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Intervista ad Achille C.
Achille C. nasce nel 1927 a Corfù da una famiglia di origine veneziana, emigrata nella città egea nell'ultimo ventennio dell'Ottocento. Nel 1944 è espulso in seguito a un provvedimento delle autorità greche riguardante l'intera popolazione italiana dell'isola. Parte quindi alla volta dell'Italia, dove è ospitato nei campi profughi di Venezia, Santa Maria di Leuca e Bari. Nel 1945 si trasferisce a Venezia dove resta pochi mesi prima di far ritorno a Bari, dove rimane fino al 1955,anno che segna il suo trasferimento a Torino. Assunto alla Riv come operaio, riesce a ottenere una casa nel villaggio di Santa Caterina. E' stato intervistato il 30 aprile 2010. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nato?
R.: "Io sono nato a Corfù [in] Grecia, nel 1927, e mi chiamo C., di cognome."
2) E di nome?
R.: "Guarda, il mio nome è meglio che te lo faccio vedere [sulla carta d'identità], perché il mio nome, il mio primo nome è [quello] della capitale dell'Armenia. Sai qual è la capitale dell'Armenia? Yerevan. Perché il mio padrino [di battesimo] era armeno, e siccome gli armeni sono al 100% cattolici, mi hanno messo quel nome. [Il secondo nome è Achille]."
3) Mi parla un po' della sua famiglia di origine: quanti eravate, che mestiere facevano i suoi genitori...
R.: "La mia famiglia di origine eravamo una famiglia numerosa: nove fratelli, nove fratelli. Mio padre [era] proveniente da Chioggia, Venezia, in provincia di Venezia. Siamo di origine veneta."
4) E che mestiere faceva suo papà?
R.: "Mio papà aveva il negozio di calzolaio, aveva anche tre o quattro operai. Mi dirai, come è capitato in Grecia suo padre? Mio nonno aveva la valuta di capitano marittimo e faceva da un lord inglese, per un lord inglese [il capitano] del suo yacht in quegli anni. Era il comandante, aveva anche quattro o cinque [marinai] dell'equipaggio. E gli ha detto, sto lord inglese: Tobia - si chiamava Tobia il nonno - , io mi vado a trasferire in Grecia nell'isola di Corfù anche per motivi di salute di mia moglie, vuoi venire? E mio nonno ha accettato. Andando lì poi sono nati mio padre, suo fratello e una sorella che aveva, e poi siamo nati anche noi. Noi siamo di seconda generazione italiani, mio padre era di prima generazione."
5) E suo nonno in che hanno si è trasferito in Grecia?
R.: "Allora, mio padre è nato nel 1884, mio nonno mettici venticinque anni in più."
6) Mi ha detto di essere di Corfù. Riesce a descrivermi che tipo di città era da un punto di vista sociale, economico...
R.: "Allora, Corfù è la capitale delle isole Ionie, ha un clima che... L'imperatrice d'Austria, la Sissi, è venuta a curarsi a Corfù, perché era malata di TBC e i dottori dicevano che doveva andare in Grecia. Gli hanno comprato una villa e quella villa - che l'ha lasciata alla stato greco - adesso è diventato il museo di Corfù, l'Achilleion. Siccome davanti al museo c'è la statua di Achille che si levava la freccia dal piede, allora l'hanno chiamato Achilleion, il museo di Corfù."
7) Ho capito. E dal punto di vista professionale, a Corfù gli abitanti cosa facevano?
R.: "La gente, la maggior parte, sono tutti artigiani. Poi ci sono agricoltori e pescatori che erano tutti di origine italiana, perché allora i greci non sapevano dove erano le acque buone, e dovevano venire i molfettesi e i barlettani per mostrarci le acque buone. E anche per quanto riguarda l'agricoltura, specialmente gli ortolani - perché nella prima cintura [della città] erano tutti orti di frutta e verdura - anche lì tutti italiani pugliesi anche quelli erano."
8) E come mai sono andati in Grecia questi italiani?
R.: "E perché... Perché in Italia in quegli anni c'era [fame]. Sai, in Italia non c'era benessere... Il benessere, chiamiamolo così, è venuto dopo, e quindi sono emigrati."
9) E come mai hanno scelto proprio la Grecia?
R.: "Perché è più vicina. Dalla Puglia in sei ore di barca [arrivi]. Addirittura noi distiamo, cioè Corfù dista dall'Albania, da Saranda - che sarebbe il porto che ai tempi di Mussolini era chiamato porto Edda, da Edda Ciano - che il suo nome sarebbe Santi Quaranta. Primo scalo: Corfù - Santi Quaranta, Sani Quaranta - Brindisi: addirittura si poteva arrivare a nuoto, perché erano sei miglia marine, vicinissimo eh!"
10) Lei prima mi parlava dei greci. Vorrei sapere un'altra cosa su Corfù [mi interrompe]...
R.: "Allora... Corfù, siccome è stata sotto il dominio veneto per trecento anni, il governatore della Repubblica di Venezia ha visto che il paese era fertile ma c'era poco da fare. Allora per invogliare i contadini del posto ha fatto un editto: [dava] una moneta di argento - un tallaro si chiamava - a chi pianta olive e dà il primo frutto. E allora olè, tutti a piantare olive! Corfù, le strade che dalla città vanno nei vari paesi - perché c'era tanti paesi - non ci sono platani, non ci sono ippocastani, [ci sono] tutte piante di olive secolari. Il 90% di produzione di olio della Grecia lo fa Corfù ancora oggi giorno."
11) Era una città popolosa?
R.: "Corfù faceva - anteguerra adesso ne farà anche di più perché tutta l'Albania si è riversata là - 120.000 [abitanti], compresi i paesi. La città faceva 40.000 [abitanti], [con] tutti i paesi dei dintorni - perché c'era diversi paesi - faceva 120.000. Corfù, per quanto riguarda i greci, a Corfù c'era: scuola di polizia, scuola di cavalleria, prefettura, provincia - perché era la capitale delle isole Ionie - e poi il famoso lord Byron... Lo conosci lord Byron? Abbiamo la sua statua a Corfù, è lui che ci ha portato l'acqua."
12) Posso chiederle come era distribuita la popolazione? Cioè, quanti italiani c'erano?
