnie, i gruppi. Rione contro rione, quelle giocate. Poi si andava a scuola, e la scuola era diversa, la scuola ti univa, c'erano degli intrallazzi: io sono più bravo in questo, perciò ti faccio questo ma tu mi dai un pezzo di salame perché il contadino aveva sempre più da mangiare. E c'erano questi scambi di ragazzini... La solita vita che fanno tutti i ragazzini: non eri messo da parte perché eri rosso, giallo o nero, no. Ero additato all'inizio, però poi i bambini dimenticano molto in fretta. Invece i grandi hanno più rancore."
41) Lei mi dice che torna spesso a Pola. Ne ha nostalgia?
R.:"Io direi che se tornasse Italia ci andrei subito. Cioè, premetto. I miei nonni abitavano a Veruna e la casa della mia famiglia era su una roccia sul mare. E mi ricordo che mio nonno mi buttava nell'acqua dalla finestra della stanza, perciò il mare ce l'ho nel sangue. Poi i profumi della pineta e della zona... E se lei va giù e non fa la strada la Y nuova [si riferisce alla nuova superstrada che collega Pola a Trieste], e fa la litoranea op la vecchia strada, è una spettacolo di odori. La terra è diversa, io sotto c'ho una bottiglia di terra. Dopo il matrimonio, perciò trentacinque anni fa, ho portato mia suocera in Istria, ed è rimasta impressionata da questa terra rossa che c'è, ed è diversa. Che poi la roba è buona la come qua, non è che cambia, però è il modo diverso di vedere, è il modo diverso di sentire i profumi. Cioè, io andrei subito, non ci fossero tutto questo marasma di razze. Il perché non lo so neanche io. Vuoi perché io capisco il croato ma non lo parlo, vuoi perché per lavoro ho avuto abbastanza a che fare con quella gente. Vede, noi italiani dicono che siamo dei banditi, ma mi sa che tutti quelli che sono attorno a noi sono più banditi di noi. Loro è una razza di gente che a livello di comunicazione è molto peggiore di noi. Poi, per carità, io sono nato lì, e allora quando vado giù io vado in riva, vado all'arena, vado alla chiesa di Sant'Antonio, vado alla marina, o al castello o al comune di Pola. Sono quei posti classici dove vado, e dove sento il profumo della mia terra."
42) Però lei ha sposato una signora di qua...
R.:"Si, piemontese di generazioni. L'ho conosciuta che avevo già fatto il militare, venivo a ballare a Montanaro da anni, io. Perché come tutti i giovani una volta, non come voi oggi...Io vivevo a Settimo, e quelli di Settimo venivano a ballare a Montanaro, a Cigliano, a Verolengo, a Gassino, avevamo le nostre zone. Perciò. Poi si girava, con una macchina si andavi in dieci, finché stavi, i tempi erano diversi. E si veniva a ballare a Montanaro e perciò si conosceva. E poi finalmente un bel giorno ci siamo conosciuti, abbiam cominciato a ballare e poi l'amore è cieco!"
43) Posso chiederle che lavoro ha fatto?
R.:"Guardi, io ho fatto l'operaio metalmeccanico da sempre. Ho fatto la mia bella trafila da apprendista, operaio e poi sono andato a lavorare in una ditta a Leinì, la ditta Revelli, dove facevamo macchinari per gomma e roba del genere e dopo abbiam cominciato a fare roba per il nucleare nel periodo del nucleare e poi io son diventato, negli ultimi dieci anni, responsabile di produzione nel settore aerospaziale dell'azienda, e poi sono andato in pensione."
44) Le chiedo solo più un'ultima cosa che ho dimenticato di chiederle prima: lei di Vergarolla ricorda qualcosa, le hanno raccontato qualcosa?
R.:"Di Vergarolla so la storia dell'eccidio, mamma ha perso due amiche. Mi ricordo che era un sabato o una domenica, e sono andato a vedere, perché non potevi andare fino a quindici anni fa lì, perché era zona militare. Sono andato a vedere e finché mia mamma era ancora viva mi ha raccontato e tutto quanto."
45) E cosa le ha raccontato?
R.:"Di questa cosa della spiaggia e della gente che è stata ammazzata per niente, perché poi è stato un colpo di testa di qualche fanatico. Però mamma era già di carattere e anche mio papà di non parlare male di nessuno. E poi mio papà parlava pochissimo: io difatti della prigionia di mio papà so solo di quel poco che sono riuscito a carpire da mia mamma, se no è lui] non ha mai, mai parlato. Io scopro delle lettere di mio padre ogni tanto: apro delle buste e dentro - mio padre era molto ordinato - c'è ancora delle lettere che scriveva a mia mamma e raccontava della prigionia e allora io riesco a sapere qualcosa. Poi mi da fastidio, e allora ne leggo un pezzo e poi ci penso. Comunque abbiamo fatto una vita bella e brutta come tutti e se uno ha voglia di tirarsi su i pantaloni, ce n'è per tutti!".
03/04/2009;
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