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CARTACEO: Intervista ad Argia B.

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Intervista ad Argia B.
Argia B., nasce a Valle d'Istria nel 1937. Parte da Valle nel 1949.Al suo arrivo in Italia, dopo una breve sosta a Trieste, si dirige verso il Centro smistamento profughi di Udine dove le viene assegnata come destinazione il cempo profughi di Piazza del Collegio a Lucca. In Toscana si ferma fino al 1953, anno in cui si trasferisce con la famiglia a Torino. Nelle città piemontese trova sistemazione alle Casermette, dove resta fino al 1956, anno in cui si trasferisce nel Villaggio di Santa Caterina a Lucento. Dopo aver frequentato un corso di taglio e cucito, lavora come sarta in una piccola sartoria e, in seguito, entra alla Superga, da dove si licenzia nel 1968. E' stata intervistata il 31 marzo 2008. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati personali: dove e quando è nata?

R.:"Sono nata a Valle d'Istria il 26 settembre del 1937".

2) Può parlarmi della sua famiglia di origine: quanti eravate, che mestiere facevano i suoi genitori?

R.:"Noi eravamo in famiglia, dunque...Sette figli con i genitori, mio papà era contadino e mia mamma casalinga. I miei fratelli lavoravano: uno è andato in una polveriera a Vallelunga, ma era giovane, poi quella volta lavoravano anche sotto la Todt - la chiamavano - ma niente di particolare. Per quello che mi ricordo io [eravamo] una famiglia tranquilla. C'era la guerra che faceva tanta paura, quello sì. Perché c'era una sorella che lavorava a Pola, e mi ricordo mia mamma sempre con il cuore in gola, perché mi ricordo che diceva: Pola, bombardano, fanno quello e quell'altro. Noi eravamo a venti chilometri, e in campagna era un pochino più sicuri, ma relativamente."

3) Può darmi una descrizione di Valle?

R.:"[Era] prevalentemente un paese di contadini, si. Poi c'era quello che aveva la bottega - un negozio di generi alimentari per lo più, e vendeva anche qualche stoffa - però era un paese di 2.500 anime, e non è che fosse stato un paese grosso. E si viveva praticamente della campagna. Poi si, i giovani...Chi cominciava ad andare a lavorare a Pola, cioè a Scoglio Olivi, le donne magari andavano, ma a casa mia non erano molto per la quadra che le donne andassero a lavorare in giro."

4) Però andavano...

R.:"Si, qualcosa facevano, però sempre nell'ambito del paese. Che poi - e c'era anche un mio cugino che dirigeva tutta la faccenda - lavoravano il tabacco, che poi mandavano a Rovigno alla Fabbrica Tabacchi. Coltivavano il tabacco, lo sceglievano, lo asciugavano, lo preparavano, facevano tutto e poi lo mandavano alla Fabbrica Tabacchi a Rovigno."

5) Da un punto di vista della popolazione, Valle era una cittadina fondamentalmente italiana?

R.:"Beh, le dirò di si: dopo la guerra del '15-'18 era italiana, prima era austriaca, come il resto dell'Istria."

6) La componente slava si trovava invece più verso l'interno?

R.:"Ma, guardi, erano dei paesi spostati: ad esempio c'era Carnedo, un paese a quattro chilometri da Valle...Ma guardi, mi sento persino un po' in imbarazzo a dirlo...C'è sempre stata un po' di avversione per lo slavo."

7) In che senso?

R.:"Perché era ritenuto un po' diverso. A parte che parlavano lo slavo istriano loro, non parlavano il dialetto che parlavamo noi, l'istroveneto. Ma c'è sempre stato un pochino di odio, soprattutto nel periodo del ventennio, con questi paesi dell'interno dell'Istria."

8) E di questo periodo del ventennio lei cosa ricorda?

R.:"Io non mi ricordo niente."

9) No, ma intendevo relativamente all'astio di cui mi parlava adesso...

R.:"Ma, guardi, a casa mia non si faceva politica, noi non siamo mai stati immischiati nella politica. Si, quelle cose che sentivo dire, che ce l'avevano con gli slavi, mai più gli slavi a Valle. Che poi, povera gente, dovevano venire a segnarsi a Valle, perché erano sotto il Comune di Valle. E io mi ricordo che portavano anche i funerali, e noi ragazzine - siccome avevano dei riti un po'diversi - ci divertivamo a vederli che arrivavano, insomma. E' brutto dire anche questo, però eravamo ragazzine. Cioè, praticamente, loro è come se fossero nati a Valle però non erano accettati. No, no, no. Vede, tutto questo...Cioè quello che è venuto dopo era una cosa vecchia che poi quando è stato il momento - si capisce - poi dopo si son vendicati con gli interessi."

