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CARTACEO: Intervista a Adriana S.

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Intervista a Adriana S.
Nasce a Fiume nel 1943 da padre sloveno e madre croata. Resta a Fiume fino al 1948, quando la sua decida decide di optare e trasferirsi in Italia. Arriva a Udine dove è accolta qualche settimana nel Centro di Smistamento Profughi. Da qui è inviata nel Centro di Raccolta Profughi romano di Cenocelle. Vi resta fino al 1949 anno in cui il padre, impiegato comunale a Fiume, ottiene un incarico presso il Comune di Cuneo. Nel 1961 si trasferisce per motivi di studio a Torino, dove vive ancora oggi. E' stata intervistata a Torino il 1 marzo 2012.Intervista e trascrive Enrico Miletto.
"Prima di iniziare devo dire una cosa... Se ci penso, io ho dei grossi rimorsi nei confronti di mio padre, perché io, insomma, sono cresciuta di sinistra! A un certo punto! E lui che tra l'altro non è mai stato fascista... Non so, comunque anche io sono stata figlia della lupa, nel senso che automaticamente, appena nascevi eri figlia della lupa. Però lui è sempre stato uno molto moderato, ha sempre votato ovviamente Democrazia Cristiana, essendo stato allevato dai salesiani...Però quando lui accennava a qualcosa, io non volevo neanche saperne. Anche perché dato che andavamo tutti gli anni in vacanza là [a Fiume], nonni, cugino, eccetera, eccetera, io avevo accettato il fatto che Fiume fosse Rjieka, punto. Anzi, prendevo in giro mio padre, gli dicevo: tu ti senti tanto italiano, ma la nonna parla sloveno! E mio ricordo quando la nonna diceva Adriana ciui e poi iniziava a parlare in sloveno! E quindi anche all'interno delle famiglie, questa situazione si è ripetuta. Non dico che fosse conflittuale, perché figurati era mio padre, però io non ci tenevo a conoscere [la storia]. Così, ogni tanto [mi interessava], ma tanto per sentire qualcosa, però in qualche modo ho censurato la memoria dei miei. E quindi mi rendo conto di cosa significa. Evidentemente la sinistra italiana ha sempre rifiutato, non ha mai cercato di capire [queste vicende]. Che poi toh, il fatto che stesso che l'unico che si occupasse degli esuli era Mirko Tremaglia, che naturalmente era del MSI e automaticamente ecco [che si pensava che fossero fascisti]. E poi invece no, loro [i miei genitori] non votavano assolutamente MSI, votavano democristiano. Tutti quelli che io ho conosciuto votavano democristiano. Perché il loro sentimento di italianità, non era un sentimento fascista: loro erano orientati mediamente in altro modo. Almeno, parlo per quelli che ho conosciuto io che erano tutti tranquillissimi! A Cuneo votavano tutti DC, ma figurati, quando mai! AL massimo non so, la sinistra DC!"

1) Iniziamo la nostra intervista. Ti chiedo un po' di dati anagrafici: dove e quando sei nata?

R.: "Ovviamente a Fiume, quasi sotto la Torre civica. Per uno che conosce Fiume, le mie finestre davano quasi sotto Piazza delle Erbe. Sono nata in casa nel '43. E mia madre è stata aiutata dalla levatrice che abitava al primo piano e noi abitavamo al terzo e quindi è stato abbastanza comodo da questo punto di vista. E quindi sono nata proprio nel centro: da una parte la Torre Civica con la sua brava aquila bicipite che poi è diventata monocipite e adesso ha perso tutto, ha perso proprio la testa! E a venti metri, praticamente, l'arco romano. E anche sotto la piazza c'erano delle rovine romane, che sono state puntualmente coperte quando loro [gli jugoslavi] hanno costruito qualche orribile centro commerciale o qualcosa del genere."

2) Puoi parlarmi della tua famiglia di origine: quanti eravate e cosa facevano i tuoi genitori?

R.: "Si, si. Allora, i genitori di mio padre erano sloveni, e venivano dalla zona di Villa del Nevoso, che io ho visto solo una volta nella mia vita andando in gita con mia nonna a trovare dei parenti, proprio mai conosciuti. Persone gradevolissime, devo dire...Poi, per quel che ne so, i miei nonno paterni sarebbero partiti, probabilmente con i figli piccoli per l'America. Se non fosse che mia nonna pativa il mal di mare, per cui sono saliti sul piroscafo e alla prima tappa sono ridiscesi! Quindi io sono nata, praticamente, perché mia nonna aveva il mal di mare! E poi sono sempre stati a Fiume, dove è nato mio padre e dove sono nati i suoi fratelli. E' solo che la nonna è rimasta vedova molto presto, perché allora si moriva di polmonite, e quindi si è ritrovata vedova con tre bambini. Il maggiore era mio padre, che aveva fatto le elementari sotto l'Austria-Ungheria, praticamente, perché è nato nell'11 e quindi fino al '19...E' stato ritirato da scuola, [cioè] alla fine delle elementari è stato ritirato da scuola ed è stato spedito in cantiere. A Fiume c'era il cantiere [navale], questa valvola di sfogo, e quindi ha poi fatto sempre da sé, non so spiegarti...Aveva...Naturalmente c'erano i due fratellini più piccoli, la mamma faceva dei lavori in giro, e sti bambini sono stati cresciuti dai salesiani. Perché i salesiani erano proprio vicini alla casetta della nonna, e la maggior parte del tempo libero - quello poco tempo libero! - lo passavano lì dentro. [Quindi] grande ruolo sociale dei salesiani, naturalmente! E lì mio padre ha imparato anche a suonare il trombone, quindi conosceva la musica, tant'è vero che a un certo punto ha suonato anche con Arturo Toscanini all'Opera, cosa di cui io ero orgogliosissima. E poi, a poco a poco, lavorava alla dogana, sul ponte che divideva Fiume da Sussak, e lì aveva già incontrato mia nonna che, arrangiandosi anche lei, faceva piccolo contrabbando, piccola borsa nera, andando avanti e indietro per questo ponte. E quindi mio padre la conosceva benissimo! E poi si è innamorato della figlia, l'ha vista ed evidentemente in una città non molto grande ci si conosce [quasi tutti]. E poi, un giorno che mia madre aveva dei problemi al naso - perché aveva una sinusite molto brutta - l'ha fermata e le ha chiesto: scusi signorina, sta male? Posso fare qualcosa per lei? Perché, naturalmente, quelle erano le forme [di approccio]. E si è subito offerto di trovarle un medico [per soccorrerla]. E poi durante la guerra, quando era già sposato, lavorava come un matto e poi, pian piano è entrato al Municipio di Fiume. E, contemporaneamente, studiava di notte e prendeva il diploma da computista commerciale, che è quello che gli ha permesso di passare poi al ruolo di impiegato. E aveva la passione del diritto amministrativo, che è proprio una cosa che lui ha sempre coltivato tantissimo. Tant'è vero che quando poi è arrivato a Cuneo all'ufficio tecnico, lui ha continuato sempre a studiarsi leggi e codici ed è diventato molto competente. E questo è mio padre. I suoi fratelli invece sono rimasti...Il secondo era molto intelligente - secondo me portato moltissimo per le materia umanistiche - ma anche lui è stato costretto ad andare a lavorare da piccolo. E poi lui è rimasto sempre accanto alla nonna [cioè a sua madre], e quindi non ha continuato. E il terzo, invece, è stato quello con una vita più avventurosa e più breve: essendo robusto, è finito nel battaglione San Marco, i marò, i lagunari. E si è fatto la seconda guerra mondiale in lungo e in largo: per quel che ne so io dev'esser stato anche in Giappone, in Africa...L'altro zio raccontava qualche episodio: ad esempio raccontava che in Africa, nel deserto, quando arrivavano gli aerei inglesi, loro acceleravano e si buttavano giù dal camion, perché i camion venivano bombardati. E si è salvato tante volte la vita così...Credo che sia stato anche ad El-Alameinn, e mi piacerebbe saperlo. Solo che, anche questo [fratello di mio padre], grande e grosso, è morto a Fiume in modo ridicolo: nel dopoguerra, era sul predellino del camion di un amico che gli stava dando un passaggio per andare dalla periferia al centro, e intanto chiacchieravano. Sai che i camion avevano il predellino, no una volta? E a un certo punto, arrivati a una curva, l'amico gli ha detto: va beh, fermo. Proprio perché [mio zio] doveva scendere lì. E lui gli ha detto: no, no, non importa, figurati, salto giù! Il camion ha rallentato, lui è sceso. Lui che si era buttato tante volte nel deserto dai camion in corsa, è sceso, ha messo male il piede, si è rotolato e ha sbattuto la testa contro il cordolo del marciapiede e ci è rimasto secco. E questo [è successo] che era giovanissimo, credo avesse meno di trent'anni, e quindi io non conoscerò mai la vita avventurosa del membro più avventuroso della famiglia."

