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"Partono da Pola", «L'Eco del Chisone», 15 febbraio 1947
Riproduzione dattiloscritta dell'articolo "Partono da Pola", pubblicato in «L'Eco del Chisone» Settimanale cattolico di Pinerolo il 15 febbraio 1947.
Si è scritto tanto in questi giorni sui quotidiani dell'una e dell'altra sponda sul problema giuliano.
E' giusto e doveroso che anche noi spendiamo qualche riga, tanto più che è un problema che ci interessa oramai da vicino.
Li abbiamo in casa, nella nostra città, ospiti attesi, ben visti, circondati di attenzioni e di premure.
A noi interessa tanto il lato politico, quanto piuttosto il lato umano e cristiano del problema.
Per noi sono fratelli vittime delle ingiustizie di un trattato di pace firmato ma non accettato; sono cristiani senza tetto e senza lavoro, sono bimbi senza pane, vecchi senza sostegno.
Sono cattolici che hanno deciso di rimanere cattolici, e Italiani che hanno deciso di inchinarsi solo e sempre davanti al Tricolore.
Avete ragione: sono dei fuggitivi, ma non dei vili., dei senza tetto, ma non dei disertori.
Hanno avuto paura: paura di Tito e del suo governo. Ma non sono dei codardi.
Hanno avuto fiducia nell'Italia e negli Italiani. Per questo hanno abbandonato tutto: case, poderi, campi, negozi, porti, barche, città, arnesi di lavoro, masserizie e le culle degli ultimi nati.
E si trascinano dietro anche i morti, racchiusi in casse rudimentali con tavole diseguali piallate male.
I morti non si portano solo nel cuore: bisogna poter salire qualche volta ad un cimitero per recitare una preghiera e riprendere cammino.
Sono partiti piangendo in cerca di un po' di pace: hanno preso un nome nuovo nella patria: sono i profughi, e tutti hanno di loro compassione.
Arrivano con gli occhi pieni di lacrime e di sonno, e la prima parola che dicono è : grazie, grazie!
Grazie per trovarsi sul suolo della Patria, sotto il Tricolore; grazie per un sorriso e per un'arancia, per una parola di bontà e per un pagliericcio. Grazie perché abbiamo capito il loro gesto ed apprezzato il loro sacrificio.
Nelle città di passaggio o nelle stazioni, trovano ovunque un posto di ristoro, una caserma senza vetri dove distendere un materasso e posare una valigia, dondolare un bimbo che, avviticchiato al collo della mamma, piange di freddo e non regge aperti gli occhi.
E sanno chi ha preparato loro il posto e chi dà loro il primo pezzo di pane e un po' di legname per scaldarsi.
Domani verrà anche per loro una cameretta decente e un posto di lavoro per il papà. La sposa riprenderà la borsa della spesa e, giorno per giorno una scodella, un piatto, un cucchiaio ritornerà sul tavolo di cucina, mentre i camion porteranno le poche masserizie salvate da Trieste e da Venezia.
Saranno allora giornate di rinnovata primavera, nell'aria e nei cuori dei nostri fratelli di Pola italiana.
15/02/1947;
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