10) Lei prima mi diceva della guerra: posso chiederle quali sono i suoi ricordi?

R.:"Ma, guardi, io della guerra mi ricordo solo che passavano gli apparecchi, di notte, che si sentiva quel rombare, ma poi più di tanto...Dunque, nel '43 hanno incominciato a bombardare a Pola, e io avevo sei anni, per cui niente. Mi ricordo gli sfollati che venivano nel mio paese, cioè da Pola erano sfollati da noi, e infatti c'era una famiglia che abitava anche nel mio cortile."

11) Valle era un luogo contadino e da molte interviste raccolte, traspare il fatto che molte persone dalle città venivano in tempo di guerra a cercare il cibo a Valle...

R.:"La borsa nera la facevano, si, si. Venivano a comprare un po' d'olio e quelle cose lì, poi venivano i pescatori da Rovigno che portavano il pesce. Perché una volta non era ricco come adesso, il pescatore [una volta] non è che faceva una vita tanto agiata. Mi ricordo che venivano con ste cassette in testa con il pesce e allora chiedevano in cambio olio, farina per fare la polenta, o tutte quelle cose lì."

12) Durante il periodo della guerra ci sono tre attori che agiscono sul territorio: fascisti, tedeschi e partigiani. Lei ha dei ricordi legati a queste presenze?

R.:"Ma, io non mi ricordo niente. Mi ricordo soltanto una volta dei tedeschi che mia mamma si è spaventata. Mi ricordo che faceva la polenta - era mezzogiorno - sono arrivati dei ragazzi giovani e mia mamma ha incominciato a tremare. [Erano venuti] per fare dei controlli, per vedere se mio padre era in casa, se c'era mio fratello - allora c'erano tutti i partigiani intorno nelle campagne - controlli. Quello che mi ricordo [è] mia mamma che tremava, e uno di questi ragazzi la calmava, cercava di tranquillizzarla. La tranquillizzava un po', e poi mia mamma qualcosa capiva, perché durante la prima guerra mondiale era stata profuga. E' stata profuga in Ungheria, poi dopo sono stati in Austria e allora qualche parola [di tedesco] la capiva, insomma. Ma non è successo [niente]. Quello mi ricordo io. Poi si, dei tedeschi si aveva paura, però io, ragazzina, mi ricordo che andavamo a vedere le colonne dei tedeschi che passavano, incoscienza di ragazzi! Passavano e mi ricordo dei mongoli. Ecco, mi ricordo dei mongoli, che in mezzo a questi [tedeschi] c'erano dei mongoli. E mi ricordo che dicevo: che diversi che sono da noi! No, ma non è che mi ricordo tantissimo. In casa se ne parlava, ma non tanto, perché parlavano tra di loro i grandi e noi a una certa ora ci mandavano a dormire. Non c'era televisione allora, eh!"

13) E i partigiani che erano in bosco?

R.:"Abbiamo visto entrare a Valle alla fine della guerra, quando che sono venuti e sono entrati nel castello dei Bembo - il castello che avevamo nel mio paese - che lo hanno occupato e lo hanno rovinato. Quello si, me lo ricordo. Ma non erano partigiani italiani, venivano dall'interno. E mi ricordo che li chiamavamo quelli con le apanche, cioè delle calzature strane che sembravano quasi stracci. Ecco, quello mi ricordo. Che poi hanno portato tanta di quella scabbia! L'ho presa anche io... Mi ricordo quella gente che erano sporchi e mal messi. Quello mi ricordo, degli altri partigiani no, perché erano in bosco, tutti via."

14) E la gente come li ha accolti?

R.:"Accolti...Bisognava dir niente, bisognava dir niente da quello che so io. Muti e basta. Anzi, si doveva ancora dare qualcosa, perché passavano dai contadini a prelevare qualcosa da mangiare e si, bisognava dare. Come si dava una volta all'ammasso quando c'era la guerra. Perché mi ricordo i miei che davano sempre tutto quello della campagna - un tot - all'ammasso, perché c'era la guerra di Spagna, la guerra d'Africa, la guerra...C'era sempre una guerra! E ha continuato anche quella volta."