3) E invece sua madre, era casalinga oppure lavorava?

R.: "E mia mamma la stessa storia...Dunque, anche lei era figlia di croati. Croati al confine con la Slovenia, ma croati, arrivati a Fiume quando si sono sposati o forse anche prima, non so. [Erano] croati dei dintorni: Ruppa, Sappiane, zone proprio limitrofe. Mio nonno è andato a scuola quindici giorni e basta, per la cresima, sotto l'Austria - Ungheria, in compenso però sapeva parlare sette lingue! E ha girato tutto il Mediterraneo, tutti i Balcani, lavorando per una ditta di legnami e andando a scegliere i legnami nei posti più sperduti. Ed era un ometto delizioso, assolutamente delizioso, molto simpatico e molto tollerante e molto aperto. E mia nonna, invece, è stata a scuola fino in quinta elementare, sempre sotto l'Austria - Ungheria, ma aveva una personalità molto forte, era una di quelle persone che si arrangiano. Durante la prima guerra mondiale, mio nonno è rimasto prigioniero - naturalmente combattendo dalla parte dell'Impero austro-ungarico - a Trento. E mia nonna, naturalmente, si è arrangiata con la borsa nera. Aveva imparato già allora, [d'altronde] con due bambini piccoli aveva incominciato ben presto ad arrangiarsi e a sopravvivere. E anche lei aveva un carattere...Era interessatissima alla politica, proprio appassionata, e [era] anche appassionata di opera. Fatto sta che in famiglia proprio tutti amavano l'opera, e questa è una caratteristica di tanti fiumani. Infatti, se ci fai caso, moltissimi fiumani hanno il nome d personaggi dell'opera. Non so, ad esempio, il mio zio più giovane si chiamava Odino: non so, si vede che a mia nonna piaceva Wagner! Oltre a Verdi e naturalmente ad altri. Ma poi non so...Ad esempio mia mamma aveva amiche che si chiamavano Norma e altri nomi da opera. Da questo punto di vista [l'opera] era una passione nella città: il loggione [del teatro] era sempre strapieno! E poi, naturalmente e puntualmente, quando mia madre stava facendo la prima media che è nato il suo fratello più giovane, la prima cosa che ha fatto la nonna è stata [quella] di ritirare la figlia undicenne da scuola perché guardasse il bambino. E quindi mia madre ha poi fatto la scuola di sarta, è diventata sarta professionista. Però ha sempre esercitato solo in casa, così, per le amiche. Si, da giovane esercitava anche per clienti, poi dopo sposata invece non l'ha mai fatto. E invece il fratello maggiore di mia madre era ragioniere, ed è quello che è rimasto a Fiume, perché ha sposato una croata - lei era di Sussak - ed è quindi rimasto lì. Invece il fratello più giovane, Odino, a diciotto anni se n'è andato. Quindi [è partito] alla fine della guerra, nel '45. Tant'è vero che lui non ha neanche optato, è semplicemente partito, e non so se lo considerassero quasi apolide. Poi ha girovagato un po' per l'Italia e poi è andato in Australia. E lì ha sposato un'italiana e poi, a un certo punto, sono ritornati in Europa, ma non in Italia: sono andati ad Amburgo. E lui poi era ad Amburgo ed è morto lì. E il secondo cugino che ho è ad Amburgo: io ne ho uno a Fiume e uno ad Amburgo e, naturalmente, son di nazionalità diversa."

4) Abbiamo parlato di Fiume. Posso chiederti di descrivermela? Cioè, che città era, anche da un punto di vista economico, sociale...So, ad esempio, che c'erano parecchie industrie...

R.: "Beh, si...Effettivamente, se ci penso, mio padre lavorava prima al cantiere, lo zio anche, mentre invece il nonno lavorava in questa fabbrica di legnami, poi quando i rapporti con la Jugoslavia sono diventati più difficili, anche mio nonno lavorava a Cantrida, al cantiere. E' vero che erano legati al cantiere. Poi per quel che ne so io - almeno a sentire i miei genitori - Fiume era anche una città elegante, sul modello triestino, con una popolazione che ci teneva molto ad essere a posto. Non so, ad esempio la passeggiata sul corso era il momento elegante della vita cittadina: dalle sette alle nove, rigidamente, eh! E questa abitudine si è poi conservata anche sotto la Jugoslavia: passeggiata dalle sette alle nove. Alle nove, via tutti! E poi so che i palazzi della riva erano molto belli e anche ben tenuti. Adesso li stanno restaurando man mano, e sono palazzi in stile secessione, questo stile viennese. Un misto tra il neoclassico e il liberty, abbastanza interessante. Quindi [Fiume] era una bella città, con i suoi bei corsi. Poi c'era, naturalmente, la città vecchia che era in stile veneziano, con le calli molto strette. E, tra l'altro noi abitavamo in calle Pipistrelli 10, che era praticamente la calle più piccola di tutta la città. E mio nonno aveva comprato lì l'alloggio al terzo piano. Che prima abitavano in calle Belveder, cosa che faceva mia madre molto contenta, perché era un bel quartiere, abbastanza elegante. E [mio nonno] aveva comperato lì e mia madre era disperata! Ma lui lo aveva fatto perché gli veniva più comodo per andare a lavorare, e tutta la famiglia si era trasferita lì. Però al terzo piano: la casa era stata sopraelevata, perciò il terzo piano era un po' più nuovo e c'era abbastanza sole e luce. Ma per dirti...Erano tre piani? Al primo piano abitava un'ostetrica, al secondo piano abitavano degli ostetrici e al terzo piano abitavano loro. Poi, se ti interessa saperlo...Ecco, quello che è successo dopo la seconda guerra mondiale è stato questo: come tu sai sicuramente, la popolazione se n'è andata, sono arrivati da tutte le parti ed è successo quello che è successo in tante parti d'Italia, per vari motivi. Cioè è successo magari di gente che ti arrivava nelle case eleganti e usava la stufa come tavolo, la vasca bagna per piantarci la verdura e faceva, magari, il fuocherello sul pavimento coi mattoni, capisci? Cosa che proprio faceva stringere il cuore ai vecchi abitanti della città perché, ti puoi immaginare, c'erano palazzi elegantissimi dove magari andavano su [per le scale] con le capre e facevano il focolare in mezzo alla stanza. E poi è successo questo, [e cioè] che son state occupate, man mano, tutte queste case della città vecchia da famiglie. Ma loro [le autorità jugoslave] ti mettevano dentro il più possibile: più gente ci stava, più te ne mettevano. Non c'era una famiglia, mettevano più che potevano, perché avevano carenza di alloggi e la città era [stata] chiaramente bombardata. E allora tutta sta gente, che erano inquilini che pagavano pochissimo, non riparava i tetti, capisci? E allora cosa succedeva? Che mano a mano i tetti perdevano, cominciava a piovere all'ultimo piano di queste case storiche veneziane. E l'ultimo piano veniva abbandonato, e abitavano poi soltanto al primo e al secondo. E poi man mano, si spostavano e alla fine la casa veniva distrutta, veniva abbattuta! E buona parte della città vecchia, è scomparsa in questo modo: quello che non ha fatto la guerra, l'hanno fatto nel dopoguerra. Invece la casa di mio nonno è rimasta in piedi, perché mio nonno andava sul tetto a ripararlo!"

5) Case che, se non sbaglio, erano occupate da persone arrivate dall'interno della Jugoslavia...

R.: "Si,si. Anche perché a Sussak...Sussak, ad esempio, era una cittadina elegante, e quindi non avevano motivo di lasciare Sussak per venire a Fiume dove stavano bene. Capisci? Avevano contatti frequentissimi, erano limitrofi e quindi non avevano bisogno di abbandonare casa propria per venire a Fiume. E quindi la gente che arrivava, arrivava veramente dalle zone più disastrate: chi sta ben non si muove!Era naturale, questo. "

6) Abbiamo parlato di Fiume e di Sussak. Posso chiederti ora com'erano i rapporti tra gli italiani e i croati?

R.: "Era un rapporto da un lato conflittuale, sempre dai racconti di mio padre e di mia madre."

7) In che senso conflittuale?

