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CARTACEO: Intevista a Antonietta C.

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Intevista a Antonietta C.
Nasce a Valle d'Istria da una famiglia contadina. Il padre, socialista e comunista, aderisce al regime titino diventando tra i promotori della copperativizzazione agricola a Valle. Resta in Jugoslavia fino al 1960, quando riesce a fuggire segretamente per non essere intercettata dalla polizia. Si reca prima in Belgio trovando ospitalità da alcuni parenti. Nel 1962 decide di partire con il marito alla volta di Torino. Dopo aver svolto savriate professioni è assunta negli ospadali come operatrice socio sanitaria. E' stata intervistata a Torino il 2 marzo 2012. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nata?

R.: "[Sono nata il] 9-9-1938 a Valle d'Istria."

2) Mi parli un po' della sua famiglia di origine: quanti eravate, che mestiere facevano i suoi genitori...

R.: "La mia famiglia era molto numerosa, tra cui io vengo da una famiglia che mio padre era un comunista. Un comunista convinto, direi. E poi, naturalmente, anche deluso, perché lungo la strada è stato molto deluso."

3) In che senso è stato molto deluso?

R.: "E' stato deluso, diciamo, dai suoi compagni stessi, perché a un certo punto...Mio papà è uno di quelli che ha fondato le cooperative, perché era un uomo molto onesto mio papà. Era un uomo sincero, molto sincero. Infatti io ho una sorella che vive a Roma - che adesso è vedova - è ha sposato uno di Valle, come noi, e loro [cioè la famiglia di mio cognato] avevano un sacerdote in famiglia. Erano una famiglia meravigliosa, però erano di pensiero opposto di quello che era mio padre. E quando mia sorella anche in famiglia loro parlava, diceva con don Piero: ma guarda mio papà che idea che ha avuto a mettersi con quella gente! Perché poi noi eravamo una famiglia non benestante, ma avevamo tanta campagna, perciò lui non aveva bisogno di formare le cooperative, perché lui aveva già del suo. Invece lui aveva questa idea, diceva che tutti dovevano vivere meglio, tutti allo stesso modo. Era un po' come Cristo, era un socialista, come un socialista. E più che comunista, [mio padre] era socialista, era un socialista, e ha formato queste cooperative. Tornando a prima, quando mia sorella diceva anche in famiglia [di suo marito]: ma guarda mio papà che idea che ha avuto! E il sacerdote le diceva: Gina - le dava sempre l'alto là a mia sorella - non devi giudicarlo tuo papà, perché tuo padre è stato un idealista. Aveva la sua idea, ma era un uomo molto onesto, e di questo devi essere sempre fiera. Sempre queste frasi le diceva a mia sorella. E io son convinta di questo, son convinta. Però è rimasto molto deluso, perché ha fondato queste cooperative, poi chi tira, chi molla...Lui era un grande lavoratore e a un certo punto è uscito dalla cooperativa, l'ha sciolta ed è venuto fuori. E quindi è stato malvisto da due parti: prima di tutto mal visto dalla nostra gente che è venuta via, perché lui appoggiava una linea politica diversa, e poi è stato malvisto dai suoi stessi compagni, perché a un cero punto ha mollato questa cosa. E infatti è stato chiamato all'UDBA a Pola un giorno. Io ero una bambina ancora, [ma ricordo che lui] è stato chiamato all'UDBA. Perché tre dei nostri paesani sono stati...Cioè, son tornati, ma li hanno prelevati: il comunismo li ha prelevati e li hanno fatti sparire, per tre anni sono stati ai lavori forzati. Hanno fatto come ha fatto il fascismo. Beh, mio padre lo chiamano all'UDBA a Pola, perché dovevano tirare la briglia, perché lo hanno visto che si è tolto da questa cosa. Lui non parlava molto, si teneva molto dentro le cose, però ricordo sempre questa frase [che ha detto] quando quel pomeriggio è arrivato da Pola quando lo hanno chiamato all'UDBA. Si è rivolto a noi figli - eravamo una famiglia numerosa, eravamo sette figli - soprattutto a quelli più grandi e gli ha detto, in dialetto: fioi, quel che me raccomando, è che qualsiasi bandiera arrivi, non intrigheve mai, peerchè l'uomo non è onesto! Questa frase ha detto, e queste parole mi sono rimaste scolpite dentro. Ha detto: non immischiatevi mai nella politica, perché l'uomo non è onesto. Queste frasi ha detto mio padre, mi sono rimaste dentro. Perché io poi l'ho adorato sempre mio papà, io le volevo tanto bene!"

4) Mi diceva prima che però suo padre è rimasto deluso. Secondo lei perché?

R.: "Perché ha visto che le persone, insomma, come dire...Durante il fascismo, che è stato duro il fascismo dalle nostre parti...Ed è stato duro anche per la nostra famiglia, perché si dovevano pagare tante imposte, era duro per le imposte. E mio papà aveva un suo amico che veniva a lavorare a casa nostra, e lui veniva tutto l'anno, perché avevamo tanta campagna. E non vedeva giusto che questo povero uomo lavori così tanto per poco. E allora mio padre voleva lottare contro questo fascismo, che non era giusto che queste persone paghino tante imposte e lavorino così tanto per così poco. Vedeva queste ingiustizie sociali e si è appoggiato a questo comunismo, perché pensava che la vita sarà migliore. E invece una volta che si è radicato nel comunismo, ha visto che era la stessa cosa, che cambiava solo il colore. Praticamente era un fascismo rosso, era la stessa cosa. Ecco perché poi rimasto deluso. E queste cose ce le ha trasmesse, parlando poco! Perché mio papà non parlava molto, era un uomo molto positivo, era molto allegro. A casa mia si cantava, quando si lavorava in campagna si cantava, quando lui ritornava dalla campagna mi raccontava la storia, e io ero sempre in mezzo alle sue ginocchia davanti al caminetto. Ho questo ricordo qui."

5) Prima accennava al fatto che tre suoi compaesani sono andati a finire ai lavori forzati. Ma, per caso, sono mica stati prigionieri a Goli Otok?

R.: "A Goli Otok! Erano tre: Pisani, P. - che abitava vicino a noi ed era sempre a casa nostra, perché mio papà per lui la nostra porta era sempre aperta, era comunista! - e P.. P., P. e P., tre ragazzi."

6) E come mai sono finiti a Goli Otok?