15) Lei ne ha parlato, seppure tra le righe, prima. Mi riferisco a quella che possiamo definire la prima grande tragedia degli italiani d'Istria, e cioè la foibe. Vorrei sapere se voi eravate a conoscenza dell'esistenza delle foibe e se avevate la percezione di quello che accadeva all'interno di queste cavità carsiche...

R.:"Si, lo sapevano tutti che c'erano; è piena di buchi l'Istria!"

16) No, ma mi riferisco all'uso che ne veniva fatto...

R.:"Ma, sotto sotto lo sapevano, perché lì dentro hanno trovato di tutto. Non [c'] erano solo fascisti dentro, o per lo meno quando è successo il fatto di Tito. Perché tutta quella gente lì, è impossibile...L'Istria non è grande...C'era addirittura - l'ho sentito da un certo Spezziali [Spezzali] che parlava in una [video] cassetta - che diceva che c'era di tutto dentro. C'era ancora gente della prima guerra mondiale dentro, e poi anche gente che spariva e che non arrivava più a casa. Al mio paese non ci sono stati tanti casi."

17) Ma qualcuno c'è n'è stato?

R.:"Si, si. C'è stato...Io non ho conosciuto nessuno, però c'è stato il padrone di Bembo - quello del castello - che poi era quello che comandava di mezzo a Valle e che aveva tanta terra. C'è stato poi un altro segretario politico. Ecco, di quello ne ho sentito parlare da mio cugino, che era piuttosto da quella parte lì, che si diceva che quello lì era finito in foiba per una frase che aveva detto dal balcone, dal municipio: mai più i s'ciavoni a Valle. Non dicevano slavi, li chiamavano s'ciavoni, ed era un po' dispregiativo. Poi quando sono venuti loro quelli son spariti subito, padre e figlio. Poi un altro signore che mi ricordo e altri no. Comunque noi delle nostre famiglie no, nessuno. Però queste cose qua c'erano, pensi che mio fratello andava a prendere i colombi nelle foibe!"

18) Perché nidificavano dentro?

R.:"Si, nidificavano. Io e uno dei mie fratelli - quello che è morto due anni fa a Torino - ragazzacci, sapevamo che c'erano le foibe, sapevamo. Sapevamo, solo che non sapevamo che uso ne facessero; quello lo abbiamo scoperto dopo. Dopo le foibe facevano paura, nel senso che prima si sapeva che c'erano, che tutta la campagna era piena di queste voragini - che poi ci son quelle più profonde e meno profonde - si sapeva e non si sapeva l'uso che ne avrebbero fatto. Ma dopo si aveva un po' di paura, ovvio. Anche perché, sa com'è, quando cambiano le cose un po' di paura c'è. Io no - torno a ripetere, ero ragazzina - perché noi anche coi rimasti giocavamo così come con quelli che dovevano venir via. Giocavamo con tutti, non è che c'era astio, no. La foiba io penso sia una cosa tremenda. Quella lì è una cosa che si è saputo che gli slavi lo hanno fatto. Vede, anche lì, è stata una cosa che non so neanche io come dire...Vede, logicamente Tito ha mandato qualcuno a fare un po' di pulizia, è ovvio. Io penso che sia così. Però chi ha informato questa gente doveva essere gente del posto; è ovvio che doveva essere gente del posto. Poi chissà come hanno vissuto con la loro coscienza! Gente del posto che segnalava...Gente magari anche un po' esasperata dal regime che c'era prima...Perché in Istria c'erano tanti socialisti, eh! Perché adesso loro dicono di no, dicono tutti italiani, ma non vuol dire essere italiano non essere socialista! Cioè, quello che dicevo io. E sotto il ventennio si sa che c'erano delle regole che erano piuttosto ferree verso certe cose, poi dopo con il cambiamento è venuto tutto quello che è venuto."

19) D'altronde sa meglio di me che Rovigno era Rovigno la rossa, per cui qualche socialista doveva pur esserci...