R.: "Conflittuale perché quando c'erano delle feste nazionali italiane, tutti gli italiani andavano lì lungo il muro vicino al canale [accanto alla linea di confine] e urlavano viva l'Italia, abbasso i croati. Non so, urlavano i loro slogan. E gli altri, naturalmente, si incavolavano e rispondevano per le rime. E quando c'erano le feste jugoslave era la stessa scena rovesciata. Quindi, da questo punto di vista c'era nazionalismo: il momento in cui c'era da celebrare la propria italianità o l'essere jugoslavi, questo era sentito, era partecipato. E quindi si urlavano anche ben ben contro. Però dall'altro lato c'erano scambi normali, come in tutte le città di frontiera, assolutamente."

8) Anche perché credo si possa dire che Fiume era una città italiana calata in un retroterra prevalentemente croato...

R.: "Ma certamente, certamente. Però, vedi, questo rapporto con l'entroterra era semplicemente di scambio. Scambio anche commerciale...Fiume non aveva entroterra, nel senso che l'entroterra era slavo e tutti i prodotti arrivavano dall'entroterra. C'erano me mlekarize, le cicce, i bodoli che venivano a vendere il vino...No, da questo punto di vista erano scambi normali per quel che ne so io."

9) Non si può dire quindi che fossero - mondo italiano e mondo slavo - due universi paralleli che non si incontravano mai...

R.: "Ecco, io ho sentito questo. E, in particolare l'ho sentito quando facevo lezione da Marco Buttino, che facevano un lavoro sulla tolleranza, sulle discriminazioni e sugli esodi. E' stato un anno interessante quello, ed è lì che mi sono resa conto di questo odio tra interno dell'Istria e costa, perché io prima non l'avevo [percepito]. Ma ti dico di più: ero talmente inconsapevole, che io fatto di andare a Fiume - diventata Rijeka - e vedere gente di tutte le parti della Jugoslavia che conviveva serenamente sotto Tito, mi dava proprio la sensazione di una città multietnica come era sempre stata. Perché Fiume è sempre stata multietnica: era austro-ungherese, ma c'era...Slavi ce n'eran per forza, compresi i miei nonni! E poi c'erano ebrei, c'erano tedeschi, cinese - mi dice mia madre -, c'era gente da tutto il Mediterraneo, è sempre stata una città multietnica. Io quando ho visto quello che è successo alla fine degli anni Novanta dopo la caduta di Tito e la caduta del muro, son cascata dal pero. Non riuscivo a capire...Mi dicevo: ma come, mio nonno nella stanza accanto alla sua aveva una bosniaca che abitava col marito, che lo aiutava tantissimo e lo trattava come un padre...Perché mio nonno ha poi dovuto affittare una stanza dell'appartamento, sennò gliela requisivano. Io ho conosciuto ragazzi di tutta la Jugoslavia [lì a Fiume] nella mia adolescenza, e non capivo, capisci? Poi, oltretutto, io come italiana son sempre stata trattata benissimo, e loro anzi erano sempre tutti desiderosi di conoscere l'italiano. E quindi io non capivo, non mi sono resa conto di questi odi, che sono poi esplosi in modo terrificante negli anni Novanta. Ma veramente, io non ho mai colto. E mio padre mi sembrava patetico, pover'uomo, perché lui imprecava contro gli slavi e contro Tito, eccetera. E io gli dicevo: ma se sei sloveno!"

10) Prima di iniziare l'intervista, parlando della tua giovinezza, mi accennavi al fatto di essere stata, come tutti, figlia della lupa. Posso chiederti, oltre a questo che ricordi hai o cosa ti hanno raccontato di quel periodo?

R.: "Di Fiume fascista?"

11) Si.

R.: "Quello che ti dicevo. No, non particolarmente...No, non so. Cioè tranne queste manifestazioni lungo la frontiera non ricordo [altro]. Ah beh, no, questo si, se vuoi...Mi ricordo che, naturalmente, mia madre e mio padre erano fortemente italiani, come del resto i loro fratelli. [Infatti] gli zii che sono rimasti là, si sono sempre considerati italiani, anche là, cioè pur restando sotto la Jugoslavia. Si sentivano fortemente italiani, però non mi hanno mai raccontato di episodi di intolleranza o cose simili. Ma anche nei confronti degli ebrei. [Nei confronti] degli ebrei [ad esempio] io non ho mai sentito una parola. Ma assolutamente, niente."

12) Invece della guerra ti hanno raccontato qualcosa? Prima mi accennavi al fatto che Fiume fosse stata molto bombardata...

R.: "Si, moltissimo. Sai che si dice che il primo ricordo, cioè che normalmente uno ricordi dai tre anni in poi. Invece io credo che il mio primo ricordo sia anteriore, perché ricordo me piccolissima in braccio a mio padre che sta correndo, che sta andando di corsa. E ricordo che sto guardando verso l'altro [e vedo] un cielo tutto rosso. E se non era un bombardamento quello, con mio padre che correva verso il rifugio, non vedo cos'altro possa essere. E quindi era prima del '45. E della guerra ti posso dire, non so...Mente i miei genitori correvano sempre in rifugio, mio nonno e mia nonna se ne fregavano altamente. E una volta mentre mio nonno era in camera da letto che dormiva perché non so che turno avesse fatto, e mia nonna era in cucina che lavava i piatti, e c'era un bombardamento, a un certo punto mia nonna ha sentito un rumore terrificante, è corsa in camera da letto, ha visto tutti calcinacci, tutta polvere, un buco enorme sul pavimento esattamente tra il letto e l'armadio. E mio nonno nel letto che dormiva. Cioè, non dormiva più, chiaramente, si sarà svagliato!"

13) Mi dicevi che tua nonna faceva dei piccoli contrabbandi. Ricordi se abbia continuato l'attività anche durante la guerra? Cioè, vorrei sapere se a Fiume c'era borsa nera e come funzionava.

R.: "Si, si, c'era. Però il problema era questo, e cioè che su cercavi di andare a procurarti le patate rischiavi veramente di essere fatto fuori dai partigiani, nel '44-'45. Fiume era proprio occupata dei tedeschi. Che tra l'altro mio padre ha rischiato di finire in un lager, perché a un certo punto han fatto deportazioni di massa. E l'unico motivo per cui non l'hanno portato via, è stato che aveva quarantuno di febbre, con la polmonite e stava morendo. Quindi sono arrivati, han detto: beh, tanto muore, e l'han lasciato nel letto a morire. E lui non è morto! Quindi ha evitato il lager per questo motivo, perché l'hanno visto moribondo. E poi però, comunque sia, lavoravano sotto la Todt a scavare trincee. E [tra] quelli che li sorvegliavano, mio padre aveva un bellissimo ricordo di un soldato della Wermarcht che quando non vedeva SS in giro diceva loro: riposate, riposate! Lui faceva la guardia, poverino. E quando vedeva arrivare le SS da lontano diceva: raus, raus, arbheit, arbheit! Cioè lavora, lavora, presto, presto, e quindi loro si rimettevano a scavare. [Questo] per dirti la differenza di comportamento che c'era anche all'interno dell'esercito tedesco."

14) Dei tedeschi che ricordo hai?

R.: "Mio padre aveva una grande ammirazione per i tedeschi, mentre evidentemente aveva un sacro terrore per i nazisti, questo è evidente. Ma loro per i tedeschi e per gli austriaci, non avevano affatto sentimenti ostili, anzi. Ma quell'esperienza è stata terrificante. Mio zio invece ad esempio è stato quasi ucciso da un tedesco. Perché lui era arruolato, lo zio materno, il fratello maggiore di mia madre che poi è rimasto a Fiume. E lui ha fatto la guerra: combinazione era in Piemonte. Non so come mai ma era in Piemonte. E quando c'è stato il tutti a casa - l'8 settembre - lui è stato praticamente nascosto, aiutato e protetto da gente di Viù, nelle Valli di Lanzo. E infatti aveva un amore sviscerato per i piemontesi, aveva questo grandissimo affetto. Poi, pover'uomo, si è fatto dal Piemonte a Fiume a piedi per rientrare a casa, e non so assolutamente quanto ci abbia impiegato. Comunque è arrivato a casa. Dopo di che, un giorno era uscito e stava rientrando. In quel momento - doveva già essere il '44 - la città vecchia era percorsa da un tedesco, uno della Wermarcht, che aveva avuto notizia che la sua famiglia era stata sterminata per un bombardamento. E quindi stava girando per Fiume e sparava a tutti quelli che incontrava, ammazzandoli. E purtroppo ha incontrato anche mio zio all'angolo di casa sua: gli ha sparato, gli ha preso un polmone e gli ha perforato un polmone. E quindi c'era mio zio sotto, mia nonna da sopra che ha urlato appena ha visto il figlio sotto e il tedesco ha pure sparato verso di lei. Il nonno ha cercato di scendere per andare a soccorrere il figlio e [il tedesco] ha sparato contro il portone: poi per fortuna se n'è andato e l'hanno poi ucciso. Questo solo per dirti che i rapporti erano questi. E poi, se ti interessa dal punto di vista alimentare, per Fiume [la guerra] è stata veramente una tragedia perché con l'entroterra partigiano e i tedeschi in casa, da mangiare non ne trovavi assolutamente. L'unica cosa era che in quegli anni il golfo del Quarnaro era pescosissimo, e allora la popolazione locale si è proprio salvata in questo modo, col pesce. [In proposito ti racconto un'altra cosa]: mia nonna aveva una casetta che aveva venduto. L'aveva venduta e aveva preso i soldi di questa casetta. Durante la guerra ha trovato una contadina con un chilo di burro, e per quel chilo di burro le ha dato i soldi della casa. Un'intera casa per un chilo di burro, e ancor grazie!"