R.: "Italiani eravamo in 3.000, la maggioranza erano pugliesi, veneti saremo stati non so, una cinquantina di famiglie, tutti della provincia di Venezia. Venezia, Chioggia e dintorni, ma la maggior parte erano tutti meridionali. E perché c'erano? Perché, ti ho detto, i greci non sapevano far niente in quegli anni, e noi gli abbiamo mostrato come si coltiva la terra, come si produce. Mio padre, all'età di diciotto anni... Lui non gli piaceva andare a scuola, c'era la scuola italiana in una casa bassa, che c'era il gabinetto dove non c'era nemmeno la finestra, c'era solo il telaio. E dalla finestra scappavano tutti i ragazzi perché non volevano stare a scuola. E un giorno è scappato e si è portato dietro anche il telaio! E dove lo trovavano? Dentro una calzoleria, perché mio padre aveva la fissa del calzolaio. A diciotto anni mio padre è andato in Egitto, ad Alessandria di Egitto, a insegnare agli arabi come si fanno le scarpe, perché a diciotto anni mio padre era maestro calzolaio. E noi avevamo la calzoleria. E siccome ti ho detto che a Corfù c'era scuola di polizia e scuola di cavalleria, era l'unico mio padre con suoi fratello che facevano gli stivali. Ma non gli stivali flosci, gli stivali rigidi, con la forma della gamba."
13) A Corfù gli italiani vivevano in quartieri particolari?
R.: "No, quartieri no, quelli ce li avevano gli ebrei, avevano proprio il quartiere ebreo, il ghetto ebraico, ma gli italiani [stavano] chi di qua e chi di là, non è che eravamo concentrati, no, no, viveva ognuno per conto suo. C'era la scuola italiana a Corfù, che si arrivava al diploma di ragioniere. La scuola, [cioè] i muri, erano di proprietà del Vaticano, e gli insegnanti erano i preti di Torino, quelli che arrivavano da Grugliasco, sai quei frati che c'avevano il bavaglino qui [sul collo]? Ecco, quelli avevamo noi. Io la lingua italiana l'ho imparata a scuola. E perché l'ho imparata a scuola? Perché la lingua del latte è sempre [quella] della madre, e mia madre era una greca, era greca, e [allora] io l'italiano l'ho imparato a scuola."
14) Posso chiederle com'erano i rapporti con i greci?
R.: "Si, erano abbastanza buoni. Solo che noi a Corfù c'è stato un periodo che i rapporti non erano abbastanza buoni, e c'è il motivo. Ti spiego anche perché non erano abbastanza buoni. Sai in riva al Po qui a Torino che a un bel momento c'è una torretta di un sottomarino?"
15) Si...
R.: "Oh! Adesso ti spiego cosa c'entra quello con Corfù: c'era una disputa tra l'Albania e la Grecia per i confini, tra Albania e Grecia. La Società delle Nazioni - allora non c'era l'ONU - aveva mandato un rappresentante italiano per stabilire i confini, e cosa è successo? E' successo che quando è arrivato sto rappresentante delle Nazioni a Corfù per stabilire i confini, i greci cosa hanno fatto? Lo hanno ammazzato! Era il generale Tellini. E siccome a quei tempi in quella zona c'era una banda di banditi tipo il bandito Giuliano o il bandito Meisino [Graziano Mesina], cosa hanno fatto? Lo hanno fatto ammazzare i greci ma hanno dato la colpa ai banditi. E allora l'Italia cosa ha fatto? Ha chiesto i danni. La Grecia però non voleva pagare i danni. Ah, è così? E allora [l'Italia] ha mandato un sommergibile che ha occupato Corfù, ha occupato Corfù per un anno. E il sommergibile che ha occupato Corfù è quello di quella torretta che c'è qua [a Torino]. Ecco il legame con Corfù, capito?"
16) Questo quando è successo?
R.: "Ma, nel 1920. Poi dopo c'era un po' di astio tra italiani e greci per questo fatto qua, ma dopo siccome l'Italia nel dopoguerra li ha aiutati a entrare nel Mercato Comune [Europeo], gli ha messo alberghi per il turismo hanno capito che non li conveniva farsi nemici l'Italia e allora han cominciato a voler bene agli italiani. Però loro la sua mentalità era voler bene ai tedeschi! I tedeschi li hanno massacrati, li han maciullati, ancora oggi i tedeschi gli sparano addosso e gli italiani, stupidi, sono sempre i più bravi: anche oggi giorno che la Grecia è dal culo, è l'Italia che tira fuori i miliardi per aiutarli. Capito?"
17) A Corfù gli italiani occupavano posizioni strategiche e di potere?
R.: "No, eravamo gente normale. No, no, non c'era nessuna [situazione] di predominanza verso i greci, eravamo gente normale. E siccome eravamo degli ottimi artigiani, insegnavamo i mestieri. Tanto è vero che mio padre nella calzoleria aveva mia sorella che era, come si chiama, orlatrice. Sai cos'è l'orlatrice? L'orlatrice è quella che fa le tomaie, quella che fa le tomaie si chiama orlatrice. E faceva anche scuola di armatura e alle varie ragazzine che venivano ci insegnava il mestiere, per avere i vari calzolai l'orlatrice a sua disposizione. Perché lì prima della guerra non esistevano scarpe pronte, in vetrina, tutto su misura facevano le scarpe."
18) Cerchiamo di fare un po' di chiarezza, nel senso che vorrei che fosse lei a spiegarmelo direttamente. Corfù, politicamente e giuridicamente era Italia o Grecia?
R.: "Era Grecia. Italia l'ha fatta Mussolini per un anno, quando ha fatto l'occupazione della Grecia e quell'occupazione ce l'abbiam pagata noi, perché come è finita la guerra i primi ad andare a calci in culo via [siamo stati noi]. Perché noi siamo [stati] espulsi perché Mussolini ha fatto questo. Ecco perché noi ci troviamo espulsi!"
19) Ecco, adesso ne parliamo...
R.: "Si, a noi ci hanno mandato via nel'43, perché la guerra è finita nel '43."
20) Posso chiederle che ricordi ha del periodo fascista in Grecia?
R.: "Il fascismo greco di Metaxas? Hanno voluto copiare l'Italia, ma tra i greci non è che ha attecchito tanto il fascismo in Grecia. Tant'è vero che son stati contrari al fascismo. Perché il fascismo l'hanno fatto nel '37-'38, quando il capo del governo era il signor Metaxas, Giovanni Metaxas, ma non ha attecchito tanto il fascismo in Grecia. Poi nel '41 è arrivata la guerra, l'occupazione e allora alè, questa non è più terra di occupazione in tempo di guerra, questa è Italia! Eh... E come è finita la guerra ci hanno presi e a calci in culo ci hanno mandato via."
21) Lei mi ha detto: come è finita la guerra questa è Italia. Ecco, ma cosa vuol dire, come cambia la quotidianità?
R.: "Ah, la quotidianità era la stessa. Solo che siccome lì era periodo di guerra, c'era periodo di fame e a noi italiani, siccome era Italia, ci davano i buoni, andavamo ai mercati generali a comprare un sacco di riso, un sacco di farina, [mentre] i greci dovevano prendere quel poco che dava la miseria, e questo non era neanche giusto, eh! E intanto noi nel vicinato dividevamo tutto. Ecco è [era così] quel poco di periodo che è stata Italia lì, e poi come è finita la guerra abbiamo vomitato tutto!"