R.:"Oh, ma c'è n'eran tantissimi in Istria, poi non le posso dire quanti erano comunisti veri e propri...Mio papà - mi ricordo - raccontava sempre mentre si parlava in casa...Allora, noi il primo maggio si festeggiava il patrono del mio paese, e durante il fascismo quelli che erano i socialisti li mettevano dentro. E mio papà - un giorno così, ridendo - dice: ma cosa vuoi, erano talmente abituati che loro al mattino andavano già loro stessi lì [in prigione], perché tanto loro si facevano una bella giornata perché le mogli le portavano da mangiare, da bere e cantavano. E poi facevano indemoniare i carabinieri perché cantavano o bandiera rossa o l'Internazionale. Ecco - diceva mio padre - non era meglio che li lasciavano liberi!? Poi era tutto lì, non è che gli avessero fatto chissà che cosa, però sa, da piccole cose... Mio papà me lo diceva ridendo, come per dire che era una cavolata, tanto loro mangiavano, bevevano e poi cantavano!"

20) Parliamo ora dell'esodo. Quali sono i suoi ricordi legati a qui momenti?

R.:"Ah, io non vedevo l'ora di venir via perché volevo vedere mia sorella e mio fratello che erano a Trieste."

21) Ah, perché la sua famiglia non è partita tutta insieme?

R.:"Allora, mia sorella e mio fratello - era il terzo - hanno preso sti ragazzi che lavoravano sotto la Todt - i titini- e li hanno arrestati. Li hanno portati a Pola, anzi ad Albona, però mio fratello ha detto che non è successo niente. Li hanno lasciati nel cortile e l'indomani le han chiesto che è che sapeva parlare slavo. Quello che era con mio fratello - un nostro vicino di casa - le dice: Piero, andiamo noi e le diciamo che parliamo lo slavo. Ma sei matto - dice mio fratello - che io non so una parola! No, no, andiamo, perché a Pola hanno bisogno di gente che parla slavo. Questi due sono andati, gli hanno presi e gli han detto di andare a Pola in un posto. Loro sono andati a Pola e sono poi andato dagli Alleati - che quella volta c'erano gli Alleati a Pola - e si son fatti assumere da loro. Mio fratello ha incominciato a fare il meccanico autista - questo ragazzo non so che cosa - e non è mai più venuto a Valle. Mia sorella quando ha saputo che mio fratello era a Pola, è andata anche lei - eravamo nel '45, appena arrivati gli alleati a Pola - e a Pola ha conosciuto mio cognato che si son sposati nel '46. E poi un'altra sorella...Ecco, vede come si è disfatta la mia famiglia...Questa mia sorella era fidanzata, e mio cognato lavorava nel comune di Valle, che lui ha fatto tante di quelle carte di identità false!"

22) Ah, si?

R.:"Si, per fare andare via i primi esuli. I primi sono andati via nel '46, e lì in Comune non le rilasciavano le carte di identità. E allora lui gliele faceva fare, e siccome lavorava lì e poi doveva fare una lista di venti o ventidue persone che dovevano prendere e portare via, mio cognato ha avvertito uno, poi hanno fatto una catena e si sono tutti avvertiti e l'indomani se n'è andato. Ha fatto finta che va a dignano per le tessere, mia mamma è andata anche lei. Lui in bicicletta e mia mamma con altre donne che facevano finta di andare a fare la spesa a Dignano - perché Dignano era un paese più grosso - per andare a fermare mia sorella. Cioè un 'altra mia sorella che era sposata a Pola che non venisse in paese, perché sapevamo che mio cognato se ne andava e perché se veniva poi dopo eran guai. Ecco, poi dopo è andata anche mia sorella a Pola, che si è sposata nel '47 che non aveva neanche diciotto anni e ha dovuto firmare mio fratello. Non per cose politiche di casa nostra, no. Ma anche mio cognato; insomma, mio cognato penso che fosse stato non lo so...Lui da ragazzo che era studente a Pola non è che erano con i fascisti, ma era del cosa di liberazione, del CLN. Però, avendo fatto quello che ha fatto a Valle...Perché poi c'era tanta di quella gente intorno che han voluto andare a fare gli impiegati che non capivano niente... Lui ha fatto quello che ha potuto: scappate ste ventidue persone di notte, l'indomani ha dovuto scappare anche lui."

23) Quindi i suoi fratelli son partiti prima di lei?

R.:"Si, son stati a Pola fino al '47."

24) Mentre invece lei è partita poi dopo...