15) Da una parte i tedeschi e dall'altra i partigiani. Credo che tu non abbia ricordi diretti in proposito, ma posso chiederti se negli anni ti hanno raccontato qualcosa in proposito. Cioè, che visione c'era di coloro che stavano in bosco?

R.: "Chiaramente di terrore. Mio padre, per dirti, uno dei pochi racconti che gli ho sentito fare è stato di un medico - che lui stimava molto - che è stato...Cioè, in quanto medico lui aveva soccorso qualcuno che era ferito. Dopo di che lo han preso i partigiani e gli hanno messo dei mozziconi di sigaretta accesa negli occhi, gli hanno tagliato le mani, la lingua e le orecchie e poi l'hanno buttato in una foiba. Cioè, mio padre era proprio sconvolto. Ma soltanto perché aveva curato qualcuno, capisci? Ecco, questo è uno dei pochissimi racconti che io gli abbia sentito fare."
16) Hai accennato alla foibe. Presumo che tu ne abbia sentito parlare subito...

R.: "Si, si, ma dicevo: insomma, ne han fatte di tutti i colori da una parte e dall'altra... Il ricordo che ho più evidente è questo, di altri no. In compenso quello che ricordo - sempre da racconti successivi - è che mio padre era terrorizzato dall'OZNA. Erano tutti terrorizzati dall'OZNA, perché la gente spariva. Spariva proprio! Ma per dirti, mio padre lavorava Municipio ed era uno di quelli che si magari si arrabbia, si infervorano...Lui aveva un capo che era slavo, però era una brava persona, era molto simpatico, e quando mio padre incominciava a sbraitare contro mi titini e contro questi jugoslavi che non capivan niente, l'altro andava a chiudere la porta e gli diceva S. stia zitto, stia zitto. Ovviamente in croato, perché mio padre parlava croato e anche mia madre parlava croato, non hanno mai avuto problemi, erano assolutamente bilingue. Infatti mio padre a Cuneo faceva anche da traduttore: quando arrivavano dei documenti li traduceva lui."

17) La percezione dell'OZNA era quindi questa...

R.: "Si, si, si. Eccome, eccome. Erano molto presenti...Pensa che quando noi siamo tornati in Jugoslavia , che siamo usciti nel '48 e siamo tornati nel '52, appena hanno aperto le frontiere perché c'erano i nonni, i genitori dei miei e quindi siamo tornati subito. Ma io mi ricordo che per anni, [anzi] per decenni, mio padre quando passava quel confine tremava come una foglia, non riusciva neanche a firmare [i documenti]. Era tutto sudato e tremava. A lui i drusi, cioè i soldati che salivano sul treno, mettevano un'angoscia terrificante: aveva veramente paura. E l'altro zio, quello australiano - quello che se n'è andato a diciotto anni - è tornato a Fiume solo quando sono morti mio nonno e suo fratello, e quindi eravamo nel '70-'71. Ti puoi immaginare...Non è mai più tornato, perché diceva: appena metto piede là mi arrestano! Il rapporto era molto duro."

18) Tu seppur molto piccola, hai vissuto il passaggio dall'Italia alla Jugoslavia. Che ricordi hai in proposito?

R.: "Dei racconti? No, niente di particolare. Semplicemente un giorno hanno visto i partigiani per la strada."

19) Ho capito. E che visione è stata?

R.: "Ecco, questa è una cosa che effettivamente non ho mai approfondito, mi spiace. Però è una cosa che ha fatto stringere il cuore. Anche, paradossalmente, ai miei nonni, che erano slavi. Però erano vissuti prima sotto l'Austria - Ungheria, poi sotto l'Italia, ma sotto la Jugoslavia mai. Il paradosso è che mio nonno sotto l'Italia, quando c'era crisi, disoccupazione, c'erano problemi di tanti tipi, mio nonno continuava a lavorare con la Jugoslavia, [visto] che la sua fabbrica di legnami era a Sussak. Quindi lui continuava a lavorare con la Jugoslavia serenamente, e quando si parlava con i miei genitori, mio nonno diceva: si stava meglio sotto l'impero! Economicamente. E c'era anche una bella canzoncina: quand'era Ceco Bepe che imperava, piangeva el cor ma lameno se magnava. Adesso che cantero giovinezza piange el cor per la gran debolezza! Forse l'hai già sentita..."

20) L'impatto coi partigiani è quindi stato forte...

R.: "Si, è stato forte. E' stato forte anche poi soprattutto per questa invasione anche un poco fisica, no? Hanno cominciato a girare per le case e vedere dove che potessero infilarti della gente. E poi per l'atteggiamento, perché erano quasi tutti in buona misura analfabeti, e tanto più arroganti quanto più analfabeti, capisci? Il rapporto che c'era con gli abitanti di Sussak era tutt'altro, perché era gente normale, di normale cultura, di normale istruzione e così via. Il rapporto con questi era [invece] tutto un altro par di maniche: era proprio di arroganza, di prepotenza. E quindi era duro. E poi però quando è arrivato Tito, c'era anche della gente che era contenta."

21) Beh, a Fiume, almeno inizialmente credo che la classe operaia in qualche misura lo fosse...

R.: "Si, è vero...C'erano delle persone e hai anche ragione...Se n'è andata via soprattutto la borghesia: per esempio a P., dove abitava la nonna paterna - che abbiamo una casetta in alto - lì maggior parte della popolazione - adesso che mi ci fai pensare - è rimasta, ed era - è vero - classe operaia. Però poi non erano affatto contenti! Guarda, noi abbiamo un nipote di mio nonno, meraviglioso: Ivan F.. E' divertentissimo. E' un comunista convinto, di professione pittore, scultore, naif. Sai questi famosi naif che hanno avuto anche una certa fortuna per un periodo? Operaio, poi è andato in pensione presto ed è tutto dedito alla sua arte: lui è rimasto integralmente comunista fino alla fine. E quello che mi faceva ridere, era che se tu lo vedevi fisicamente, sembrava la controfigura di Hitler! Buffissimo! Aveva la stessa faccia, gli stessi, occhi, tra l'altro un comunista convinto! Buffissimo, uno dei parenti più simpatici che avevo!"

22) Parliamo ora dell'esodo. Mi hai detti che parti nel 1948. Parte tutta la tua famiglia?

R.: "No. Io, mia madre e mio padre e basta. Lo zio Odino era già partito, basta."

23) Vista la tua età, tu hai seguito la decisione dei tuoi genitori. Ma se ti dovessi chiedere quali sono state le cause, cioè perché i tuoi genitori sono partiti, cosa mi risponderesti?

R.: "Ma, sicuramente perché si sentivano italiani, mio padre soprattutto. Lui proprio detestava la situazione che si era creata. Loro hanno aspettato fino a quando hanno potuto optare, perché mi sembra che hanno optato solo nel '48. Perché prima non potevano, mi sembra che ci sia stato un accordo: cioè, prima potevi scappare, ma non scegliere. Lo zio Odino è scappato, invece no, chi è partito nel '48 è partito in seguito a una scelta, a un'opzione e quindi è partito regolarmente in treno, con i suoi mobili e le sue cose."

24) Avete optato e siete partiti subito, dunque.

R.: "Questo non lo so, non te lo so dire."

25) Ti ho fatto questa domanda perché non so se hai mai letto Verde Acqua di Marisa Madieri...

R.: "Si, si, ce l'ho da qualche parte."

26) Benissimo. A un certo punto, descrivendo i mesi che intercorrono tra l'opzione e la partenza, la Madieri parla di vere e proprie ritorsioni adottate contro coloro che avevano scelto di partire. Fa l'esempio di suo padre al quale era stato tolto il lavoro, la casa e altro. Volevo sapere se voi avete vissuto un'esperienza simile...