22) Mi ha detto che voi italiani eravate trattati meglio...
R.: "Perché era Italia!"
23) Ho capito. E questa situazione come influiva nei rapporti con i greci? Cioè, ha creato un po' di astio?
R.: "E si capisce che c'era astio, ti guardavano malamente. Per esempio [racconto] un particolare che è capitato alla mia famiglia. Mio fratello un giorno va per la strada e trova una moneta da 10 Dracme, che 10 Dracme il controvalore in acquisto poteva essere cinque chili di pane. Le aveva perse il figlio di un barbiere, nostro vicino di casa. Eh, tuo figlio - subito, siccome eravamo italiani - ha rubato a mio figlio 10 Dracme, e ci ha portato in tribunale. Abbiamo dovuto andare in tribunale, ha dovuto prenotare un tribunale mio padre per 10 Dracme! Per dirti come volevano rifarsi con l'astio per gli italiani."
24) E su questo astio, se non ho capito male, ha giocato un ruolo cruciale il fascismo...
R.: "Si capisce, si capisce, è sempre il fascismo la causa!"
25) Fascismo che in Grecia, che lei ricordi, faceva anche un po' di propaganda?
R.: "A noi italiani si."
26) In che senso?
R.: "Venivamo in colonia, tutti gli anni portavamo i figli in colonia. Io venivo tutti gli anni, da [quando avevo] sei anni ho cominciato a venire in colonia, prima coi balilla poi con gli avanguardisti a Cattolica, Rimini, Riccione, poi a Roma. A quindici anni, quando eravamo avanguardisti [siamo andati] al campo Dux a Montesacro... Sai a Roma i colli? Ecco, Montesacro era un colle di Roma che c'era un accampamento e noi facevamo vita da accampamento. Ci stavamo un mese o due perché poi a Corfù, tra parentesi, oltre alla scuola c'era anche la banda musicale e lì c'era i maestri e gli insegnanti e anche io suonavo la trombetta da bambino."
27) Voi avevate la doppia cittadinanza?
R.: "No, tutti gli anni dovevamo rinnovare il permesso di soggiorno in Grecia, ma eravamo cittadini italiani. Cittadini italiani, sempre, ed eravamo sotto il governo greco, dovevamo rispettare le leggi greche."
28) E allora come mai andava in colonia in Italia?
R.: "In colonia ci andavamo perché eravamo cittadini italiani, andavamo a scuola italiana e d'estate ci mandavano in colonia. C'era il consolato [a Corfù], c'era il console, c'erano le autorità italiane, eh! Il fascismo non c'entrava, non c'entrava niente. C'entrava solo tra italiani il fascismo e basta. Col resto della Grecia non c'entrava niente il fascismo, anzi! Capito?"
29) Lei prima mi parlava della guerra. Posso chiederle qual è, se ci pensa, il primo ricordo che le viene in mente?
R.: "Il ricordo che mi è rimasto qua della guerra, tolte le peripezie e i bombardamenti, è quando c'è stata la ritirata, i tedeschi si sono sentiti traditi."
30) Mi parla dell'8 settembre...
R.: "L'8 settembre i tedeschi si sono sentiti traditi, e allora hanno preso tutta la Divisione Acqui - erano più di 6.000 italiani - li hanno portati e hanno fatto arrivare una nave, grandiosa, da crociera, ma non mi ricordo il nome di questa nave. Hanno fatto arrivare questa nave e li hanno caricati lì perché volevano portarli in Germania, erano tutti prigionieri. Era novembre o ottobre, io e un mio amico - avevamo sedici anni - facevamo il bagno perché lì in Grecia gli ultimi bagni si fanno a novembre, dopo i morti, poi dopo i morti basta, ma questo per dirti il clima. Facevamo il bagno io e il mio amico e [a un certo punto] arrivano gli apparecchi [sentiamo il rumore]: arrivano gli anglo-americani, sai come arrivavano loro, e bombardano sta nave: sti poveri militari, quanti morti, quanti morti! Io e il mio amico [eravamo] lì e c'era un suo parente che aveva una barca, abbiamo preso sta barca e siamo andati a salvare qualcuno che erano fuori dall'acqua. Cadaveri, pezzi di uomini e poi sangue nel mare! Questo gli anglo-americani, dopo il 10 settembre, che c'era la nave piena di prigionieri ed era la Divisione Acqui che ritornava dall'Albania dove era di stanza."
31) Mi parlava anche delle bombe, quindi Corfù è stata bombardata...
R.: "Si, come no! Prima è stata bombardata dagli italiani -nel '41-, poi è stata bombardata dai tedeschi, poi dopo l'armistizio è stata bombardata dai tedeschi [mentre] gli inglesi sono venuti a bombardare solo la nave che non sapevano cosa c'era. Ma gli inglesi hanno bombardato poco o niente, bombardavano dove c'era i tedeschi, i militari, i campi di aviazione, i dragamine o qualche piccola nave, ma la città non la bombardavano. Perché la popolazione civile dovevano bombardare? E poi erano alleati dei greci gli anglo-americani."
32) E c'erano i rifugi a Corfù?
R.: "Ma che rifugi! Che rifugi! Ti nascondevi dove ti nascondevi, e pregavi il padreterno che non ti cada una bomba in testa! Non c'era i rifugi, e chi li faceva i rifugi? Non era come in Italia che erano prevenuti [preparati] e che hanno costruito quei rifugi in cemento armato, sai quelli rotondi... Lì non c'era i rifugi."
33) Corfù è quindi stata distrutta molto?
R.: "Abbastanza, specialmente quando sono venuti i tedeschi dopo l'8 settembre, che hanno buttato bombe incendiarie. La cattedrale di Corfù, che era dedicata ai santi Coosimo e Damiano, ha preso fuoco tutto il tetto. Perché mio cognato, il marito di mia moglie, lavorava in Grecia per una casa tipografica che lavorava per lo stato e faceva i francobolli addirittura e poi dopo l'han trasferita ad Atene. I dipendenti se volevano andare ad Atene andavano, ma mio cognato non è voluto andare ad Atene e allora è rimasto disoccupato. E quel poco che lavorava mia sorella - perché mia sorella era orlatrice e guadagnava bene - e allora lui faceva il sacrestano lì nella chiesa, più che altro volontario. E allora quando che abbiamo avuto il fuoco nella chiesa lui c'era. Ed è stata sai per quanti anni senza [tetto]? Poi l'hanno fatto il tetto, so che l'hanno fatto, perché io disgraziatamente non sono più andato in Grecia, perché mia moglie, il viaggio che è lontano... Invece le mie sorelle che abitavano a Bari, sono andate un milione di volte dopo la guerra. Perché da Corfù a Bari [ci vanno] sei ore in nave, sei ore su navi che vanno piano, perché se andavi con l'aliscafo, un'ora e mezza sei a Corfù! Brindisi - Corfù, un'ora e mezza ci mette l'aliscafo."