R.:"Noi si doveva andare via anche noi nel '47, cioè mia mamma, mio papà, io, mio fratello prima di me e una mia sorella più piccola. Poi però mio papà ha detto: ma no, poi magari cambiano le cose - perché già nella guerra del '15-'18 son stati profughi e dopo tre anni son tornati - e poi sa, lasciare la casa...Mio papà non era mica giovane quando siamo venuti, aveva cinquantuno anni quando siam partiti di là, e mia mamma ne aveva quarantanove. Beh, allora li vedevamo vecchi, anche per il modo di vestire, ma non erano vecchi affatto. A cinquantuno anni cosa vieni fare? Dove ti pigliano a lavorare a cinquantuno anni? Era dura. Poi siamo partiti nel '49 perché mia mamma a tutti i costi voleva venire via. E io - come le dicevo - non vedevo l'ora di venire a Trieste per vedere mia sorella. Che poi una di queste è finita in Argentina. Come tanti."

25) Lei che ricordi ha del viaggio?

R.:"Ah, per me era un'avventura, io non vedevo l'ora di andare via. No, no, ho tanto giocato quel giorno che siam partiti! Che siam partiti col carrettone di legno che ci portava le masserizie, e avevamo il posto nel vagone insieme a un'altra famiglia. Siamo dovuti andare a Dignano perché noi la stazione non ce l'avevamo. Eh, ma lì ho giocato, non vedevo l'ora di andare a Trieste, e lì per me è incominciata l'avventura. Una bella avventura. Io, nella mia incoscienza."

26) Valle si è svuotata con l'esodo?

R.:"Si è svuotata tanto nel '49, nel '48-49, ma il '49 è stato proprio il culmine dell'esodo. Si è svuotata si, perché mi sembra che parlando con dei miei parenti che son rimasti giù, e tra l'altro noi siamo rimasti in buoni [rapporti] con i nostri aprenti, no ci hanno fatto niente, ognuno decideva se rimanere o no. Ci son quelli che non son venuti via perché non se la sentivano, non per questioni politiche, proprio perché non se la sentivano. Ma mi sembra - appunto parlando con sti parenti - che siamo rimaste 800 persone. Da spararsi, dico io. Se i miei non mi avessero portato via, trovarmi in un paese completamente vuoto...Perché in centro, dove abitavo io , nel centro storico, non c'era nessuno più. Un paese fantasma, dev'essere stato tremendo. Cioè, passata l'euforia del moemto, per quella gente lì dev'essere stato tremendo."

27) Era dunque un paese che si andava svuotando...
R.:"Ma tutti i paesi. C'eran quelli in cui erano rimaste tre o quattro famiglie. Certi paesi dell'Istria... Un esodo di massa. Perché arrivavamo a treni pieni, in continuazione si arrivava, in continuazione, in continuazione. E certo che non era una bella [cosa]. Io mi sono anche divertita: siamo arrivati a Trieste e io non sono neanche finita al Silos, perché eravamo ospiti da mia sorella. Al Siloso erano andati solo mio papà, mio fratello e un mio zio che viveva solo ed era venuto via con noi. Poi da lì siamo andati a Udine, e lì mi pare che siamo stati una quindicina di giorni, anche se non mi ricordo perfettamente. So che abbiamo fatto la domenica delle palme - eravamo a Pasqua a Udine - e mi ricordo che andavamo in giro con ste ragazze per Udine, e che c'era un circo e andavamo a vedere sto circo. Ecco, quello lì mi ricordo io."

28) Lei era una ragazzina, per cui ha seguito per forza di cose i suoi genitori. Posso chiederle, secondo lei, qual è stato il motivo o i motivi che hanno spinto i suoi genitori a partire?

R.:"Beh, la spinta della paura, si sa. Anche perché non ci hanno fatto del male, però tormentavano un po' mia mamma che c'erano i miei fratelli via."

29) In che senso?