R.: "A noi no, non ci è successo. Ma anche perché secondo me da quel che ho capito, loro non avevano tanta gente competente da mettere negli uffici sai? E quindi uno competente a loro serviva proprio. No, questo a noi non è successo. Però siam partiti noi, ma tutta la nostra famiglia è rimasta."

27) E come mai il resto della famiglia è rimasta?

R.: "Perché mia nonna e mio nonno erano palesemente slavi. Non erano affatto contenti del nuovo regime e del nuovo governo - a loro non piaceva - però quella era la loro casa e la loro terra, e quindi non avevano motivo [di andarsene]. Poi, ti ho detto, il secondo fratello di mio padre guardava la nonna e non era sposato, poi non era tipo da affrontare una cosa [come la partenza] e poi si sentiva questa responsabilità della madre. Il terzo - quello che è morto giovanissimo - non ho mai capito [perché è rimasto, ma] credo che anche lui avesse una donna croata. Ma credo anche che avessero divorziato...Guarda, non lo saprò mai...E invece il secondo zio - il fratello di mia madre - quello è rimasto con la moglie croata, ma con quello abbiam sempre mantenuto rapporti. Anzi, figurati, lei ha preso anche la pensione di reversibilità quando mio zio è morto. Dall'Italia l'ha presa!"

28) Partite nel 1948. Come partite? Riesci cioè a raccontarmi il viaggio? Hai dei ricordi?

R.: "Si, li ho, li ho. Te l'ho detto: siam partiti di notte, poteva essere dopo mezzanotte. E quindi io mi ricordo questa stazione completamente buia, proprio buia, non ricordo luci, piena di gente. Anche in treno buio mi ricordo, non c'era luce sul treno. So che c'era gente che cantava...Non so canzoni di bastimenti, canzoni di esuli...Mi ricordo questi cori molto tristi e mi ricordo i nonni sulla pensilina e me che piangevo disperata strillando nonna, nonna! Quello me lo ricordo benissimo. Cioè, me lo ricordo proprio: mi ricordo i parenti e le facce che si allontanavano [dopo che il treno era partito]. Come mi ricordo l'arrivo a Udine. Il viaggio di per sé, non so, c'era sta notte, il buio...[Perché] abbiamo fatto Fiume - Udine in treno. E quando siamo arrivati a Udine, mi ricordo ancora il campo di raccolta, sai. Era, praticamente, degli stanzoni. Stanzoni divisi...I speraé erano coperte: cioè, per dare un minimo di privacy, c'erano delle coperte o delle cose così che ti separavano i letti."

29) E il campo di Udine cos'era, una caserma?

R.: "E chi se lo ricorda! So soltanto...Ho questo falsh di queste brande, e poi mi ricordo che facevamo la coda per prendere il cibo con la gamellina. E mi ricordo che la mattino mia mamma era andata e c'era il latte in polvere - e tra l'altro io ero una piaga per mangiare a Fiume - e una mattina mia madre è ritornata senza niente, dicendo no, non ho preso il latte perché non me la sono sentita. [Non se l'era sentita] perché ha visto il cuoco che col mestolo con cui dava il latte, a un certo punto se l'è messo dietro la schiena e ha tirato via qualcosa dal latte. E allora lei ha fatto il giro per vedere cosa c'era e c'erano tre scarafaggi! Allora non l'aveva preso. E io le ho detto: ma mamma, potevi prenderlo per me! E mi dice: ma lo mangeresti? [E io]: si! Allora lei è ritornata e mi ha preso il latte. Cioè in campo profughi io ho improvvisamente acquistato l'appetito, che non avevao invece in casa dei nonni dove ero viziatissima. E mi ricordo questo. Mi ricordo scarafaggi nel latte ad esempio, una cosa di questo genere."

30) Torniamo solo un attimo all'esodo da Fiume, perché ho dimenticato un passaggio. Da Fiume è andata via tanta gente. Vorrei chiederti se voi avevate la percezione di una città che si svuotava...

R.: "Si, si. Per esempio io mi ricordo le scene a casa mia quando è partito mio zio. Lo zio Odino che se n'è andato. Percezione diretta no? Cioè uno di casa che va via. Come mi ricordo quando mio padre ha venduto le cose che non portava con sé: per esempio mi ricordo ancora il suo trombone lì per terra e aspettava uno che venisse a prenderlo, a comprarglielo, perché dietro non poteva portarselo."

31) Perché c'erano delle limitazioni...

R.: "Eh si, perché noi abbiam portato dietro solo la camera da letto, e neanche la nostra, ma quella vecchia della nonna, perchè la nonna ha detto a mia madre: ma cosa vai in giro con questa camera belle, nuova? Sai, classico novecento in noce scuro, elegante, moderna. Dice: nei campi te la rovinano, te la massacrano! Prendi la mia vecchia, così almeno non hai problemi. E quindi abbiamo fatto questo cambio, ma è vero, perché i nostri mobili sono rimasti a Trieste. [Sono rimasti a Trieste] per un sacco di tempo, penso un anno a marcire nel fango in un deposito. Poi la percezione dello svuotamento [della città] si, [l'ho avuta]. Per esempio io ricordo che al piano di sotto gli orefici son partiti prima di noi, e che è arrivata della gente che non conoscevamo. Quindi si, questa percezione della casa che si riempie di estranei si, ce l'ho."

32) Ritorniamo all'arrivo in Italia. Voi andata a Udine. Dopo cosa succede?

R.: "Siamo stati lì un mese, prima di essere smistati a Roma, a Centocelle. E lì i ricordi sono anche abbastanza nitidi."

33) Ad esempio?

R.: "Per esempio mi ricordo che prima abbiamo abitato in una parte di Centocelle sulla destra. C'era questo grande cortile con tutte queste casermette intorno."

34) Quindi un campo profughi anche quello...

R.: "Certo, un campo profughi che era stato usato - credo- anche per altre situazioni. La F. l'altro giorno mentre le chiedevo se voleva farsi intervistare da te, l'altro giorno mi diceva: ma chissà che se ti te restavi a Centocelle eri più fortunata! Perché poi hanno costruito l'EUR per le Olimpiadi, e poi tutte queste case dell'EUR, belle e nuove, a chi le han date? Ai profughi! Quindi a Roma hanno avuto più sedere! Vabbè...Comunque ti dicevo che [lì a Centocelle] prima c'era una parte con stanzoni di legno, cioè stanze divise con tramezze di legno imbiancate a calce per i pidocchi. E quindi siamo stati lì per qualche mese, e poi invece ci siam trasferite dall'altra parte del campo dove invece c'erano sempre muretti divisori bassi, ma in muratura, non di legno. Quindi erano veri e propri pezzi di stanze, anche se, naturalmente, la parte alta era non chiusa per la ventilazione e anche per la luce. Perché erano stanzoni divisi. E quello che io mi ricordo è che mia madre era furibonda, perché tu sai che alcuni fiumani sono molto alti, altri sono piccoli...IO per esempio ho dei parenti che per entrare in casa nostra dovevano chinarsi sotto la porta: i parenti di mia madre erano così...E allora mia madre era furibonda perché diceva che ogni tanto passava qualcuno che da sopra i tramezzi diceva: buongiorno! E magari mentre tu ti stavi cambiando, quello passava e guardava...Guardava dappertutto, dentro tutte le stanze. Cioè, non c'era molta intimità da questo punto di vista."

35) E nel campo a Centocelle - che tu ricordi- c'erano ad esempio dei servizi tipo le scuole, l'asilo...

R.: "Si, c'erano le scuole, però io non ero ancora in età scolare, e quindi non ho frequentato nulla, non sono andata all'asilo. Però mi sembra che ci fossero delle scuole. Poi lì, ad esempio, mia madre guadagnava qualcosa lavorando come sarta, e quindi da questo punto di vista aveva sempre qualche soldo."

36) Perché lì nel campo c'era una sorta di assistenza?