34) Parliamo ancora della guerra: c'era fame in quel periodo?
R.: "Eh, già che c'era fame! [A] Corfù la gente si è salvata dalla fame, non moriva dalla fame perché, ti ho detto prima, Corfù era tutta una piante di ulivi, c'era tanto olio, c'era più olio che acqua, e arance: a Corfù c'era tanta produzione di agrumi. E allora bucce di arance, si facevano bollire [in modo che] andasse via quel [sapore] amaro, e poi si macinavo nella macchina per la carne, quella che hanno le famiglie, a mano. Si impastava insieme a un po' di farina di polenta, e si facevano le polpette fritte di buccia di arancia con la polenta, si mangiava così. Poi mi ricordo che c'era uno che aveva ammazzato un cavallo, si era sparsa la voce e anche io sono riuscito a beccare due pezzi di cavallo!"
35) Borsa nera c'è n'era?
R.: "Ma cosa vuoi che c'era borsa nera che non c'era soldi! Si c'era borsa nera, qualcosa si trovava. Si trovava specialmente medicine che non esistevano. E, tra parentesi, io una mattina, per non morire di fame, prendo una bici a noleggio - perché c'era i noleggi di biciclette - e vado in un paese vicino a [Corfù], quasi sei chilometri, avanti e indietro, una sudata ho fatto! Perché poi quello che ci aveva dato le patate - eravamo andati io e mio fratello - ci ha imbrogliato: invece che darci le patate ci ha dato quelle patate da semina, bastardo! E non ce l'aveva detto, ci aveva imbrogliati. E allora vai di nuovo a portarci indietro ste patate, che invece di patate siamo poi arrivati a casa con castagne, arance e così. Anche le castagne erano farinose... E io mi sono preso una pleurite, caro mio... E mi son salvato perché mia sorella aveva dei pezzi di stoffa di seta, li abbiamo dati a qualcuno che trafficava che ci ha procurato sei o sette iniezioni di calcio e mi han fatto ste iniezioni di calcio. Un mio parente aveva lo stallaggio, che quando arrivavano i contadini alle stalle una volta mi aveva procurato qualche bistecca di maiale e mi son salvato Altrimenti... Qui dietro la schiena, tutte le volte che faccio le lastre, c'è ancora il buco di quando mi hanno fatto, cioè di quando mi hanno messo una specie di tubo per fare uscire l'acqua. E quattro litri di acqua gialla mi hanno tirato via; finita quella hanno visto che la cassa era vuota, hanno preso una siringa con dieci milligrammi e mi hanno fatto una puntura sulla gamba. Perché il medico di famiglia era amico d'infanzia di mio padre, e tant'è vero che aveva l'asma bronchiale sia lui che mio padre: lui fumava, e fumava anche mio padre. Lui sgridava mio padre perché fumava, e gli diceva: perché fumi, perché fumi! Si davano del tu, erano amici d'infanzia e lui diceva [a mio padre]: io sono il tuo medico, quello che faccio non ti interessa, capito?"
36) Tornando per un attimo alla borsa nera, vorrei chiederle se chi vendeva voleva i soldi o il cambio...
R.: "Eh, [volevano] in cambio qualcosa, perché i soldi non c'erano. Si dava in cambio di tutto. Non so, oro, qualche paio di scarpe, qualche paio di pantaloni usati. Eh già, eh già:"
37) Si ricorda l'arrivo dei tedeschi a Corfù?
R.: "Si, sono arrivati prima quelli della divisione, cioè quelli che occupavano, dei pezzi di stangoni grossi, grossi! Occupavano e poi mandavano le truppe stanziali, che le truppe stanziali erano tutti austriaci. Però i pezzi grossi avevano preso la prefettura. Eh, cosa vuoi... "
38) Ed erano duri?
R.: "Uh! Una mattina - ti ho detto che mi sono fatto sta malattia - esco per fare due passi, non stavo neanche in piedi, avevo sedici o diciassette anni. Oh, non c'era il gruppo di tedeschi che andavno in cerca di gente per farli andare a lavorare, ma gratis eh! E beccano anche me e dico, adesso muoio. C'erano due [soldati] austriaci anziani, e io qualche parola in tedesco la sapevo, e allora ci dico in tedesco che ero malato. E allora come c'era da svoltare mi fa [dice] sto vecchio tedesco vai via! E allora ho fatto finta di seguire il corteo e ho svoltato. Ci devo la vita a sto vecchio tedesco. Io ogni tanto me lo ricordo, ce lo racconto a mia moglie. Tedesco, cioè austriaco. "
39) E la popolazione di Corfù come li ha accolti i tedeschi?
R.: "Oh, accolti... Ogni d'uno si faceva i fatti suoi... Erano cattivi sai, erano cattivi."
40) E lì a Corfù c'era anche un movimento di resistenza...
R.: "C'era dappertutto il movimento di resistenza, ma bisognava conoscerli chi sono."
41) E lei li ha mai visti?
R.: "No, no. Io una volta... Perché, tra parentesi, mio padre aveva un giubbotto di pelle, e una volta mi son detto: vado a venderlo. Come sono arrivato in piazza, uno mi fa: vieni qua. E mi ha portato in una panetteria. Mi prende sto giubbotto e mi dice: cosa vuoi? [Io rispondo] non so, dammi quello che vuoi e non mi ricordo cosa mi ha dato. Quello lo ha dato ai partigiani, perché il giubbotto serviva per le montagne."
42) Mi ha parlato di Corfù e della Divisione Acqui trucidata dalle bombe. Di Cefalonia avete invece saputo subito?
R.: "Cefalonia abbiamo saputo dopo. Perché c'è una mia cugina - paterna come me C. come me - che aveva sposato un ufficiale della Divisione Acqui che era di Viterbo. Era della provincia di Viterbo. Lui, si son sposati, ma non poteva restare lì: ha fatto quei due o tre giorni, e poi era a Cefalonia. E lì dopo l'8 settembre quando i tedeschi [sono arrivati], gli ufficiali tutti li hanno mitragliati, dal primo all'ultimo. Invece la truppa l'hanno decimata: [gli hanno fatti mettere in] fila [e contavano] uno, due, tre e il decimo gli sparavano. Capito? Questo [successe] l'8 settembre, e l'abbiamo saputo subito perché sai, le voci correvano. L'abbiamo saputo prima che in Italia, prima, si capisce. In Italia si è saputo dopo Perché in Grecia il comandante delle truppe italiane era il generale Geloso. Era d'accordo con Brindisi: ci arrendiamo, resistete, ci arrendiamo, resistete, ma cosa resistete! I tedeschi gli han detto di consegnare le armi, loro han voluto resistere e allora alè! Gli ufficiali [sono] tutti morti, dal primo all'ultimo."
