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"Con i profughi di Pola", «L'Unione Monregalese», 22 marzo 1947
Riproduzione digitalizzata dell'articolo "Con i profughi di Pola", pubblicato su «L'Unione Monregalese» il 22 marzo 1947.
Siamo stati a visitare le famiglie dei profughi di Pola.
Troviamo due famiglie alloggiate in tre stanze; c'è attorno il disordine che prelude alla prima faticosa sistemazione. I mobili sono appena arrivati: si cerca di sopperire alle prime necessità.
"Buona sera, venga, venga". Ci accolgono con molta cortesia: è gente duramente provata, ma non avvilita. Fiera e dignitosa esprime dagli occhi vivaci, dalla parlata sciolta e con un gestire misurato, il dolore di un abbandono; ma non ha sul labbro né maledizioni, né si attarda in inutili recriminazioni.
Cuori saldi, cristiani e italiani. "Perchè siete venuti via da Pola? Non si stava dunque bene sotto Tito?" E' una domanda qualunque, per invitarli a dire. "Ah! Vengono via tutti: 31.000 su 35.000. E' impossibile rimanere". Risponde prontamente una mamma che si stringe attorno le due figliolette, mentre il papà ci fa accomodare. "Vede, è gente senza religione, hanno cambiato tutto; proprio i dieic comandamenti hanno cambiato. Dicevano che non c'è più bisogno di sposarsi...! Alla Madonna del Rosario, lo scorso ottobre, hanno fatto per urla una processione sacrilega. Quando venne il vescovo per la cresima, organizzarono un ballo sulla porta della chiesa ed il vescovo dovette uscire alla chetichella ed andarsene per la campagna. Sante che cose? E non le dico le cose più orribili. Vuol credere che sono giunti ad insudicia perfino gli altari? "
La donna narra pacatamente ancora: "Portiamo via tutto da Pola. La statua di Cesra Auguto, la Lupa Romana...avremmo voluto portare con noi anche l'Arena....Il treno che ci condusse a Venezia portava 150 casse da morto: i nostri morti non devono rimanere con quei barbari! Lei vedesse che scene strazianti all'imbarco! Addio Pola - grida la gente - in che mani resti!" E quelli che rimangono? Domandiamo alla donna che svela un'intensa e profonda commozione.
"Quelli che rimangono staranno peggi di noi . Anche nella zona B vengono via . Ma ora è chiusa la rontiera, e chi vuole uscire deve arrischiare la vita . Vengono via anche i croati, nessuno vuole stare sotto Tito. Chi passa al posto di blocco è fregato, non gli si lascia nulla. Un vestito appena; si accertano che neppure si abbiano due indumenti uguali! Non hanno rispetto per nessuno: uomini e donne, vecci o ragazzi . Una volta hanno arrestato anche il vescovo. Vuol sapere qual è la civiltà di Tito? L'abbiamo conosciuta nei 40 giorni di occupazione. Vennero, rubarono macchine, denaro, mobili. Invasero l'ospedale e ne scacciarono i medici, perché (dicevano) erano fascisti! Proposero alla direzione dell'ospedale iloro caporali; gente arretrata di un secolo rispetto agli italiani. Si immagini che quando dovettero andarsene , per evitare la noia di portar fiale, flaconi barattoli, ecc., misero tutto in una damigiana e se ne andarono beati: lì c'era il concentrato di ogni medicina!"
La donna ha narrato sempre dignitosa; soffre cristianamente, e cristianamente dice grazie al papa che, attraverso la Pontificia Commissione di Assistenza, ha inviato soccorso e trovato una nuova terra ospitale.
Siamo ora alla Caserma del Carretto: vi sono alloggiate due famiglie con sei bambini . La Commissione Pontificia, che ha procurato loro il vitto in questi giorni di sosta, ha pure provveduto a far ospitar tre bambine presso le suore Francescane.
"Come vi trovate?" "Come vede abbastanza bene, grazie alla carità di tante buone persone. Siamo venuti qua perché siamo uomini italiani e cristiani. Sotto Tito rimangono solo le bestie! "Così risponde con linguaggio acceso una donna, vestita di nero. Ha a lato una giovane vedova: due giovani aitanti e robusti sono attorno; una donna più attempata tiene in braccio un piccolo. Il dialogo si anima, ora interloquiscono tutti. "Non c'è libertà. Le ciese vogliono convertirle in sale da allo. Quando in casa nostra ci fu uno sposalizio, invitammo un padre francescano a benedire la stanza degli sposi. I poliziotti titini non rispettarono il nostro desiderio: arrestarono il padre e sarebbe finito male se un nostro parente non fosse riuscito ad ammansire uno del corpo di guardia.
Mancavano di rispetto persino alle suore. Il vescovo un giorno venne ammanettato e condotto per la strada, come un malfattore! E dire che il vescovo si è tanto adoperato per noi! Nei giorni dell'esodo, volle ricevere tutti. Tutti, dal primo all'ultimo, passarono dal vescovo ed ebbero una somma e un conforto.
Il vescovo andò a salutarli tutti sul piroscafo.
E' rimasto per proteggere ed aiutare, poi verrà via anche lui". La giovane vedova guarda un medaglioncino che le pende sul petto: "E' mio marito, me lo portarono via con un fratello; da allora...più nulla! Poi mi rubarono la terra, poi il bestiame. Ora son qui..." Non abbandonateci, aggiungono gli altri. "Staremo bene qui, purchè la nostra casa sia vicino alla chiesa. Non desideriamo altro, per poter pregare, perchè là non si oteva". Li rassicuriamo: la Pontifiica Commisione di Assistenza, ha provveduto a tutto: agli uomini lavoro, alle donne una casa, ai bimbi la scuola. Ci congedano con un sentito grazie e con un saluto cristiano. Usciamo commossi: i poveri suli hanno detto - senza avvedersene - molte grandi cose. Che il comunismo è un regime brutale, che il cuore del papa è il cuore di un padre che giunge ovunque. Gli italiani sapranno capire? I buoni si, noi pensiamo. Ma quelli che attendono da Mosca il paradiso? Perchè non erano presenti a soccorrere gli esuli i baldi damerini del fronte della gioventù o le caporalesse dell'U.D.I.?
22/03/1947;
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