R.: "E poi ti davano da mangiare. E il mangiare avevi due possibilità: o te ne facevi un po' tu se avevi dei soldi, o altrimenti c'era la mensa del campo. Cioè, la mensa...Il solito gamellino con cui andavi a prenderti la roba. E mia madre col fatto che riusciva a tirare su qualche soldo, di solito cucinava lei. E quindi avevi la possibilità di mangiare per conto tuo della roba preparata da te. Se invece non avevi soldi, mangiavi quello che c'era. E c'era gente che andava in giro a fare lavoretti. Per esempio mio padre, nel primo mese in cui è rimasto con noi, mentre girava per ministeri per cercare di farsi riconoscere il suo trasferimento in un comune italiano, è andato per esempio a Cinecittà a fare la comparsa. E quindi qualche soldo lo tirava su in quel modo. E poi, per esempio, si è trovato il giorno dell'attentato a Togliatti, lui si è trovato esattamente a passare per quella piazza lì. Quindi ha sentito lo sparo, ha visto i tafferugli, la carica della polizia, la celere che è arrivata [e che] stavano anche per prendere lui e saccagnarlo di botte e caricarlo su un camion. Lui che è passava di lì...E poi tra l'altro, te l'ho detto, mio padre era anticomunista, quindi proprio [in quel momento non c'entrava nulla]. Ed è stato salvato da qualcuno che lo ha conosciuto [e che gli ha detto]: S., ma cosa che la fa qua, vada via! Quindi si è trovato anche in mezzo a quest'avventura."

37) Mi hai detto che dopo Udine siete stati a Roma. Volevo chiederti una cosa: siete voi che avete scelto Roma, oppure vi hanno mandato loro?

R.: "Non lo so. Probabilmente mio padre ha scelto Roma per i ministeri, per seguire la sua pratica, capisci? E infatti nel giro di un mese ha trovato la nuova destinazione. Penso che fosse quello il motivo."

38) Anche perché c'era una legge che decretava l'assunzione di ufficio ai profughi che lavoravano nella pubblica amministrazione, con la stessa mansione, nel comune di nuova residenza.

R.: "Si, si, cosa che non è avvenuta perché lui è stato assunto come l'ultimo degli avventizi. Però poi, col tempo, gli hanno fatto la ricostruzione della carriera."

39) Mi interessa sapere anche un'altra cosa. Qual è stato il tuo impatto con il campo profughi?

R.: "Non è stato negativo. Sai, ero con mamma e papà. Te l'ho detto, ho cominciato a mangiare! Io non ricordo di aver pianto. E poi, dato che ero una bambina socievole, lì c'erano altri bambini, e quindi...Anzi, il paradosso è questo: io mi ricordo che quando è partito mio padre, che mia madre ha fatto amicizia in particolare con una triestina simpaticissima, mi ricordo grandi risate. Perché questa qua era veramente divertente come donna: era anche una bella donna, giovane, carina, molto spiritosa. E io mi ricordo mia madre e lei che ridevano sempre, anche lavorando. Io non ricordo uan situazione di particolare sofferenza."

40) E invece tu pensi che per chi era un po' più anziano sia stato diverso l'impatto?

R.: "Ma, forse è stata questa loro capacità di adattarsi, che probabilmente ha influenzato anche me. Beh, mio padre se n'è andato quasi subito, e mia madre era una donna intelligente, di quelle che non si perdona mai d'animo. Come sua madre ad esempio, anche mia nonna era così. Doveva avere due palle mia nonna!"

41) Mi hai parlato del campo di Centocelle, a Roma. Riesci a dare una descrizione dettagliata della struttura?

R.: "Si. Io ho visto qualcosa di simile poi a Cuneo, negli alloggi dei sottoufficiali della Caserma locale. Sono degli edifici a un piano: un quadrilatero circondato da edifici a un piano. E' come un serraglio, con tante porte e poi delle divisioni interne. Cioè, tante porte però Per cui tu entravi in una di questa porte, ma non avevi un alloggio, avevi soltanto un pezzo. E non mi ricordo dove fossero i servizi...I servizi erano in comune. Però, forse, ogni unità aveva un servizio, credo."

42) E ti ricordi se lì dentro, oltre la scuola, ci fossero che so dei luoghi di svago, uin'infermeria...

R.: "No, assolutamente, il luogo di svago per noi era il cortile. Credo che ci fosse anche scuola per i bambini in età scolare. Una piccola infermeria doveva esserci, perché so che lì ad esempio ci han fatto l'antivaiolosa. E quella me la ricordo bene, perché so che lì sono andata da sola senza nessuna paura e senza nessuna preoccupazione a farmi fare questa antivaiolosa e poi mi sono gonfiata così [tanto], mi è venuta la febbre a quaranta, e quindi me la ricordo benissimo. Quindi si, si, le vaccinazioni c'erano. E ricordo anche - questo si - che poi a un certo punto ho preso la varicella - che c'erano le epidemie, figurarsi in un posto del genere! - e che mia madre mi ha nascosto, perché altri bambini che avevano preso la varicella sono finiti all'ospedale, e all'ospedale si son presi pure la scarlattina e quindi sono tornati dopo un sacco di tempo in condizioni miserande! E quindi lei ha nascosto me e la mia varicella e mi ha curato lei e buonanotte!"

43) E dopo Roma qual è stato il tuo percorso?

R.: "Cuneo. Perché mio papà è stato trasferito a Cuneo."

44) E quindi voi a Roma quanto siete stati?

R.: "Un anno, un anno. Doveva essere...Si, siamo arrivati a Cuneo nel 1949. E a Cuneo non siamo andati alla Caserma Leutrum, perché mio padre lavorava da un po', però ti garantisco che non era meglio, non credo! Perché abitavamo al Cappello Verde. Dunque, tu sei pratico di Cuneo?"

45) Un po'...

R.: "Allora, il Municipio è in fondo. Facendo via Roma, prima di arrivare al Municipio, l'ultima strada a destra è via...Come diavolo si chiamava? Non mi ricordo più! Comunqe, insomma, la strada prima del Municipio, giri a destra è lì c'era questa osteria del Cappello Verde, la locanda del Cappello Verde. [Era] una classica osteria: entravi nel cortile, classico cortile piemontese coi balconi a ringhiera e le stanze che si affacciavano su questi balconi. Quindi noi avevamo una stanza al primo piano su questo balcone. Una stanza, naturalmente, coi travi, si i vecchi travi di legno che sporgono dal soffitto? I travi di una volta. E, quello che c'era in abbondanza erano gli scarafaggi! Di cui ho sempre avuto il terrore: da piccola non avevo tanta paura, ma ora come ne vedo uno muoio! E allora mi ricordo che mio padre [quando] entravamo [nella stanza] la sera, lui apriva la porta al buio, prendeva la scopa che era nell'angolino dietro la porta e poi di scatto accendeva la luce e incominciava l'inseguimento! Erano tempi così. E mia madre, astutissima, aveva i suoi sistemi: metteva una bacinella con acqua e aceto con dei pezzi di stoffa che pendevano, bagnati, e questo era a quanto pare un richiamo: si annegavano tutti! E poi li buttava nel water e buonanotte."

46) Ho capito. Era però una casa privata, non c'entrava nulla col campo profughi o cose simili...

R.: "Un albergo, un vecchio albergo. No, no, con il campo non c'entrava nulla, assolutamente. Era la stanza d'albergo in cui lui abitava e in cui siamo venuti anche noi. E anche lì abbiamo abitato meno di un anno, perché nel frattempo il Comune stava costruendo la sua casa per i dipendenti, la provincia pure...Era inizio anni Cinquanta. E quindi ci siamo trasferiti già alla primavera successiva in queste case, perché in quanto dipendenti comunali abbiamo avuto diritto alla casa, noi e altri. [Anche se] lì nella nostra casa eravamo gli unici [profughi]. Te l'ho detto, che eravamo quasi sempre gli unici."
47) Qualche giorno fa, quando ci siamo sentiti al telefono per concordare l'intervista, mi hai parlato della caserma Leutrum di Cuneo...

R.: "Si, anche se guarda, io ho un ricordo molto sfuocato di questo. Potrebbe darsi che una volta fossi andata a trovare una signora di Zara con mia madre. Ma è un ricordo che non so neanche se sia...Mi sembra di esserci entrata una volta, ma è un qualcosa che io ho richiamato alla memoria dopo aver parlato con te."

48) Tornando alla presenza giuliana a Cuneo. C'eravate voi e pochi altri (nel 1949 i dati parlano di 64 persone). Avevate dei contatti?

R.: "Si, tutto il gruppo. Cioè, chiaramente i miei si vedevano [con gli altri]. Anzi, la mia madrina di cresima naturalmente era di Fiume e abitava a poca distanza da noi; mio padre aveva un collega che era di Fiume e che si chiamava P.. P. però è già la modifica di P., cioè lui aveva cambiato il nome, e loro erano di Fiume, naturalmente. Lei era la mia madrina di cresima, ed erano proprio amici: figurati, mio padre aveva trovato un collega, quindi capirai! Poi aveva trovato un altro che era suo compagno di scuola alle elementari sotto l'Austria - Ungheria e che è finito anche lui a Cuneo. E lui era di una famiglia di gioiellieri, faceva l'orefice...Anzi non l'orefice, faceva l'impiegato di banca. Però ad esempio a Fiume un intero palazzo, [che si chiamava] palazzo Bacic era della sua famiglia. E io so che loro dovevano essere riusciti a portarsi via parecchio oro in qualche modo. [E avevano portato via] anche quadri, perché poi so che a Milano avevano vari alloggi."