43) Mi diceva di essere stato espulso...
R.: "Siamo stati espulsi... "
44) Ecco, mi racconta bene questa cosa...
R.: "Nel '44 una bella mattina hanno deciso: degli italiani cosa ne facciamo qua? Via!"
45) Questo chi lo ha deciso?
R.: "Il governo greco."
46) Questo lo so. Vorrei che lei mi raccontasse i passaggi...
R.: "Quando sono arrivati i partigiani e hanno liberato Corfù dai tedeschi, addirittura volevano mandarci subito via. [Invece] ci hanno raccolti tutti gli italiani e ci hanno messo nella fortezza greca, e volevano spedirci in Albania sui motovelieri. E' intervenuto il parroco -cattolico- che era di cittadinanza inglese -era maltese lui- ed è andato dal comando inglese a parlare: è gente civile, non ha fatto niente, [se] li mandano in Albania muoiono tutti! Allora il comando inglese li ha fermati, ha fatto arrivare una nave -una nave svedese grandiosa, era un transatlantico svedese-, ci hanno caricati lì [sopra] e ci hanno portato a Bari."
47) Perché han deciso di mandarvi via?
R.: "Per il fascio, perché noi siamo andati a rompergli i coglioni! Tutto lì, solo per quello."
48) Perché eravate considerati fascisti?
R.: "A parte che ci consideravano fascisti, ma anche perché eravamo italiani e gli italiani sono venuti a romperci le balle e a farci la guerra alla Grecia. Perché Mussolini voleva il passaggio, e il governo greco non ce l'ha dato il passaggio per andare in Jugoslavia, per andare a occupare la Jugoslavia, capisci? E allora hanno bombardato la Grecia, hanno bombardato Atene, fame, carestia... Sai quanti morti ad Atene di fame [ci sono stati]? C'era una camionetta alla mattina che raccoglieva i morti per le strade perché non c'era da mangiare."
49) Vi consideravano nemici...
R.: "Nemici, nemici, perché italiani, perché italiani."
50) Ho dimenticato di chiederle una cosa prima. Quando Mussolini ha invaso la Grecia, qual è stata la reazione della comunità italiana?
R.: "Eh già che erano contenti! La comunità italiana era contenta si! Ti premetto che quel periodo là, siccome noi eravamo arrivati in Italia con il rimpatrio provvisorio, quando hanno occupato la Grecia io e la mia famiglia, solo io e la mia famiglia, eravamo a Venezia, in Italia. Come poi [la Grecia è stata occupata] siamo ritornati subito a Corfù. Prima ero rimpatriato, poi sono stato profugo, espulso! Loro ci hanno detto: andate al vostro paese, basta mangiare il nostro pane!"
51) Avete subito anche ritorsioni o violenze?
R.: "No, violenze no, solo spediti via, violenze no. Ci hanno sequestrato quello che avevamo - la casa e tutto - tant'è vero che i danni di guerra dell'Italia gli han pagati gli italiani [di Grecia] perché le sue proprietà le han prese tutte i greci."
52) Non vi han lasciato niente, quindi...
R.: "Niente, niente, con quello che avevi addosso sei andato via."
53) Qualche italiano è rimasto?
R.: "Ah no, dopo son tornati, dopo. Non so nelle altre città - Salonicco o Atene -, ma a Corfù non c'è rimasto nessuno. "
54) Di punto in bianco , quindi, siete stati espulsi...
R.: "Si, ci hanno mandati via: basta mangiare pane greco, ci han detto! Ci hanno messi nella fortezza militare di Corfù, perché a Corfù c'è un castro, una fortezza militare, che lì era caserma dei greci, è sempre stata caserma. Ci hanno messi là dentro, [anche] perché dove vuoi che ci mettano? Eravamo quasi 3.000 cittadini eh! Quasi 3.000 italiani, non eravamo pochi. [Poi] è venuta la nave svedese, ci ha caricati e ci hanno portato a Bari."
55) Ed era il 1944...
R.: "Ottobre 1944."
56) Che ricordi ha del viaggio?
R.: "Il viaggio son sei ore, neanche sei ore di viaggio. Il viaggio niente, eravamo buttati lì [sul ponte] a dormire, ma non facevi in tempo [ad addormentarti] che eri già a Bari."
57) Non avete portato nulla con voi...
R.: "Niente, niente, [solo] quello che avevi addosso. Siam venuti con niente. I soldi niente, che soldi che non c'erano soldi quella volta! I soldi che circolavano quella volta erano quelli stampati in tipografia, non avevano nessun valore. Sa com'era: per esempio io ti davo a te l'anello e tu mi davi l'orologio, io ti davo l'orologio e tu mi davi sale, io ti davo sale e tu mi davi l'olio, era così."
58) Quindi nemmeno i mobili avete portato...
R.: "No, no, è tutto rimasto lì. Non è come l'esodo dei polesani. Noi niente, via, a calci in culo!"
59) Corfù era un'isola che si svuotava, in quei giorni. Posso chiederle tra di voi che clima si respirava, che atmosfera c'era?
R.: "Tristezza, perché dopo tutta una vita intera, dopo tre o quattro generazioni che eravamo lì, di colpo ci troviamo via, levati dal paese nativo. Sai, vuol dire eh! Via, via, ci hanno mandati via. Siete venuti a occuparci, ci avete fatto la guerra, andate nel vostro paese, andate a mangiare il vostro pane! Il nostro pane l'avete mangiato per tanti anni, capito?"
60) Ho capito. Da Corfù, quindi arriva poi a Bari...
R.:"A Bari. A Bari non sanno dove metterci [e allora] pensano, pensano, pensano e ci mandano a Lecce, nei comuni del leccese: tante famiglie qua, tante famiglie là. E noi, la mia famiglia con la famiglia di mio cognato e mia sorella, ci mandano in un paese della provincia di Lecce che si chiama Melissano, vicino a Gallipoli - noi eravamo all'interno, Gallipoli è sul mare - e stiamo lì. E allora i sindaci dovevano in qualche maniera aiutare sta gente e allora sai il popolino, ci portavano fagioli secchi, piselli secchi, ceci, olio... Vino non ne parliamo, c'era più vino che acqua perché c'era vino da fare il bagno! E vivevamo così, perché ci aiutava la popolazione, il paese, i sindaci del paese."
61) E dove stavate? In una casa?
R.: "Eravamo dove una volta c'era un asilo, lì ci hanno messo. Ci hanno messo dei cavalletti di legno, con materassi di foglie di granoturco, era l'asilo del paese."
62) E lì quanti eravate?
