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CARTACEO: "Ingiustizia è fatta. Pane e oro non pareggiano", «Il subalpino», 11 febbraio 1947

Posizione nella struttura d'archivio

C00/00352/03/00/00003/000/0003
"Ingiustizia è fatta. Pane e oro non pareggiano", «Il subalpino», 11 febbraio 1947
Riproduzione digitalizzata dell'articolo "Ingiustizia è fatta. Pane e oro non pareggiano", pubblicato in «Il subalpino. Organo della sezione cuneese del Partito liberale italiano» per la rubrica Cronache cuneesi martedì 11 febbraio 1947.
Il governo ha firmato il trattato di pace imposto all'Italia. L'assemblea assumerà l'onere della rettifica, nella pienezza dei suoi poteri. Vane, ma non inutili speranze di revisione nel periodo intercorrente tra i due atti, non sminuiscono l'amarezza immensa di questo atto coercitivo. Ancora la legge del più forte ha sovrastato la serenità degli spiriti e dei giudizi, ancora una volta calcoli ed opportunità hanno soffocato sentimenti e verità. Enorme è il prezzo imposto oggi all'Italia per salvare, almeno nella forma e nel contingente , se non nella sostanza e ne duraturo, l'equilibrio del mondo e la collaborazione tra le nazioni. Con il suo sangue l'Italia deve oggi coprire lieviti di odi e di scissioni internazionali, e pagare l'egoismo dei quattro grossi. Le clausole imposte dal trattato di pace sono irragionevoli e crudeli; a tali condizioni non si potrà parlare di amicizia aperta con i popoli confinanti, ma solo di buon vicinato. La grettezza della Francia ha ostacolato la fusione dei popoli latini, e l'astio della Jugoslavia non permetterà il superamento della distanza tra le due razze così diverse. Le foibe sono state tappe di una sanguinosa conquista. Circa trent'anni fa l'Italietta si sacrificava per salvar Trieste e l'Istria, perdendo figli per acquistare altri figli; oggi le terre redente ricambiano l'olocausto di se stesse per la salvezza della patria. Perché, se non fosse necessità insopprimibile di vita, la firma della pace costituirebbe un delitto senza precedenti. Ma purtroppo non per tutti gli italiani è ugualmente doloroso e grave il destino di questi giorni grigi, che sanno i morte e di lutto; no tutti avvertono le mutilazioni inferte sul corpo della patria, come ferite sul proprio corpo, l'umiliazione della nazione come insulto alla propria dignità. Alcuni hanno accusato un risorto nazionalismo, altri hanno invocato un superamento in nome di un internazionalismo collettivo. Qualcuno ha proposto baratti di città italianissime in forme tipicamente commerciali e si è stupito degli esodi delle popolazioni istriane. Proprio il trattato di pace ha ratificato in forma legale alcuni atti di acceso nazionalismo a favore dei popoli confinanti. Non è forse nazionalista la richiesta francese di Tenda, Briga, Moncenisio e la richiesta jugoslava di Pola e dell'Istria tutta, del Quarnaro e di Zara, l'italianissima Zara? Ingiustizia è fatta. A nulla vale il bel gesto di gettare sul piatto della nostra bilancia oro e pane, la cui accettazione da parte dell'Italia di oggi per la possibilità di vita per un'Italia di domani, costituisce una umiliazione senza precedenti. Di fronte a tanta vergogna non vi possono essere compensazioni; in tale caso pane ed oro non pareggiano, perché non hanno peso. Uno dei delegati del Lussemburgo ha definito esagerata la nostra reazione in confronto alla sostanza dei fatti. Noi rispondiamo che gli italiani, in circostanza come queste, non misurano col metro, ma col cuore.
11/02/1947;


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Miletto Enrico 03/09/2013
Pischedda Carlo 03/09/2013
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Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019