R.: "Sono andati lì perché facevano... Perché al pensavano un po' come mio papà, vedevano che questa cosa faceva acqua, non era corretto quello che succedeva. Io adesso non so dirglielo [il motivo] proprio con precisione, perché a noi bambini ci tenevano un po' nascoste queste cose, però da quello che ho capito diventando grande, loro la vedevano un po' diversamente. E allora, come dire, soprattutto l'UBDA e cioè questa polizia che misurava tutte le cose. E poi avevano paura che gli italiani prendessero il potere. Volevano prenderlo gli slavi il potere, perché sicuramente son stati maltrattati dal fascismo gli slavi, però hanno fatto la stessa cosa dopo. Hanno fatto quello che ha fatto il fascismo: hanno colpito questi che erano un po' intellettuali italiani e istriani. Loro hanno fatto di tutto per far scappare via la gente."

7) Le hanno mai raccontato qualcosa della loro esperienza a Goli Otok?

R.: "Sempre mia sorella questa di Roma, era molto amica di questo P., che tra l'altro è anche il cognome di mio marito, che anche mio marito è P.. E i suoi avi erano cugini, Questo P. era senza figli, e sua moglie lavorava all'essiccatoio tabacchi di Valle. Erano molto amiche la moglie con mia sorella questa di Roma, perché hanno la stessa età. [Il marito] non scriveva mai, forse scriveva una cartolina una volta al mese oppure ogni due o tre mesi. Non sapevano dov'era. Poi quando è tornato, qualcosa è trapelato attraverso la moglie che ha detto a mia sorella [che il marito] ha preso - scusi la frase - tante di quelle sputacchiate dai suoi compagni... Perché dovevano fare così: era un lager, una galera terribile! Tre anni li hanno tenuti lì."

8) Torniamo per un attimo a parlare di Valle, il suo paese. Riesce a descrivermelo?

R.: "Era un borgo agricolo, basato solo sull'agricoltura."

9) Si coltivava il tabacco, credo.

R.: "Si, c'era l'essiccatoio tabacco, [già] da sotto l'Italia, da tantissimi anni. Forse già sotto l'Austria. Anzi, le baracche [la struttura dell'essiccatoio] le ha fatte l'Italia, ma l'Austria aveva già fatto la Fabbrica Tabacchi di Rovigno, che era una risorsa, una grande risorsa. Piantavamo il tabacco, la vite e gli ulivi: erano queste le colture dell'Istria. Una terra molto povera - perché manca l'acqua in Istria - a forza di tanto lavoro. Hanno tanto lavorato la nostra gente!"

10) Prima mi diceva che il fascismo dalle vostre parti è stato molto duro...

R.: "Secondo quello che ho sentito dalla mia famiglia si. Io personalmente non lo ricordo, non lo ricordo. Ricordo solo che mio papà è stato per tre giorni in prigione, perché lui aiutava i partigiani del bosco. Lui li aiutava, e il paese è piccolo, ci si conosce tutti, e ne hanno presi - quella volta - tre del paese, mio papà e altri due. Uno [si chiamava] Z., [l'altro] V.. Mio papà era un po' un caporione, diciamo, era un po' un caporione di questi movimenti! E i fascisti li hanno presi e sono stati tre giorni in prigione e li hanno anche molto picchiati. Mio papà non lo ha mai detto, però voci che sentivi [si]. Anche perché poi stai attenti quando sei bambino, e mi ricordo mia mamma che piangeva e diceva: come faremo, con sette figli e mio marito in prigione? E lì si temeva che li portassero in Germani, temevano quello. Poi invece c'era un comandante che aveva sposato una del paese, e questo li ha liberati, perché ha detto: sono persone buone, persone che non hanno mai fatto del male, quindi perché portarli in Germania? E li hanno liberati dopo tre giorni che li hanno tenuti in prigione. Quindi non lo so... Senz'altro noi siamo addolorati che mio papà ha avuto questa idea, perché se tu non hai l'idea, stai più tranquillo a casa tua. Ma sicuramente è stato un fascismo duro, e poi in seguito è nato il comunismo. Almeno secondo la mia idea. Poi mi posso anche sbagliare, ma il punto di vista è quello."

11) L'Istria - e lo sa certamente meglio di me - è un territorio popolato italiani e slavi contro i quali - e lo diceva lei prima - il fascismo ha adottato una linea politica piuttosto dura. Una politica altrettanto dura è stata poi usata da Tito contro gli italiani...

R.: "Anche un po' di più, forse."

12) In che senso?

R.: "Nel senso che...Io penso che, prima di tutto son gente vendicativa, perché non sono come noi: gli slavi sono diversi! A desso lo capisco che la nostra gente non li poteva tanto vedere. Ma c'era una ragione, ed era perché sono molto diversi. Poi c'è sempre il singolo, non dobbiamo mai fare di tutta l'erba un fascio, ma la radice è quella, sono vendicativi. Basta vedere quello che si son fatti durante questa guerra del '91. Si sono massacrati tra fratelli, una cosa bruttissima. Io penso che è stato peggio e poi hanno fatto di tutto perché la nostra gente evacui, perché volevano impossessarsi di quei territori, perché la parte militare era quella che emergeva ed era quella che dovevi stare attento a dire una parola perché eri sempre spiato. Noi italiani siamo stati molto massacrati da questa cosa: io parlo di quelli più anziani, perché io ero una bambina, [anche se] capivo queste cose. Capivo che c'era sempre da stare attenti a una frase o cosa, perché eri sempre spiato da questa gente. E hanno fatto di tutto perché la nostra gente vada via, e son diventati padroni loro. Mia suocera - che era un austro-ungarica e che ha sofferto anche la prima guerra mondiale - diceva sempre che questa gente non aveva rispetto: hanno cambiato subito i nomi dei paesi. L'Austria, invece, era una cosa diversa, aveva più rispetto. Invece questi qui no, hanno proprio fatto di tutto perché la nostra gente andasse via. Secondo noi quelli lì che erano più cattivi erano i serbi, che erano i più caporioni perché erano tutti al potere i serbi. Avevano tutti la seconda casa sulla costa istriana o sulla costa dalmata, e loro hanno fatto di tutto per farla evacuare la nostra gente, per rimanere padroni loro."

13) Le chiedo una cosa, adesso, riallacciandoci ai nostri discorsi. Posso chiederle com'era il rapporto tra la componente italiana e quella slava?

R.: "Era, era...Noi li consideravamo sempre inferiori a noi, questo devo dirlo. Era più sottomesso lui. Noi ci sentivamo superiori a loro. Forse non era giusto, però era così."

14) So che c'è un termine in dialetto...

R.: "S'ciavon! Per loro è il più grande disprezzo, però per noi è s'ciavon. Pensa che io - e non sono fisionomista - se vedo una persona camminare la riconosco e mi dico, quello è s'ciavon!"

15) Quindi non era un rapporto idilliaco, ecco...

R.: "No, no, tutt'altro. Non lo è mai stato e non lo sarà, penso, mai. Soprattutto adesso che non ci possono vedere perché loro sono al potere."