R.: "Lì c'era la mia famiglia e quella di mio cognato, perché ci hanno diviso in tutto il leccese. E allora poi si era sparsa la voce che a Santa Maria di Leuca, posto di villeggiatura, posto da signori, aprivano un campo gli americani, l'UNRRA. Bastava andare a Lecce, ti facevano il foglio [e andavi]. E difatti siamo partiti una mattina io e mio fratello, ci hanno fatto il foglio e siamo andati. [Poi] abbiamo preso il treno e siamo andati a Santa Maria di Leuca, e lì gli americani ci hanno accolto: a me, mio cognato e la famiglia, ci hanno dato una villetta in riva al mare, in riva al mare! Una villetta da signori, avevamo il giardino e il pozzo. Allora, l'UNRRA cosa ci passava? Colazione la mattina, pranzo e cena. Ti dico la colazione della mattina: c'era una pagnotta di pane grande così - sarà stato mezzo chilo di pane bianco - a testa, salcicce, bacon, caffelatte e marmellata. Questa era la colazione, e non ti dico a mezzogiorno cosa c'era! Lì era la pacchia, altro che grand hotel!"
63) E fino a quanto è durata questa pacchia?
R.: "E' durata fino a che si è aperto il fronte. Dopo che si è aperto il fronte, allora quando c'era l'Italia libera e il passaggio, ci hanno spedito da lì... Cioè noi dovevamo andare a Venezia, al luogo di origine, e per arrivare a Venezia ci abbiamo impiegato quindici giorni. Arrivati a Roma ci hanno mandati a Cinecittà."
64) Arriva a Lecce nel '44 e fino a quando sta?
R.: "Arrivo nel '44, si, e siamo stati sei mesi, otto mesi, perché abbiamo saputo che c'era sto campo UNRRA e siamo andati nel campo UNRRA e lì siamo stati fino a che non si è aperto il fronte."
65) Ma come mai dovevate andare a Venezia?
R.: "Eh, perché era il nostro comune di origine: ogni cittadino aveva il suo paese di origine che doveva provvedere, noi che siamo vissuti all'estero il paese di origine doveva provvedere ad accoglierci. E siamo arrivati poi a Venezia che c'era il campo profughi."
66) A Lecce mi ha detto di essere stato accolto bene, quindi i rapporti con la popolazione erano buoni?
R.: "No, non avevamo rapporti con la popolazione. Siamo finiti in un paese che non so se erano duemila abitanti, ma in paese ci volevano bene, ci portavano tutti i giorni da bere e da mangiare!"
67) Un viaggio lungo da Santa Maria di Leuca a Venezia. Ha attraversato tutta l'Italia che, credo, fosse disastrata...
R.: "Lì quando abbiamo saputo che si è aperto il fronte, la prefettura di Bari ci ha fatto un foglio che valeva per il viaggio in treno e abbiamo preso il treno. E piano, piano siamo arrivati a Roma. Era distrutta, era tutta distrutta. Quando siamo arrivati a Roma in stazione c'era il posto di ristoro e ci hanno mandato al campo profughi di Cinecittà, e lì siamo stati una settimana. Poi quando c'era i treni che giravano, abbiamo preso il treno e, piano, piano, siamo arrivati a Venezia. E lì a Venezia poi il comune ci ha dato poi assistenza."
68) E dove vi hanno mandato a Venezia?
R.: "A Venezia lì c'era un campo profughi, che era dentro una scuola. Era sai dove c'è il cimitero di Venezia che c'è la laguna? Si chiama Fondamente Nuove, e lì c'era un istituto e lì era il campo profughi, col giardino e tutto, e ci hanno messo là dentro."
69) Riesce a descrivermelo questo campo profughi?
R.: "Era un istituto scolastico con tante aule grandi e col giardino. Le aule le avevano poi divise con tramezzini di coperte, perché non potevano dare un'aula grossa, di sei-otto metri, a una famiglia sola. Eravamo lì, provvisori. A mezzogiorno c'era il rancio, [si andava a prenderlo] con la gavetta. Eravamo noi e altre famiglie, solo italiani ma provenienti da altre parte, magari dalmati e libici."
70) Avevate assistenza?
R.: "Si, ci davano da mangiare, ci davano a mezzogiorno la gavetta, alla mattina ci davano il caffelatte, si, si, ci davano. Poi noi quando abbiamo saputo che a Bari avevano aperto un grande campo profughi, siccome a Bari si era fermata mia sorella con suo marito, perché loro erano di origine pugliese e sono rimasti là, siamo partiti. Ci siam fatti fare dalla prefettura il biglietto per andare a Bari e siamo andati al campo profughi di Bari. E lì il campo profughi di Bari, essendo profughi, ci ha accettati e ci ha assistito."
71) In che campo eravate a Bari? Credo fossero almeno sette o otto...
R.: "C'è n'erano sette o otto, perché a Bari la città sai, non aveva un locale per metterci tutti. C'era l'Arcivescovado che era il primo -c'era un centro all'Arcivescovado-, poi c'eravamo noi che eravamo a San Pasquale, uno a Carasso, poi c'era le Baracche di via Napoli, insomma c'è n'era sei o sette, mi sembra, a Bari."
72) E il suo campo riesce a descrivermelo?
R.: "Era una casa popolare grandiosa, dove c'era un centinaio di famiglie. Il piano terra, una volta, era l'asilo infantile, e sopra l'asilo infantile ci avevano messo una decina di famiglie e tra queste dieci famiglie c'era anche la nostra. Una casa popolare grandiosa."
73) Famiglie divise sempre con le coperte?
R.: "Sai come sono le camere grosse una scuola o di un asilo, no? E allora lì era diviso, non potevano metterci tutti assieme."
74) La vita nel campo profughi com'era?
R.: "A Bari?"
75) Si, al campo profughi.
R.: "A mezzogiorno ci portavano il rancio, venivano con la camionetta e ci portavano il rancio a mezzogiorno e alla sera."
76) E in campo c'erano anche delle struttura come ad esempio infermeria, scuole...
R.: "No, no, ti aggiustavi! C'era il medico e se avevi bisogno c'era ospedale e tutto. No, no, da quel lato, dal lato sanitario c'era il medico del centro e se avevi bisogno dell'ospedale ti mandava all'ospedale. Se avevi bisogno di cure te le facevano, no, no. [Te le faceva] la città di Bari, eh!"
77) Invece relativamente alla quotidianità com'era la vita in campo. Insomma, vivere in tante famiglie dentro a spazi limitati [interruzione]
R.: "No, eravamo tre famiglie dove stavo io, non è che vivevamo concentrati. Dove c'era i grandi concentramenti era alla Caserma Positano che era vicino al porto - lì era una cinquantina di famiglia - mentre dove eravamo io e mia sorella eravamo tre famiglie. Era come se vivevamo in città, in un appartamento di città."
78) Era quindi un campo piuttosto piccolo...