49) Quindi a Cuneo c'era un nucleo di esuli che si frequentava.

R.: "Si, si. Molti erano dipendenti pubblici, si, si. Di solito si. Era quel ceto piccolo-borghese."

50) Posso chiederti come siete stati accolti una volta arrivati a Udine, a Roma e a Cuneo?

R.: "Allora...Di Udine non ricordo assolutamente nulla perché eravamo tanti e ricordo soltanto qualche lampadina pendente, queste brande brutte e questo cibo così. Ma io non ho avuto contatti con gente del posto, capisci? L'hanno avuto di sicuro i miei genitori, ma io non mi ricordo nulla. A Roma la cosa che ricordo di più è che nel campo frequentavo anche gente delle mie parti: c'era una bambina con cui ero molto amica, si chiamava Marinella ed è rimasta a Roma. C'era poi altra gente, però non ricordo i romani. Invece ricordo molto bene Pio XII. Da censura! Perché questa brava persona, ha indetto un giorno l'incontro con i profughi giuliani. E allora noi siamo partiti tutti, e da Centocelle si prendeva il trenino, perché c'era il trenino per andare in centro e a Città del Vaticano. E quindi siamo partiti tutti al mattino, per andare a Città del Vaticano. Poi [quando siamo arrivati] ci hanno piazzati tutti a far ressa in un enorme atrio, tutti dietro le transenne in attesa e abbiamo aspettato per delle ore. Poi a un certo punto si è aperta una porta in fondo, è comparso lui sulla sedia gestatoria portato a spalle, ci è passato davanti facendo il segno e benedicendo di qua e di là, non ci ha detto crepa - e me lo ricordo bene - ed è passato dritto fino a un'altra porta grande che si è richiusa alle sue spalle. Questo è stato l'incontro con Pio XII. Poi, a quanto pare, è andato invece a tenere un discorso in una sala dove probabilmente c'erano i rappresentanti dei profughi. Ecco, ma a noi [ci avesse detto] una parola che fosse una! Poveretti, non so, pregherò per voi...Intendo dire, non gli mancano le parole a un papa! Invece niente, ed erano tutti incavolati neri! Perché tu perdi la tua giornata, ti prendi il treno, stai lì ad aspettare come un cretino...Invitato eh, perché ci avevano invitato all'incontro coi profughi. E nulla, invece.- E quindi questo me lo ricordo benissimo, e mia madre se l'è ricordata per tutta la vita ed era furibonda anche lei. Quindi questo è l'incontro romano più interessante che abbiamo avuto con papa Pacelli."

51) E a Cuneo l'accoglienza dei cunesi com'è stata?

R.: "A Cuneo ad esempio ricordo che in questo posto dove abitavamo c'erano due anziane signorine che abitavano più in giù e avevano anche la finestra che si affacciava allo stesso ballatoio, e mia madre aveva fatto subito non dico amicizia ma buoni rapporti di vicinato e cortesia. E poi anche, per esempio, quando siamo andati nella casa dei dipendenti comunali, le mie amiche erano loro, erano le figlie dei colleghi di mio padre."

52) Quindi non ci sono stati episodi di discriminazione...

R.: "Mio padre ha avuto un'accoglienza terribile di cui non mi ha mai parlato. E questo [è successo] al municipio a Cuneo, che quando è arrivato, alla prima riunione del Consiglio comunale [c'è stata] un'immediata delibera di rifiuto: non volevano assolutamente saperne di un impiegato capitato loro tra capo e collo da chissà dove. Una lettera durissima [che diceva] che loro rifiutavano, che chiedevano al ministero di recedere da questa decisione. Dicevano che non volevano, che non avevan bisogno, che eran tempi di difficoltà per cui figurarsi, un impiegato in più. Insomma, proprio un rifiuto totale!"

53) E secondo te come mai?

R.: "Ma perché figurati, in una piccola città come Cuneo, vedersi arrivare un profugo all'epoca nel '48, non era evidentemente nella mentalità del posto. I cunesi non sono gente che ti accoglie immediatamente. Però poi devo dire che nonostante mio padre abbia poi conservato amicizie con i suoi conterranei, aveva anche delle belle amicizie con i suoi colleghi."

54) Quindi, rifacendoci all'accoglienza avuta da tuo padre, possiamo dire che forse poteva essere visto come colui che arriva a rubare il pane ai lavoratori locali?

R.: "Si, si, certamente, certamente. All'inizio si."

55) In quarto senso quindi lo stereotipo istriano fascista, tanto diffuso nei primi anni, non sembra avere presa su questo tipo di accoglienza...

R.: "No, non lo so, anche perché loro erano democristiani. Ma era più per il lavoro, anche perché non penso che ci fossero motivazioni politiche. Anche perché poi il suo capoufficio - [si chiamava] L. - lo ha preso subito a ben volere. E infatti io ricordo che la prima casa di un piemontese che non fosse un nostro vicino di casa e in cui sono entrata quando avevo sette anni, era proprio casa sua, che un giorno ci ha ospitato e ci ha invitato in occasione della mia comunione. C'era un rapporto di stima e lui col tempo è stato poi accettato benissimo, nonostante avesse un caratterino mio padre! Lo chiamavano tedesco, perché era sai di quelli [integerrimi]. Non so, nonostante fosse un baciapile tremendo, se qualche prete veniva a raccomandargli qualcuno lo cacciava non dico urlando ma quasi. Era uno che non ne voleva sapere di raccomandazioni, sai questa mentalità da est, da mitteleruropa."

56) Siamo quasi arrivati alla fine...Ti chiedo solo più alcune cose. La prima è se mi racconti, brevemente, come si è dipanato il filo della tua vita. Cioè tu sei stata a Cuneo e dopo?

R.: "No, il resto è banale. Io ho fatto tranquillamente le scuole, puntualmente ho avuto ottimi rapporti con le mie compagne di classe - con alcune ero amica con altre meno - naturalmente cunesi e poi niente, ho fatto le medie e io ero l'unica fiumana. Ma il mio modo, la mia capacità di esprimermi era superiore a quella delle mie compagne, perché loro strascicavano la voce. Dicevano: vieni a mia casa! E io invece parlavo un italiano più corretto, anche perché ero cresciuta trilingue. Per esempio, io fino a cinque anni parlavo indifferentemente italiano, croato e un po' di sloveno, e poi nell'anno in campo profughi a Roma ho dimenticato tutto. Perché lì era proibito parlare in croato, non si poteva, non era ben vista la cosa e quindi io ho assolutamente dimenticato tutto negli anni successivi, non lo sapevo proprio più! Cioè mio padre e mia madre parlavano croato quando volevano che io non capissi. E ci riuscivano, nel senso che io non capivo proprio niente. E la maestra mi voleva un gran bene proprio, e le mie compagne mi accettavano normalmente proprio. Quindi se io ho avuto dei dissapori con qualcuno è stato per il carattere, non per la provenienza. Poi ho fatto il liceo classico con borse di studio, grazie al cielo, perché mio padre come impiegato comunale aveva accesso a delle borse di studio che altri magari non avevano. E poi ho fatto l'Università qui a Torino e sono venuta a fare lettere classiche. E qui a Torino ho trovato mio marito, che è piemontese, mi sono sposata e ho fatto l'insegnante: insegnavo qui al Galileo Ferraris, ho fatto venticinque anni al Galfer! E poi quando sono andata in pensione mi sono reiscsritta all'Università e ho fatto più o meno lingue orientali però con la tesi in antropologia culturale. E quello è stato il momento...Era la fine degli anni Novanta ed effettivamente c'erano state queste guerre balcaniche che mi avevano turbati parecchio. Per esempio una cosa interessante e brutta che io ho visto nel '95 [è stata questa]: sono andata a Fiume per qualche giorno perché mia zia - quella croata - stava morendo di tumore e quindi sono andata un'ultima volta a vederla, e siamo andati io e mio marito. E ho visto Fiume piena di blindati, di pullman militari e non capivo, mi chiedevo cosa sta succedendo? Perché a quel momento c'era stata la separazione della Slovenia, che però era stata indolore, e invece della Croazia non si sapeva ancora niente. Poi ero a casa di mio cugino e vedo quella brutta faccia di Tudjman - che era proprio un individuo terrificante - e stava dicendo con tono molto duro qualcosa alla televisione. E ho sentito che stava nominando anche gli italiani, ma in modo molto aggressivo, faceva delle minacce. E io non capivo. Ho chiesto a mio cugino: ma cosa sta dicendo? E Igor, che nel frattempo è diventato un nazionalista croato mentre io sono molto tollerante, mi dice no, niente, non preoccuparti, nulla, nulla. Però anche loro erano in agitazione perché il cognato, marito della sorella della moglie - cognato idraulico, quarantenne con due bambini - veniva richiamato a servizio militare proprio in quei giorni, e aveva il cognome italiano. E allora è saltato fuori in quei giorni lì, che stavano passando coi pullman di notte in Istria e Fiume eccetera, a reclutare di brutto tutti quelli che avevano il cognome italiano, la minoranza italiana. E dove li sbattevano? Li sbattevano nella Traina, e cioè al confine con la Serbia preparandosi alla guerra. E chi hanno messo in prima linea? Gli italiani. Ma sai cosa gliene fregava alla minoranza italiana della guerra con la Serbia? Niente! Ma hanno preso loro. E per fortuna che è durata solo tre giorni, ma intento in quei giorni ci sono stati parecchi morti. E parecchi anni dopo un nostro amico - che tre l'altro è figlio di una mia conterranea di Rovigno - con sua madre è andato a fare un giro con sua madre a Zagabria, e si è trovato - questo [è successo] anni dopo - di fronte a un monumento con le vittime della guerra lampo tra Croazia e Serbia. Ed è rimasto stupidissimo, perché i cognomi dei morti erano italiani. Mi dice: Adriana ma sai cosa ho visto? Insomma, facendo due più due, è saltato fuori che nel '95, praticamente la maggior parte dei morti se tanto mi da tanto erano i nostri conterranei. Però io di questo, e cioè né delle minacce che Tudjman faceva all'Italia invitandola a non intervenire in nessun modo perché altrimenti ci sarebbero state conseguenze, cioè minacce brutte, dure, non diplomatiche...Io di questo, né [del fatto] che sian stati presi gli italiani a combattere contro i serbi, sui giornali italiani non ho mai, mai ,mai visto traccia. Io di questo non ho mai sentito dire beh. Secondo me su questo un ricerca si potrebbe fare."