16) E in questo rapporto le politiche fasciste hanno un peso secondo lei?

R.: "Sicuramente si, sicuramente si. Il fascismo nella parte slava ha lasciato un'impronta ancora più pesante, perché le ha cambiato i nomi, li ha costretti ad andare a scuola italiana. Ci sono state tante costrizioni che loro hanno [subito] e adesso la fanno con noi."

17) Come vede sto cercando di seguire una cronologia, per cui il nostro discorso ci conduce ora alla guerra. Cosa ricorda di quel periodo?

R.: "Sai come mi ricordo della guerra? Mi ricordo la mia prima elementare, che l'ho fatta nell'osteria! Hanno messo delle sedie e dai tavoli - o forse c'erano i banchi, non so più - in questa osteria della Uccia, che adesso è Osteria Canzalier, non è più nostra gente. E mi ricordo che c'era nel cortile il gioco delle bocce e il bagno alla turca, perché non c'era il gabinetto una volta al mio paese. Questo bagno alla turca dove noi andavamo a fare i nostri servizi. E ricordo questa prima elementare, poi la seconda siamo andati a scuola."

18) E come mai vi hanno messo in osteria? La scuola era bombardata?

R.: "No, la scuola era occupata dai fascisti. Che io sono andata [a scuola] nel '44, e c'erano i fascisti nelle scuole. E quindi c'era anche chi andava in comune... Io ricordo che l'ho fatta in osteria, dalla Uccia."

19) Valle dunque non è stata bombardata...

R.: "No, no. Però ricordo uno dei bombardamenti, [perché] bombardavano Pola... C'erano tanti sfollati venuti a Valle, e una sera mi ricordo che mio papà ci ha presi tutti e ci ha portati alla stalla. Alla stalla - la chiamavamo la boa - c'era un recipiente di ferro grande dove forse tenevano l'acqua dentro, ma era vuota. E ci ha messi tutti dentro questa cosa qui, dentro questa grande boccia! Enorme era. E ci ha messo tutti i bambini dentro lì. Questo ricordo della guerra. E poi un'altra cosa ricordo: quando venivano i fascisti per il rastrellamento, che venivano nelle case, dicevano sgnap, sgnap , questa frase mi è rimasta impressa. Grappa, cercavano la grappa. E ricordo le scarpe, che vedevo sti scarponi alti, lucidi come gli specchi, bellissimi. St scarponi alti fino al ginocchio, lucidi come gli specchi, bellissimi! Questo ricordo, ma altro no, non ricordo."
20) I tedeschi vi facevano quindi paura...

R.: "Si, venivano a squadre, sempre in gruppo venivano. Venivano in gruppo."

21) Relativamente alla guerra, alcune testimonianze mi hanno parlato della borsa nera e degli scambi...

R.: "Si, si, per [avere] i generi alimentari vendevano i mobili, i vestiti, quello si me lo ricordo perché anche mia mamma comprava. E lo sai che questa cosa mi è rimasta impressa! Io da buona contadina - è una cosa che ho dentro - è venuta questa ultima neve e mentre ho portato le bimbe a scuola sono passata al mercato. E ho visto sto mercato vuoto, e mi è venuto un senso come di smarrimento, perché dico, ma guarda un po' qua. Perché mia mamma diceva: poveri cittadini che non g'ha ne botti, né sacchi né pile, perché noi tenevamo l'olio nella pila di pietra. Non g'ha in città ste robe, e senza ste robe l'è la fame! Noi almeno quello l'avemo! E mi è venuto questo senso di smarrimento!"

22) Quindi i cittadini venivano a Valle.

R.: "A Valle, si."

23) E come funzionava la borsa nera?

R.: "Come funzionasse proprio in dettaglio non te lo so dire, però gli scambi c'erano sicuramente: vendevano quel po' che avevano per sfamarsi, senz'altro. E so che anche le donne del nostro paese, portavano a Rovigno l'olio e un po' di farina, e magari portavano a casa - che ne so io - un po' di tazzine."

24) Abbiamo parlato dei fascisti e dei tesdechi. I partigiani lei se li ricorda?

R.: "Io so che mio papà le portava la roba in bosco. Anche perché nella nostra famiglia mia mamma aveva un fratello che era...Lui è diventato poi professore universitario, è stato docente di lettera italiane a Zagabria, però era un partigiano. Però è stato un partigiano, ma forse già nella famiglia c'è stata questa tendenza, anche se forse sono stati un po' costretti. Perché mi raccontava mia mamma che questo nostro zio è stato militare sotto l'Italia, e i comunisti lo hanno portato in prigione a Pisino dove c'è la famosa foiba, perché gli hanno detto che era un fascista, perché era ufficiale. Ma lui era ufficiale perché era laureato, era un graduato, e allora gli hanno dato il titolo da ufficiale [per quello], non perché era un fascista, non perché aveva le idee. Poi non so, forse le idee le aveva, ma non lo so. Comunque lo hanno messo in prigione e lui è scappato da questa prigione insieme a un altro paesano. Hanno lasciato le porte aperte, perché c'è stato un bombardamento. C'è stato un bombardamento. Ed è scappato da questa prigione, ma è andato direttamente in bosco coi partigiani, perché forse dovevi stare o di qua o di là - penso io - e ha fatto la vita in bosco. Che dopo poi è andata anche la moglie, lo ha raggiunto la moglie."

25) E in bosco c'erano italiani e slavi...

R.: "Si, si, italiani e slavi. E mio papà li aiutava."

26) Come li aiutava?

R.: "Mia sorella - questa qui di Roma - mi diceva che lei se ne accorgeva quando li aiutava. Noi a Valle abbiamo un grosso appezzamento di terra, e dice che lei se ne accorgeva quando arrivava lo zio dal bosco perché papà lasciava un attimo i buoi, che stava arando, e andava nella macia, che era un piccolo bosco attaccato alla campagna. E dice che senz'altro si incontrava con lo zio perché le dava i messaggi. Ecco questo era nella mia famiglia."

27) Ricorda l'arrivo dei partigiani a Valle?

R.: "Questo no. Ricordo però nella mia famiglia che c'era sempre gente che andava e che veniva perché eravamo di quella corrente. C'era questo Nuccio e questo Palazziol che era sempre a casa mia, anche perchè eravamo vicini. E lui era sempre da noi. E quindi c'era sempre questo movimento di drusi - che li chiamavano così- noi eravamo la famiglia dei drusi!"

28) Ne parlavamo prima di iniziare l'intervista. Mi riferisco alle foibe. Posso chiederle quando e i che termini ne ha sentito parlare?

R.: "Questo dopo l'ho sentito, dopo."

29) Durante non se ne rendeva conto?

R.:"No, no, anche perché era forse tutto un po' in sordina. Queste cose era tutto un po' in sordina."