R.: "Si, si chiamava la foresteria. Era integrato nel campo profughi di Bari, ma eri in Foresteria. Il campo profughi di Bari, quello grosso, era l'Arcivescovado, che era il numero uno. Poi siccome non ci stavamo tutti là, avevano preso sta caserma vicino al mare, e lì ci stavano una cinquantina di famiglie e poi [c'erano] altre famiglie qua e altre famiglie là. Poi, siccome avevano preso anche questo asilo, in via Emanuele De Deo, lì ci stavamo quattro famiglie: c'era la famiglia mia, la famiglia di mia sorella, il fratello di mio cognato e un altro fratello di mio cognato. Eravamo noi e basta, e lì era come [se] vivessimo da privati. Però avevamo l'assistenza sanitaria e la bobba [il cibo]. Poi ogni tanto arrivavano scarpe, ogni tanto arrivava un paio di pantaloni, roba che arrivava dall'America, sai. Roba usata."
79) Avevate anche un sussidio, mi diceva...
R.: "Sussidio di soldi era minimo, una miseria. Poi in un secondo tempo, quasi verso la fine, hanno abolito la bobba [il cibo] e ci davano 100 Lire al giorno per famigliare, che ti arrangiavi per farti da mangiare da te: ci davano la tessera per andare a comprare la carne, per andare a comprare il pane, così evitavano tutto il lavoro di cucine e di personale. E poi quando avevi le palle piene come me, chiedevi la liquidazione, ti davano 50.000 Lire e io sono venuto a Torino."
80) Dopo la liquidazione, però, non si aveva più diritto a niente...
R.: "Finiva tutto, finiva tutto. Arrivavi a Torino con sta lettera [della Prefettura che diceva che] arrivava il signor C. da Bari - e in Prefettura c'è la mia cartella personale che dice che arrivavo da Bari - e con quel foglio che mi dava la Prefettura andavi al Municipio [di Torino], che mi dava la residenza, e io sono qua [a Torino] dal settembre 1952! Quanti anni sono? Cinquantotto anni!"
81) Ricapitolando: lei va Venezia nel '45, e poi ritorna a Bari...
R.: "Vado a Venezia nel '45, e poi torno a Bari perché lì c'era mia sorella e ci resto fino al 1952."
82) Su Bari le chiederei ancora due cose: la prima è se mi parla dell'accoglienza ricevuta dalla popolazione locale...
R.: "Oh, guarda! Quando i bambini facevano i cattivi - sai i bambini di un anno o due - i baresi dicevano: stai bravo sennò ti faccio mangiare dal profugo! Si, ma era relativo, non è che quando passavi ti buttavano all'acqua! Ma questo la popolazione ignorante, il popolino, perché uno che aveva un po' di sale nel cervello [diceva] povera gente, guarda che fine ha fatto!"
83) Sempre parlando della discriminazione [interruzione]
R.: "No, discriminazione non c'è n'era, no."
84) Ho usato questa parola, perché io ho in mente ciò che accade - soprattutto nei primi anni ai giuliano-dalmati che spesso erano considerati dai locali fascisti. Ecco, vorrei chiederle se nei vostri confronti si sono verificati episodi discriminatori di questo tipo.
R.: "No, no, vivevamo all'estero noi. Invece [in Istria] era Italia, era Italia, era un'altra cosa."
85) Un altro stereotipo molto diffuso è quello del profugo che porta via il lavoro ai locali. A voi è capitato?
R.: "No, no, nessuno lavorava! Vivevamo di carità cristiana!"
86) A Bari che lavoro facevate?
R.: "Qualcuno... Per esempio, mio cognato... [Lui] lavorava in Grecia alla tipografia dello stato ad Atene, lui era tipografo, era legatore, aveva un mestiere. Sai dove è andato a finire subito [arrivato a Bari] a lavorare mio cognato? La miglior casa editrice d'Italia sai qual è? La Laterza di Bari. E' andato subito a lavorare lì, lo hanno preso al volo."
87) Altrimenti cosa si facevano? Dei lavoretti precari o si viveva di sussistenza e basta?
R.: "No, no, sussistenza e basta. Qualcuno come noi che aveva un po' d'istruzione faceva qualcosa: io ad esempio nel campo profughi facevo l'impiegato: come arrivavano i profughi da altre regioni registravo, [ero] una specie di impiegato prefettizio. Che, tra parentesi, se non andavo via per venire a Torino per cercarmi un avvenire, diventavo un dipendente dello stato in prefettura, perché poi tutti gli han presi in prefettura di Bari. La Prefettura li ha riconosciuti come suoi dipendenti, e hanno fatto tutti i dipendenti dello stato. Alle volte mi sono detto: ma cosa ho fatto ad andare via da Bari quella volta!?"
88) Va via da Bari, mi ha detto, nel '55. Posso chiederle come mai?
R.: "Ma cosa vivevo, di miseria?! Sono andato via per trovarmi il lavoro."
89) E come mai ha scelto Torino?
R.: "Perché erano venuti altri a Torino e dicevano che a Torino c'è lavoro, c'è la Fiat. Difatti, quando siamo venuti... Prima di tutto, essendo liquidati [dal campo] , ci siamo intrufolati alle Casermette di Borgo San Paolo da umanitari. Poi c'era l'Ufficio assistenza Fiat che ogni tanto veniva e ci dava dei buoni per comprare da mangiare, c'era aiuto. E poi andavi al collocamento e [trovavi lavoro]: una mattina sono andato al collocamento con due o tre amici [e ci han detto] che c'erano dei posti di lavoro per la RIV-SKF. Subito! Ci han dato il foglio e ho trovato posto alla RIV-SKF in via Nizza, ho fatto trentasei anni! Alla RIV-SKF trentasei anni ho fatto lì, tant'è vero che ho fatto anche carriera. Non son rimasto solo un manovale."
90) Posso chiederle qual è stato il suo impatto con Torino?
R.: "Si capisce, Torino è una grande città... Guarda, in otto ore che ero a Torino, mi guadagnavo già le prime 1.000 Lire, sai perché? Un mio amico che era venuto un giorno prima, [aveva saputo] che in piazza Statuto, al bar di piazza Statuto, giravano un film con Russell, e cercavo comparse. E ci siamo andati a iscrivere come comparse, il primo giorno guadagnavo già le prime 1.000 Lire. Ci hanno portati al [parco della] Mandria a girare il film con Russell, Napoleone. Con Russell e con quello che è morto adesso, poverino, Vianello. Vianello faceva la parte di Cambrone nel film, e c'era Russell e gli diceva Napoleon, Napoleon! Un giorno [mi ricordo] che c'era la controfigura pronta, e c'era una specie di laghetto artificiale, una pozzanghera fatta apposta e c'era la controfigura che doveva buttarsi dentro: non si è buttato Russell stesso? Scena originale, bella, ha detto poi al regista!"
91) Posso chiederle come siete stati accolti dai torinesi?