A Fiume ritorni spesso?

R.: "Sono tornata in questi ultimi anni per la tomba [di famiglia] ma questa è un'altra storia."

Tu non credo, ma i tuoi genitori forse. Cioè vorrei sapere se loro di Fiume avessero nostalgia?

R.: "Si, i miei genitori si. Era fortissimo il legame, indubbiamente. Io mi ricordo ancora nel '52 quando siam tornati, che siamo arrivati a Fiume e tutti ci aspettavano alla stazione dopo questo viaggio lungo. E [per andare a Fiume] prendevamo l'Orient Express allora, il mitico Orient Express. E la città mi sembrava buia. Ma buia, proprio buia! Sai, una città senza luce, con un'illuminazione scarsissima. Una città tutta rotta e poi man mano, l'ho vista riprendersi. E mi ci divertivo anche perché avevo delle amiche, avevo delle care amiche. Per l'esattezza, la mia migliore amica è finita poi a New York a fare la direttrice... Perché era una fiumana rimasta lì: i suoi hanno optato per la cittadinanza italiana ma sono rimasti lì a Fiume. Lei ha fatto il liceo italiano - perché c'era il liceo italiano - poi ha fatto l'università - parlava bene quattro lingue - e faceva l'interprete all'Università per gli studenti stranieri. E poi è finita a New York all'ospedale del Queen's a dirigere il laboratorio di anatomopatia. Quindi i miei si, avevano nostalgia, perché il legame era forte."

In che anno sei arrivata a Torino?

R.: "Sono arrivata come studente nel '61."

E com'è stato l'impatto con Torino?

R.: "Duro, duro! Durissimo, perché io ci sono arrivata in treno con i miei compagni di Cuneo, e poi dovevamo smistarci nelle varie facoltà. Non a Palazzo Nuovo, perché allora c'era Palazzo Campana, perché la facoltà di Lettere era a Palazzo Campana. E ricordo addirittura che la prima lezione che io abbia seguito nella mia vita non c'entrava niente. Era una lezione di francese, perché c'eran due miei compagni che facevan lingue e allora io sono andata con loro a sentire francese anziché lettere classiche perché non sapevo neanche dove andare, perché sai arrivati a Torino... Poi invece mi sono ambientata, dato che quell'anno lì non avevo la borsa di studio perché era il primo anno. Poi dopo il primo anno ho avuto la borsa di studio e ho preso il collegio universitario in via Maria Vittoria, e lì sono rimasta fino alla fine del quarto anno."

L'impatto è stato duro, quindi. Anche perché credo fosse una città diversa rispetto a oggi...

R.: "Si, molto grigia. Molto fumosa... E anche scostante, non accogliente, capisci? Fredda! Mi ci è voluto un po' per ambientarmi. Anche gli amici che mi sono fatta all'Università, mi ci è voluto un po'... Mi ricordo che al primo anno me li sono proprio conquistati con ostinazione. Era gente di Torino, ma li ho quasi forzati a essere miei amici, nel senso che non erano disposti a fare amicizia con gente da fuori."
01/03/2012;


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Buono


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accoglienza ai profughi giuliano dalmati ; ambiente culturale a Fiume sotto l'impero austro-ungarico ; arresti rastrellamenti e perquisizioni di militari tedeschi a Fiume ; assistenza ai profughi giuliano dalmati ; assistenza ai profughi giuliano dalmati a Roma ; attentato a Togliatti ; battaglia di El-Alamein, 1942 ; battaglione San Marco ; bombardamenti a Fiume durante la seconda guerra mondiale ; borsa nera durante la seconda guerra mondiale a Fiume ; centri raccolta profughi ; comunisti fiumani ; condizioni di vita in Jugoslavia negli anni Novanta ; condizioni di vita in Jugoslavia negli anni Settanta ; contrabbando a Fiume ; discriminazione degli italiani di fiume nei confronti degli slavi ; discriminazione politica verso i profughi istriani fiumani dalmati ; distribuzione della popolazione a Fiume ; emigrazione fiumana in America ; emigrazione fiumana in Australia ; emigrazione fiumana in Germania ; esodo da Fiume ; esodo istriano fiumano dalmata ; foibe ; guerra partigiana in Piemonte ; guerre jugoslave 1991 ; impedimenti jugoslavi all'esodo degli italiani ; industria navale a Fiume ; infoibamenti a Fiume ; ingresso partigiani jugoslavi a Fiume ; inserimento lavorativo dei profughi giuliano dalmati a Cuneo ; integrazione dei profughi giuliani e dalmati a Torino ; italiani rimasti in Istria ; militari tedeschi a Fiume ; nostalgia di Fiume ; Organizzazione Todt ; partigiani jugoslavi ; profughi giuliano dalmati a Cuneo ; profughi istriani fiumani dalmati ; propaganda fascista a scuola ; repressione partigiani slavi a collaborazionisti nazifascisti ; socialità e tempo libero a Fiume ; stragi e violenze naziste contro la popolazione civile a Fiume ; vita nei centri raccolta profughi
Amburgo, Germania ; caserma Leutrum, Cuneo, CN ; centro raccolta profughi, Centocelle, Roma, RM ; centro smistamento profughi, Udine, UD ; Cuneo, CN ; Eur, Roma, RM ; Fiume [Rijeka], Croazia ; liceo Scientifico Galileo Ferraris, Torino, TO ; New York, New York, Usa ; Sussak, Croazia ; Torino, TO ; Torre Civica, Fiume [Rijeka], Croazia ; Viù, TO ; Zara [Zadar], Croazia
Arturo Toscanini ; Broz, Josip, Tito ; Madieri, Marisa ; Madieri, Marisa ; Marco Buttino ; Mirco Tremaglia ; Pacelli, Eugenio Maria Giuseppe Giovanni, papa Pio XII ; Togliatti, Palmiro ; Togliatti, Palmiro ; Tudjman, Franjo ; Tudjman, Franjo
Az. Cantiere Navale Cantrida di Fiume ; Dc, Democrazia cristiana ; Msi, Movimento sociale italiano ; Ozna, Organ Zaštite Naroda Armije
Esodo in Piemonte, 2013


Miletto Enrico 01/01/2013
13/05/2013
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Come citare questa fonte. Intervista a Adriana S.  in Archivio Istoreto, fondo Miletto Enrico [IT-C00-FD16245]
Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019