30) E come ne ha sentito parlare?

R.: "Eh, si, perché poi in famiglia sentivo [che dicevano] ei lo g'ha butà in foiba...Ei lo avran butà in foiba...Però lì era tutto segreto. Però lì sono gli slavi che lo hanno fatto, forse su indirizzo degli italiani, e non è detto che non sia così, perché c'è sempre un collegamento. Ma la nostra gente io non penso che sarebbero arrivati a tanto, non penso che sarebbero arrivati a tanto."

31) A Valle ci son stati degli episodi di persone infoibate?

R.: "Si, si. C'è stato...Guarda, un mio caro amico - andavamo a scuola insieme - Italo. Italo caro...Italo era un ragazzo [che aveva] i genitori di origine slava che abitavano a Valle. E mi ricordo questo particolare: mi ricordo in seconda elementare - che andavamo nella scuola - e i suoi genitori erano già spariti, marito e moglie. Lui era figlio unico e noi bambini quando uscivamo dalla scuola le gridavamo: Italo croato, Italo croato! E lui - poverino - abbassava la testa, perché era molto timido, e andava un po' di passi davanti a noi. Glielo dicevamo proprio quando uscivamo da scuola. E lo ricordo perché è venuto a mancare l'anno scorso in Slovenia, che lui abitava in Slovenia. Poi ha studiato - perché era orfano - è stato ingegnere ma non so in che campo. E con lui abbiamo festeggiato insieme anche i sessant'anni, che eravamo in tredici, mentre a Valle siano settanta del 1938. In tredici abbiamo festeggiato i nostri sessant'anni tra cui c'era anche lui. E sua cugina era una mia grande amica, aveva il marito del '38 come me e cantavamo, perché noi siamo molto allegri. Abbiamo cantato, allora Maria [sua sorella] mi dice: Italo non sa cantare. E io le rispondo: no, perché noi cantavamo e lui studiava! Perché era molto studioso."

32) Come mai i suoi genitori furono infoibati?

R.: "Questo non saprei. Non penso [perché] che erano gente cattiva, erano proprio odi così, tra gli uni e gli altri. Erano ritenuti fascisti ma non penso [che] lo fossero, perché erano gente buona. Poi Italo era un ragazzo meraviglioso, meraviglioso. E non ha mai saputo, ha fatto tante ricerche per sapere dove fossero finiti i suoi genitori, quando è venuto grande che le cose son cambiate. All'inizio no, non ne parlava nessuno."

33) Le hanno raccontato come venivano a prenderli?

R.: Sicuramente venivano di notte, sicuramente ti prendevano di notte. Però questo non potrei dirlo con precisione perché ero bambina."

34) Se permette le faccio ancora una domanda sulle foibe. Cosa c'era, secondo lei alla base di queste violenze?

R.: "Non lo so, forse [quello che dico è dettato] dal grande amore che c'ho per mio padre. Questo forse può essere un difetto... Questo duro fascismo, ecco. Io condanno questo duro fascismo, e sai perché? Perché noi abbiamo una paesana che è molto intelligente - che lei mi sembra che è del '30 - e tante volte parliamo di queste cose. E lei mi dice: la tua famiglia era di un'idea diversa, però era una famiglia meravigliosa perché erano buoni. Era buono anche il mio papà, tanto buono! E allora lei mi dice: i scartossetti de Valle, cioè questi che erano un po' fascisti - ma non cattivi, un po' fascisti e magari c'era anche qualcuno un po' più cattivetto, per carità!- dice che quando li vedevano arrivare questi contadini, loro non andavano... Magari c'era il commerciante, c'era quello che aveva il mulino - che era zio di mio marito ed era un po' cattivetto quello!- e loro al tardo pomeriggio erano già liberi dal suo lavoro, e poi non erano stanchi come i nostri contadini che erano tanto stanchi! Allora lei mi ha suggerito questo, mi ha detto sai cosa facevano? Si mettevano sulla strada a guardarli che venivano e ridolando - ridevano tra loro - dicevano: guarda, ei sembra stanchi! Come un po' una presa in giro a questi contadini che venivano. E penso che ci fossero questi odi così, anche stupidi, senza grandi valori."

35) E i contadini erano in gran parte slavi?

R.: "Vallesi, vallesi. Perché non c''erano slavi allora a Valle. Gli slavi stavano subito alle porte di Valle."

36) Passerei a parlare dell'altra grande pagina che ha caratterizzato queste terre, e cioè l'esodo. Lei cosa ricorda dell'esodo?

R.: "Eh, l'esodo...Io ricordo una cosa dell'esodo...C'è stato uno spettacolo tre o quattro anni fa al Mon Amour, all'Hiroshima Mon Amour, sull'esodo. E ho visto sull'agendina nostra [dell'associazione] che c'era questo spettacolo. Dovevo andare all'anagrafe in corso Corsica e ho detto a mio marito che combinerò quel giorno, in modo da andare a curiosare. E sono andata con una mia amica: sono andata all'anagrafe a e poi mi son fermata all'Hiroshima. E ho chiesto all'usciere: guardi, sono un'istriana - se vuole le faccio vedere la carte d'identità - e mi piacerebbe vedere questo spettacolo. E' andato dentro, ha chiesto e mi dice: si, si, può entrare. Siamo entrate e abbiamo assistito a questo spettacolo. Ed era uno spettacolo figurativo che partiva la nave - la Toscana - da Pola. E c'era questa figlia che partiva e salutava con il fazzoletto bianco e la mamma dalla spiaggia. Questa figlia che è partita con il baule in mano e la guardia popolare - che le ricordo bene con questo berretto con la stella a cinque punte in testa - che le controllava il baule. E io ricordo a Valle quando partiva la nostra gente, con quel po' di roba che le lasciavano portare. Magari distavano i letti per fare i bauli e mettere la roba dentro, e c'era sempre la guardia popolare che controllava cosa c'era in questi bauli. E cosa trovavano in questi bauli? Solo miseria, solo miseria. E allora in massimo silenzio i ragazzi del liceo hanno figurato [quelle scene]. Alla fine dello spettacolo, uno dei professori prende il microfono in mano e dice: aspettate un attimo, ragazzi, perché qui c'è un'istriana e magari ha qualche cosa da dire. Si avvicina a me questo professore e io gli dico: professore, ma io non sono all'altezza, non saprei...No signora, non si preoccupi, dica quello che sente lei. Gli ho detto: veramente una cosa ce l'ho nel cuore, ce l'ho proprio nel cuore. E sai qual è? Quando questa gente partiva, nel '49, io avevo undici anni, mi rattristava questa cosa, perché tutti i giorni c'erano amici che non c'erano più. E queste porte chiuse, porte e finestre tutto chiuso, mi rattristava tantissimo. Questa cosa è una cosa che ho sofferto."