R.: "Bene, bene, non eravamo mica infestati! No, no, abbiamo mica rubato il lavoro di nessuno. Era l'ufficio di collocamento che ci mandava [a lavorare], e poi quella volta di disoccupati a Torino non c'è n'era. Nel '52 a Torino di disoccupati non c'è n'era, bastava avere voglia di lavorare."
92) Mi ha detto prima di essere stato per un periodo alle Casermette da infiltrato. Com'era possibile, visto che lei aveva già ricevuto la liquidazione e per legge non poteva più stare in campo?
R.: "Nono avevo diritto, eh già! Siamo stati nascosti, anche perché mica alla porta ti chiedevano [i documenti]. Si era umanitari."
93) Mi scusi cosa significa umanitari?
R.: "Che ti lasciano stare lì [in campo] per senso di umanità. Potevi mica andare a dormire per la strada, capisci? E allora chiudevano un occhio, d'altronde non è che rubavamo niente!"
94) E le Casermette erano un campo grande?
R.: "Eh si, c'è n'era posto alle Casermette, c'è n'erano padiglioni vuoti!"
95) Riuscirebbe a descrivermele le Casermette?
R.: "Cameroni grossi con brande. Anche lì [erano] cameroni grossi divisi con tramezzine di legno, o di coperte: tanti erano di legno, tanti erano di coperte. E ogni famiglia aveva il suo pezzettino, quattro o cinque metri."
96) E oltre a voi greci chi c'era?
R.: "C'è n'era di tutte le razze! E si andava d'accordo, tant'è vero che lì dentro io ho conosciuto mia moglie. E' lì dentro che ho avuto il primo figlio io!"
97) Quindi ha continuato a vivere alle Casermette...
R.: "Eh , fino a che non mi han dato l'alloggio. Quando poi abbiam saputo che facevano le case... Anche perché per le case dei profughi qui a Lucento noi non avevamo diritto perché avevamo preso la liquidazione. Allora siamo andati in una comitiva dal sindaco, gli abbiamo detto: noi siamo in campo profughi, abbiamo dei bambini, possiamo mica stare a vivere così? E allora lui ci ha dato una lettera, [e ci ha detto]: con questa lettera andate alle case popolari [all'Istituto Autonomo per le Case Popolari], e con questa lettera vedrete che [risolverete il problema]. Siamo andati in quattro e abbiamo chiesto otto alloggi. Ci han dato sei alloggi: abbiamo chiesto otto alloggi ma eravamo in sei famiglie, in quattro li abbiamo presi, [mentre] gli altri due hanno cambiato idea perché dovevano pagare l'affitto e sono rimasti là dentro [alle Casermette]. Per dirti che io questo alloggio l'ho preso così, ufficialmente."
98) Ma sempre qui a Lucento?
R.: "Si, io abito di là, dall'altra parte. Sempre in corso Cincinnato io abito, a fianco al [numero] 49."
99) Il sindaco dell'epoca chi era?
R.: "Era quello democristiano, Peyron. Poi era venuto l'altro, il nostro - dico il nostro perché son di sinistra! - Novelli."
100) Mi diceva che a Torino si trovava lavoro facilmente. Dalle interviste raccolte ho però scoperto che alle Casermette c'era don M. che faceva da intermediario con le aziende. Lei sa qualcosa di più su questa vicenda?
R.: "Io non ci ho voluto avere mai niente a che fare, sai perché? Adesso te lo racconto... A parte il fatto che i preti mi hanno interessato sempre poco, mia moglie mi ha detto che quando andavano a confessarsi, più di una volta don M. le ha detto: ma lei ha il fidanzato? [Lei le ha risposto] si! E quando è con il suo fidanzato, dove le mette le mani il suo fidanzato? E allora mia moglie se ne andava, non le dava neanche risposta! Ma sono domande da fare?! Credimi a questo che dico, non ti dico una bugia, eh!"
101) A Torino posso chiederle come passava il suo tempo libero?
R.: "Ne avevo poco di tempo libero io... Si guardava un po' di tele, c'era il bar dentro alle Casermette, la sera c'era il cinema che era gratis... C'era il cinema gratis tutte le sere [alle Casermette], poi c'era un salone grosso dove giocavamo alle carte, c'era il biliardino. Poi giocavamo a pallone: avevamo tre squadre, la Julia, la Fiumana e la Fie. La Fie, Figli Italiani Estero, era la nostra. E facevamo i derby, facevamo campionato con le altre squadre [cittadine], sempre dilettantistiche, eh."
102) Vi frequentavate solo voi profughi delle Casermette o anche con altre persone?
R.: "Ma se eravamo un mucchio, dove dovevamo andare? Rimanevamo sempre là dentro."
103) Qui a Lucento, nel Villaggio, quando arriva?
R.: "Nel '56, novembre 1956."
104) Riesce a descrivermi com'era Lucento all'epoca?
R.: "Eh... Le strade erano di terra battuta, c'era fango dappertutto. Per arrivare davanti al portone di casa mia dovevi camminare sul fango, e poi col tempo, sai, è diventato tutto rose e fiori."
105) Quindi non c'era niente nel quartiere...
R.: "Niente, non c'era niente nel quartiere. Se non altro avevamo il lavoro, la tranquillità era quella, il lavoro. Che non mancava."
106) E sua moglie l'ha conosciuta in campo...
R.: "Si, si, nel campo."
107) Mi ha detto di non essere mai più tornato in Grecia...
R.: "Non son mai più tornato, mai più tornato."
108) E ne ha nostalgia?
R.: "Ma, qualche volta me lo immagino il mio paese, mi guardo le fotografie, ho le riviste di Corfù, ho una foto dove addirittura c'è la casa dove sono nato. Io sono nato a Corfù centro, dove c'è il palazzo reale, il palazzo reale greco che adesso anche quello è museo della città. Dove finisce il giardino del palazzo reale c'è via Teodosio, e lì sono nato io. Di fronte c'è poi una grande spianata: sai [come] piazza d'Armi [a Torino]? Più grande ancora di piazza d'armi e lì giocavano a calcio e a cricket, sai no cos'è il cricket? Noi bambini sempre a cricket giocavamo, perché sai com'era giocato in Grecia il cricket! Poi [giocavamo] con le birille [biglie]... E dalla mia casa al mare c'erano cento metri."
109) Il mare, ecco. Non le è mai mancato venendo qui a Torino?
R.: "Si, sempre mi è mancato, tant'è vero che io il 25 aprile, tutti gli anni andavo sempre a Venezia. Adesso sono due o tre anni che non vado più, per l'età, ma io tutti gli anni il 25 aprile non ero mai a Torino, via a Venezia! A San Marco. Però si, il mare si, sempre quello mi è mancato, il mare. Andavamo in Liguria, io per vent'anni di fila portavo i nipoti a Loano. Non era il mare di Corfù, ma il mare c'era!"
30/04/2010;
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