37) Valle era quindi un paese che si svuotava...

R.:"Si svuotava, si svuotava, si svuotava. Rimanevamo pochi, tutti i giorni di meno: oggi è andato via quello, quello e quell'altro, perché andavano via quattro o cinque famiglie per giorno."

38) E come partivano?

R.: "Col carro, tutti col carro. C'era uno che aveva i cavalli, e affittavano questo carro coi cavalli perché era un po' più svelto. C'è chi li accompagnava coi buoi, [come] ad esempio lo zio di mio marito che lui è andato coi buoi, che lo ha accompagnato il fratello. Poi andavano via con gli asini, tutti coi carri. Andavano a Pola, poi da Pola a Degnano e a Degnano li imbarcavano sul treno, che li portavano a Trieste e poi a Udine."

39) Mi ha appena raccontato come Valle fosse un paese che si è svuotato. Posso chiederle secondo lei qual è stato il motivo per cui tante persone hanno deciso di partire?

R.: "Ma io penso non con grandi motivi, perché andava [via] uno, andava anche l'altro, uno tirava l'altro. C'erano quelli che non volevano stare sotto quel dominio e giustamente, per carità, [andavano via]. Perché nel mirino erano sempre quelli - come dire - che avevano più campagna e più potere, erano più nel mirino. Quelli, proprio, sono andati via dalla disperazione. Però anche quelli poveri, sono andati via perché uno tirava l'altro, uno tirava l'altro. Non tutti con dei motivi."

40) Invece la sua famiglia è rimasta...

R.: "E' rimasta si, perché eravamo di un altro colore! Però i suoceri di mio cognato - questo di Roma - che era una famiglia meravigliosa...Mia sorella dice sempre che sua suocera, quando siamo arrivati a Trieste diceva che se c'era una strada del ritorno, saremmo tutti subito ritornati, perché siamo stati subito nella disperazione. E anche loro - la famiglia di mio cognato - avevano tanta campagna, soprattutto la mamma, perché era figlia unica. E loro hanno perso proprio tutto, come beni hanno perso tutto, non le hanno dato niente."

41) Ci fosse stata una strada del ritorno saremmo tornati indietro...Frase toccante, molto. Come mai tornare indietro?

R.: "Perché sono andati verso la disperazione anche loro, soprattutto gli anziani. [Loro] hanno sofferto tantissimo."

42) Posso chiederle invece per quale motivo la sua famiglia ha scelto di restare?

R.: "Il nostro motivo, della mia famiglia è quello, che mio papà credeva nella Jugoslavia. Mio papà erano tre fratelli. Uno è venuto in Italia, senza motivo, perché uno tirava l'altro, e qui posso proprio ammetterlo, uno tirava l'altro. Un fratello invece è rimasto, come mio papà, ma quel fratello non era in mezzo alle sgarabuglie della politica come mio papà. Questo suo fratello, tirava lungo la sua strada e non si era messo dentro a queste cose. Uno è venuto in Italia, l'altro è rimasto là. Invece nella famiglia di mia mamma, anche lì erano tre. Mia mamma aveva due fratelli: uno questo intellettuale - questo che aveva studiato - e uno invece lo hanno ucciso i tedeschi. C'è stato un rastrellamento, e lui a trentadue anni è stato ucciso. Ne avevano uccisi due o tre quella mattina. C'è stato un rastrellamento da Pola verso Treiste - perché noi a Valle siamo sulla Flavia, la casa di mia mamma è proprio sulla Flavia - e lui andava in campagna. Quella mattina aveva i buoi anche di mio papà, perché mia mamma- la sua famiglia - avevano le campagne più vicine al paese, [mentre] noi le avevamo più lontane. E mio papà andava al mare - che noi abbiamo la campagna vicino al mare, proprio vicino ad Antonella - a preparare la vigna. Era il 18 di gennaio, e andavano a preparare la vigna. E mio zio - questo zio Piero - ha preso i buoi anche di mio papà: era sulla strada che da Valle va verso Pola - e i tedeschi venivano da Pola - e i partigiani - c'è stato un incontro - hanno ucciso qualche tedesco. [E allora i tedeschi] tutti quelli che hanno incontrato quel mattino lì, li hanno uccisi. E uno dalla campagna, ha visto questo mio zio che si affrettava [verso i tedeschi], perché voleva parlare, lui studiava il tedesco. Lui dalla campagna li ha visti di nascosto, che si affrettava...Aveva la gamba dura, la gamba rigida, era contadino. Voleva affrettarsi per parlare con il comandante, ma prima che arrivasse lo hanno ucciso, lo hanno freddato. E' morto a trentadue anni, ha lasciato un figlio di tre anni e una bambina di sette mesi. E mia zia -dato che il suo papà è venuto in Italia - è venuta via anche lei, [mentre] i miei nonni sono rimasti. Ma la mia zia è venuta via. E quindi le famiglie sono rimaste smembrate."

43) Quindi l'esodo divide le famiglie...

R.: "Si, si, si, si. Io ricordo il mio nonno materno, che beveva il mio nonno materno, soprattutto quando gli hanno ucciso questo figlio, beveva anche di più. E avevano tanta campagna, e aveva un mezzadro che lavorava la campagna, perché un figlio [quello che studiava] era a Pola, mia mamma era sposata e questa nuora - poverina con due bambini piccoli - non è che potesse fare chissà cosa. E quindi questo nonno Piero beveva, e diceva a Ugo - il suo nipote di tre anni - quando era mancato il papà, che però quando sono andati via aveva nove anni. E gli diceva: Ugo non va con tua mamma in Italia, sta con noi qua! Era disperato perché questi bambini gli andavano via...Meno male che è morto nel '49: è morto ad aprile e loro sono andati via a giugno. E' morto prima che andassero via, perché altrimenti sarebbe morto di crepacuore. Ecco, questo per dire quanto dolore! Poi la mia nonna Francesca, è venuta ad abitare con noi, perché era da sola, e quindi questi miei due cugini, per me non sono cugini, sono fratelli. Io so tutto, perché la nonna Francesca parlava sempre di loro, perché aveva un grande dolore. Che ha visto un figlio morto di trentadue anni...Pensa che la mia nonna Francesca non è mai andata al cimitero quando le hanno seppellito questo figlio. Noi dalla nostra casa vedevamo le tombe, lei non è mai entrata."

44) Secondo me c'è un grande stereotipo che definisce i rimasti, sul quale vorrei confrontarmi con lei. E cioè il fatto che la gente che rimane compie questa scelta soltanto in nome dell'ideale comunista.

R.: "No, no, assolutamente. No, no, non è così, assolutamente. Adesso io parlo della mia famiglia, ma già il fratello di mio papà non aveva le idee di mio papà, e sono rimasti lì. No,no, no...Sia chi è venuto via non era fascista - cioè ci sarà stati, qualcuno c'era - ma la gran parte non [lo] era, e quelli che sono rimasti lì, qualcuno era comunista, ma la gran parte non lo era. No, no, son sicura di questo."

45) Qualcuno resta perché comunista. Sono stati delusi dal comunismo jugoslavo?

R.: "Sono stati molto delusi. Sono stati quasi tutti delusi...Non proprio tutti, cioè quelli che non son stati delusi, son stati proprio quelli che non avevano niente, perché hanno occupato una casa più bella della loro, hanno preso le campagne belle, hanno preso le stalle... Hanno preso tutto gratis."

46) Hanno preso le case più belle... Le case lasciate vuote dagli esuli sono quindi state rioccupate...

R.: "Certo. Le più belle sono state occupate."

46) Da chi?

R.: "Beh, prima di tutto dagli slavi che son venuto dal vicinato della nostra zona, perché a pochi chilometri c'eran gli slavi e son venuti a occupare le case belle di Valle. E quelli erano proprio comunisti anche, avevano proprio l'idea di mio papà. Hanno occupato le case belle, le campagne belle, sono andati in cooperativa. Poi le cooperative son state sciolte, ma son rimaste delle case belle, e [ci] sono ancora tutt'ora. Poi penso che pagassero poco e niente di affitto, e adesso le hanno date a riscatto e le hanno pagate quasi niente. Comunque sono state rioccupate. Quello che non è stato rioccupato è il centro storico, perché il centro storico è più faticoso per i contadini, perché non hai dove mettere il carro, dove mettere le bestie, e quindi lì son crollate tante case. Poi in un secondo tempo, sono state occupate dagli intellettuali croati, che son venuti da Zagabria e dall'interno della Jugosalvia. Allora le hanno prese per pochissimo e le hanno occupate e poi le hanno comprate quella gente lì."

47) Posso chiederle com'era il rapporto tra chi veniva dall'interno e chi era rimasto? Era conflittuale?

R.: "No. Non era conflittuale, no. Ci si adattava."

48) Lei è passata in poco tempo dall'Italia alla Jugoslavia. Quindi vede pararsi di fronte, all'improvviso, un mondo nuovo. Posso chiederle cosa cambia?

R.: "Io quello che sentivo dentro è stato questo cambiamento delle vie, dei nomi...Questo è stato pesante per me. Per me personalmente - va bene che ero una bambina - è stato pesante questo cambiamento."

49) Relativamente allo scorrere della vita quotidiana? Io ho raccolto altre testimonianze che raccontano, ad esempio, come in Jugoslavia all'epoca non ci fosse niente...

R.: "Non c'era niente, non c'era niente. Neanche l'ago da cucire. Perché tutta la nostra gente, [e cioè] gli intellettuali, quelli che erano più all'altezza, i commercianti, sono tutti scappati. Quelli sono scappati proprio. Come questo che era in prigione con mio zio, questo signore di Valle...La sua era una famiglia meravigliosa, buona. Solo che aveva la moglie che lavorava al Consorzio: lei distribuiva il concime, lo zolfo, il verderame, tutte queste cose. Lei aveva un consorzio, lo gestiva lei, e per gli slavi era considerata una fascista, ed ecco perché hanno preso suo marito e l'hanno messo in prigione. Mio zio è scappato in bosco, cioè è andato in bosco coi partigiani, però quelli lì son scappati in Italia coi vestiti che avevano addosso. E' rimasto il bue in stalla e il vino nelle botti."

50) Mi diceva che in Jugoslavia non c'era niente...

R.: "Niente, non c'era niente. Le tessere...Io ricordo le file. Ricordo le file che andavano alla notte in fila, o la mattina [presto] con il buio. Questa mia sorella più grande di me, ha fatto la lotta. Lei andava e aveva un'idea diversa da mio papà, e si faceva sentire un pochino...Vedeva una cosa esagerata, era di un'idea diversa lei. E andava in coda per prendere un po'di stoffa, perché era tutto razionato, tutto razionato. Poi lei andava alla ferrovia, l'hanno costretta ad andare alla ferrovia, a fare l'autostrada."

51) Il lavoro volontario...

R.: "Si, però li prendevano! Altro che era volontario!"

52) E come funzionava, mi dica...

R.: "Ah, guardi c'è in casa la mia sorella che tante volte, quando scherza, dice: dovrebbero darmi la pensione, perché io gli ho fatto l'autostrada! Perché lei lavorava in negozio, lavorava in bottega, a quattordici anni è andata a lavorare in bottega. E allora doveva andare a fare tutti questi servizi: fare la ferrovia, fare l'autostrada...E mi ricordo una volta che sono scappati a Natale. A Natale sono scappati, son venuti al paese, e poi son venuti a prenderli col camion, li hanno tutti ricaricati sul camion e li hanno portati via."

53) Dunque si era obbligati ad andare...

R.: "Si, si, non era niente volontario. Magari era volontario [per quelli] che erano tutti rossi, rossi, ma io penso che la gioventù nostra erano obbligati ad andare."

54) Prima parlavamo dell'OZNA e dell'UBDA, i tentacoli del regime titino. Erano una presenza costante, credo, che si sentiva?

R.: "Si, si. La si sentiva nell'aria, era una presenza opprimente, perché non eri libero, non eri libero. Però, guarda, io devo dire una cosa e parlo di mio papà. Quanto era democratico sto uomo! Lui non andava mai in chiesa, ma noi ragazze andavamo sempre in chiesa, soprattutto questa mia sorella di Roma. Andavamo tutti in chiesa, e mai quella bocca avesse detto: non si va in chiesa! Mai, mai, mai, mai!"

55) E invece l'UDBA segnalava chi andava in chiesa...

R.:"eh, sicuramente quando mia sorella è scappata dalla ferrovia, avrà avuto una lavata di testa mio papà, però lui non le diceva queste cose. Ma son venuti, l'hanno rastrellata e l'hanno riportata. Ma mia sorella diceva: sicuramente papà avrà avuto una lavata di testa dai suoi. Dai suoi di partito, perché lui faceva parte di questo partito."

56) Dunque l'OZNA la si sentiva nell'aria...

R.: "Si, si, tutto un po' di nascosto, ma c'era, c'era."

57) Mi parlava della chiesa. Le chiedo questo: Tito proibisce la celebrazione delle feste religiose come Pasqua e Natale e le sostituisce con altre festività, come ad esempio la feste della Repubblica...

R.: "Ah si, festa grande! Festa grande facevano...Un disastro, guarda, un disastro!"

58) E cioè?

R.: "Perché facevano queste feste collettive ed erano tutti, come dire, non ordinati. Non ordinati, diversi da noi. Ballavano il kolo, eh! Eh, Tito kolo, me lo ricordo che ballavano il Tito kolo. E Natale e Pasqua non si festeggiava più, anche perché proprio in quei giorni facevano dei lavori volontari: andavano a tagliare le ginestre, i giovani e proprio nelle feste più belle."

59) E invece il 29 novembre...

R.: "Ah, festa grande!"

60) Me la può descrivere?

R.: "Ah, le bandiere! Bandiere a tutto andare, poi facevano da mangiare, la gioventù andava a tagliare le ginestre e poi rientravano coi carri pieni di ginestre. E c'erano delle donne al paese - mia mamma non se ne occupava - che facevano questo lavoro: uccidevano, magari, due o tre pecore, e queste cose qui, e preparavano da mangiare per tutti. E tutti andavano a mangiare: noi no, stavamo a casa nostra! Ma mio papà era in mezzo a questo...Ah, lui si, lui si! Era un organizzatore di queste cose."

61) Gli italiani come le percepivano queste feste? Come feste loro oppure no?

R.: "Eh, si erano amalgamati, si erano amalgamati. Almeno quel che riguarda mio papà si: non ci costringeva alle nostre, ma lui era amalgamato."

62) Lei resta in Jugoslavia fino a che anno?

R.: "Io sono venuta via nel '60. Poi le cose sono migliorate, ma comunque la nostra gente hanno continuato a scappare. Mio marito è venuto via anche lui...Siamo continuati ad andare via, la gioventù ha continuato a scappare."

63) Di nascosto...

R.: "Si, col passaporto e poi non tornavi più."

64) Come funzionava? Me lo può spiegare?

R.: "Io avevo mia sorella che abitava in Belgio col marito, sono andata col passaporto turistico, però poi quando sono arrivata là, ho chiesto il passaporto permanente, come lavoratrice all'estero, che allora me l'hanno rilasciato. Poi ci siamo sposati e abbiamo preso la cittadinanza italiana."

65) Quindi lei è andata subito in Italia.

R.: "Si, si."

66) Perché lei, così come molti altri, ha deciso di andare via?

R.: "Eh, perché stavamo stretti sotto questo regime, Noi comunque stavamo stretti...Gli italiani, la maggior parte, ci sentivamo molto stretti."

67) In che senso?

R.: "Nel senso che, come dire, questo grande cambiamento negli uffici, nella quotidianità [dove] erano sempre più loro che avanzavano e tu perdevi [peso]...Io personalmente mi sentivo stretta, ecco."

68) Ma anche da un punto di vista economico o soltanto identitario?

R.: "Più identitario... Perché noi eravamo contadini e i miei fratelli sono ancora contadini, quindi non è che cambiava molto. Quando mio papà nel '52 - dopo quattro anni - è uscito dalla cooperativa, noi abbiamo ripreso - con fatica - le nostre proprietà, che abbiam perso tutto il bestiame, tutti gli attrezzi. Ha perso tutto mio papà, tutto. Perché la cooperativa voleva dire dare tutto quello che avevi a quello che era come te, a quello che come te si metteva dentro. [Il sistema delle cooperative] è andato ben per chi non aveva niente, per chi non aveva del suo. Ma due o tre come mio papà, che erano di questi accaniti che hanno messo tutto, hanno perso tutto. Uno di questi che era un prigione con lui...Insomma, erano sempre gli stessi che avevano quest'idea. E invece il fratello di mio papà che non è andato come lui in cooperativa, le sue cose sono rimaste intatte. Invece mio papà, purtroppo ha perso tutto."

69) La cooperativa era obbligatoria?

R.: "[C']era un certo obbligo, [c'] era un certo obbligo. Ti forzavano, ti forzavano. Ecco anche perché la gente scappava. E qui devo colpevolizzare mio papà devo dirlo, perché la realtà è una sola e bisogna ammetterla. Tu dovevi andare in cooperativa. Quindi questo ha forzato tanta gente ad andare via; tanta gente nostra è andata via per questo motivo, e perché li facevano andare a fare l'autostrada, a fare la ferrovia, perché li facevano andare in queste cooperative: tanta gente è scappata anche per questo. Tanta, tantissima."

70) Lei quindi è scappata di nascosto...

R.: "Si, si."

71) Ricorda il suo viaggio?

R.: "Siamo andati via io, un mio fratello più giovane e mia sorella perché si è sposata e anche lei è andata in Belgio che mio cognato era lì, che lui è andato via nel '47, a diciassette anni, poverino! Però lui è andato via nel '47, prima dell'esodo."

72) E lei com'è che è andata via? Lo ricorda il suo viaggio?

R.: "Si, si, un viaggio tranquillo, perché io sono andato via nel benessere, diciamo. Perché ho fatto il mio viaggio tranquillamente verso il Belgio, coi miei treni, col mio piccolo bagaglio, tranquillamente."

73) Poi lei è rimasta in Belgio?

R.: "[Si], sono rimasta. Son stata due anni e mezzo in Belgio, dove ho lavorato e percepisco anche una piccola pensione. Ho conosciuto questo paese meraviglioso...Meraviglioso nel senso molto democratico, perché era un paese bellissimo da quel punto di vista. [Dal punto di vista] climatico no, ma dal punto di vista delle persone, molto bello, molto corretto, meraviglioso...Siamo stati a Liegi, e io facevo la cameriera come mia sorella, ma la mia sorella era ingaggiata [da] marito e moglie. Era una famiglia che lui era avvocato alla Corte d'Appello, la moglie era padrona di una piccola fabbrica, avevano tre bambini e io e mia sorella lavoravamo in questa famiglia tutte e due."

74) Poi come è venuta qui a Torino?

R.: "Mi scrivevo già con mio marito - che era a Torino - poi mi sono sposata e sono venuta a Torino."

75) Quindi sui marito era già a Torino...

R.: "Torino, si. Perché mio marito aveva suo zio qui, fratello di sua mamma, che loro son venuti e la mamma è rimasta. Quindi - come ti parlavo prima - una famiglia smembrata, come la mia famiglia, e poi abbiam deciso di venire via e ci siam sposati a Torino."

76) Le chiedo ancora due cose. La prima riguarda l'esodo. Allora, lei è rimasta, però chi è andato via ha iniziato a ritornare poi in Istria, magari per le vacanze...

R.: "Si, si, ma non subito, non subito, perché non c'erano neanche le possibilità e poi perché era molto controllata la cosa. Perché io mi ricordo che quando è venuto questo mio cognato dal Belgio, fammi pensare che anno era...Non lo so, mi sfuggono le cose...[Comunque] lo hanno mandato via. Lo hanno mandato via a Valle: lo hanno chiamato dalle guardie, dalle guardie popolari, e gli hanno detto: sei indesiderato e devi andare via. Ed è andato via. Infatti mio zio che era a Pola allora - era preside del liceo di Pola - mi ricordo che gli ha detto a mia sorella: guarda, non contate su di me, perché non posso aprire bocca. Non poteva aprire bocca...E vedi com'erano le cose dure...Questo sarà [stato]...Dunque, mia sorella si è sposata nel '55, e mia cognato sarà venuto nel '53 dal Belgio, ma lo hanno mandato via."

77) Le ho chiesto questo perché raccogliendo alcune testimonianze, emerge come gli esuli quando tornavano in Istria, arrivavano magari con l'automobile, quasi a voler certificare la bontà della loro scelta contro coloro che invece erano rimasti...

R.: "Si, all'inizio si. Si, c'era questa invidia, perché grazie a Dio, la gente che è venuta via hanno avuto quasi subito il lavoro, si sono inseriti bene. E poi la nostra gente era molto brava a lavorare, si sono rimboccati le maniche e quindi si sono ripresi anche in fretta. E quindi quando venivano con la loro macchina, certo che c'era una certa invidia, perché la nostra gente è rimasta sempre più soffocata."

78) Quindi era come a voler dire: io ho fatto bene a partire e tu non a rimanere...

R.: "Eh, secondo me si. Si, si, sicuramente questo. E anche mio zio, guarda...Ti racconto questo episodio della mia famiglia. Mia zia aveva tutta la famiglia in Italia: erano tre sorelle - due in Italia - e lei è rimasta ed è andata in bosco col marito. Era un grande amore il suo... Fu un matrimonio di grande amore, anche perché, per raggiungere il marito in bosco [e fare] quella vita...E' venuta in Italia - io penso sempre in quegli anni là, [nel] '55 -'56 - a trovare le sue sorelle, che l'hanno caricata di tante cose, perché lì mancava tutto. E la mia nonna, che era da suo figlio a Pola, ha detto quando è arrivata...Insomma, è caduta in un pianto profondo, non riusciva a fermarsi, talmente era disperata da quella che poteva essere la vita di mio zio qua e a quella che ha subito di là. Perché si, era preside della scuola, però aveva uno stipendio da fame, [tanto che] noi facevamo lavorare la sua parte di campagna da un signore di Valle e gli mandavamo l'olio a Pola, la farina, un po' di vino e tutte queste cose qua per aiutarlo, perché là, veramente, aveva uno stipendio da fame.Comunque si, questa rivincita c'era. E meno male che c'è stata!"

79) L'ultima cosa che le chiedo sull'esodo è questa: le prima mi diceva che la gente continuava a partire anche di nascosto...

R.: "Si, si, tanti partivano anche di notte. E di notte li prendevano alla frontiera. Il papà della Barbieri - poverino - è andato in galera: un anno a Zagabria è stato, perché è scappato che aveva il coso [la cartolina precetto] per andar militare. Tanti venivano presi, tanti andavano per mare...Tanta gioventù nostra scappava, tanta, tanta. Tra cui siam venuti anche noi: mio marito ha fatto il militare e poi è partito."

80) Lei arriva a Torino nel '62. Qual è stato il suo impatto con la città?

R.: "Eh beh, direi bello, direi bello, perché poi ero ospite da mia zia - da questo fratello di mio papà - dalla cognata di mia mamma che sono tutti a Torino. Quindi questi familiari ci volevano bene. Loro però son venuti prima, son venuti via con l'esodo, poi si son sistemati."

81) Quindi sono stati alle Casermette...

R.: "Si, purtroppo si."

82) E cosa le han raccontato delle Casermette?

R.: "Delle Casermette...Loro [in realtà] erano a Tortona i nostri familiari, sia questa vedova e sia il fratello di mio papà. Erano a Tortona, hanno fatto il campo profughi a Tortona."

83) E cosa le han raccontato?

R.: "Tanto freddo, tanto freddo...Questo isolamento, questo divisore con le coperte... Tanta sofferenza, tanta sofferenza. Dalla loro casa che hanno lasciato - per poveri che siamo, perché non abbiamo niente di grande, però vivevamo col nostro ed era già qualcosa per l'epoca - al campo profughi..."

84) Quindi un bell'impatto con Torino, dicevamo...

R.: "Si, bello. Un effetto bello, mi ha fatto un bell'effetto. Era una città anche più tranquilla di adesso. Poi c'era tutta la nostra gente, [abbiamo avuto] una bella accoglienza. [Eravamo] giovani, innamorati...Insomma, tutto bello, tante belle cose."

85) Mi sembra di aver capito che quindi lei non ha subito...

R.: "No, no, io sono stata privilegiata, perché invece i nostri familiari si. Ma già anche mio marito è stato in campo a Capua finché mio zio gli ha fatto il richiamo, poi è venuto a Torino e ha lavorato. [Anche se] poi è dovuto passare un certo periodo per prendere la cittadinanza italiana. La nostra gente, [comunque], ha subito: subito di qua e subito di là. I nostri profughi hanno perso di là, perché hanno perso tutto, e poi anche di qua sono stati calcolati non quello che erano. Perché sono stati calcolati quasi tutti fascisti, e invece non è così, non è così."

86) Qui a Torino lei ha trovato lavoro...

R.:"Si, si, ho subito lavorato: sono andato subito in una famiglia, e poi sono andata a lavorare all'ospedale. Sono stata proprio privilegiata. Mio marito, [invece], lavorava prima con un'impresa, e poi ha lavorato in fabbrica, e poi anche lui in ospedale. Quindi siamo stati privilegiati."

87) Le faccio l'ultima domanda: vedo che lei mantiene una memoria molto viva della sua terra. Ne ha anche nostalgia?

R.: "Si, sempre. Torno tutti gli anni, anche perché abbiamo la casa lì. Nostalgia ne ho, si, si: la radice è lì."

88) Lei abita qui a Lingotto, dove di istriani ce ne sono molti, non come a Lucento però in numero consistente. A Lucento se si va al mercato oggi ci sono i crauti, le granseole...

"Le tradizioni, ho capito. Qui no... Fino a un po' di anni fa c'erano i crauti, che li aveva una salumeria che ha fatto tanti di quei soldi coi crauti dell'Istria! Comunque no, non c'è quasta tradizione...Siamo meno qui che a Lucento, forse è per quello. Però i crauti me li ricordo bene che c'erano."
02/03/2012;


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Miletto Enrico 09/06/2013
Pischedda Carlo 10/06/2013
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Come citare questa fonte. Intevista a Antonietta C.  in Archivio Istoreto, fondo Miletto Enrico [IT-C00-FD16247]
Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019