R.:"Eh, la tormentavano un po'. A mio papà no perché lui sapeva rispondere e una volta è finito nelle grane e mi ricordo che mi mamma una sera mi ha mandato a cercarlo. Erano che giocavano alle bocce nel locale di mio cognato - quello lì famoso che le ho detto io e che ha fatto andare via tanta gente - e uno si è avvicinato a mio papà e - sa com'è nei paesi che bevono, una cosa e un'altra- le ha detto: cosa fai tu qua, bacolo? Perché noi la polizia civile, cioè quelli arruolati dagli anglo-americani, siccome erano vestiti di nero, al mio paese li chiamavano i bacoli, che sarebbero gli scarafaggi. Lì c'era una guardia popolare - una guardia di Tito, insomma - che ha sentito questo e ha fermato mio papà e gli ha chiesto perché questo signore gli diceva così. E mio papà gli ha risposto in slavo, perché mio papà per fortuna sapeva lo slavo; lo aveva imparato con i servi del nonno, che aveva dei ragazzi che facevano i vaccai e mio papà con loro ha imparato lo slavo. E mio papà le ha parlato in slavo a questo poliziotto, a questa guardia popolare, e questo paesano si è risentito e ha detto a mio papà: perché parli così che io non capisco? E mio papà le ha detto: d'ora in avanti dovremo parlare sempre così, e dovrai impararlo anche tu. Però lo hanno portato poi al comando, e lì è venuta fuori una storia che il mio bisnonno aveva tenuto a cresima uno... Eh, insomma, la cosa si è risolta poi così, però si, quella sera mia mamma si è spaventata, perché mi ricordo - ero ragazzina- che mi aveva mandato, al buio, a cercarlo, e non c'era. E allora mi aveva mandato dal komandier a vedere e poi piano piano mi hanno fatto sedere fuori e poi dopo siamo venuti a casa."

30) Mi diceva che sua mamma la stuzzicavano?

R.:"La stuzzicavano le vicine di casa, perché le dicevano: tu c'hai i figli a Pola, tu così, tu colà...Mia mamma era una timida, non era capace di difendersi, e lei diceva: che colpa ne ho io se i miei figli han voluto [andare a Pola], mica li posso trattenere. Se han voluto andare..."

31) La spinta a partire per la sua famiglia è stata secondo lei la paura...

R.:"Un po' di paura, e poi anche il fatto che cambiavano tutte le regole."

32) Ecco, questa cosa è interessante. Perché lei ha vissuto questo cambiamento...

R.:"Si, si, l'ho vissuto anche se molto leggermente, per l'età. Vedevo mia mamma: le dava fastidio, ammiravo mio papà perché era un tipo che sapeva rispondere, mentre mia mamma mi dava fastidio alle volte. Perché dicevo: mamma, accidenti, ti dicono tutto così, ma un 'altra volta chiudi la porta del cortile così non ti diranno più niente. [Queste cose] nella mia testa le dicevo. Si, cambiava tutto il sistema, perché cominciavano a dire che non ci sarà più la religione - e mia mamma era una donna di chiesa, lei tutte le messe, prime e seconde funzioni e ancora se ce ne fosse stato lei andava - la gente si è spaventata un po' per quelle cose anche. Poi anche per le campagne: incominciavano a dire che bisognava mettere tutto per le cooperative. E allora uno che aveva tanta roba diceva: possibile, io c'ho la roba dei miei vecchi che non ha niente, e le cooperative...Cioè non entravano ancora nell'ottica che forse con le cooperative si poteva lavorare lo stesso. Cioè, la gente era spaventata anche per quello. Tutte queste cause. Però, sinceramente, non hanno fatto mai niente. Si, dicevano, davano la battuta, mia mamma pativa perché erano i suoi figli - è ovvio - però non è mai successo niente. Io con le ragazzine lì intorno si giocava, si stava insieme lo stesso, come se non fosse mai successo niente."

33) Adesso provo a ribaltarle la domanda. Chi è rimasto - una piccola parte- secondo lei perché è rimasto?

R.:"Ma, quelli che son rimasti - come le dicevo prima - è perché erano persone anziane e non se la sentivano di venire via, qualcuno. E poi son rimasti quelli che han detto. Ah, adesso arriva Tito e avremo gli asini legati con le salsicce!"

34) E invece?

R.:"E invece noi da Torino dovevamo mandarle di tutto. Perché era rimasta una sorella di mia mamma giù, e dovevamo mandarle anche gli aghi per cucire, tutto. Perché noi c'era niente, per anni è stato così. Per parecchi anni non si trovava niente. Non si trovava niente tranne che i cioccolatini, io ho mai mangiato così tanti cioccolatini!"

35) Come mai i cioccolatini?

R.:"Ah, non lo so. Cioccolatini e caramelle. Mi ricordo che allora si sapeva che si doveva venire via, e allora mia mamma mi lasciava più di un soldo e ho mangiato tanti di quei cioccolatini che andavo a comprarli! Ecco, quello c'era."

36) Lei cosa è riuscita a portare con se nel viaggio?

R.:"Abbiam portato via i mobili che poi li hanno messi a Venezia in magazzino - che mia mamma, povera, aveva messo tanta di quella roba nel comò han portato via tutto quello - e poi sono arrivati tutti sfasciati quando siamo arrivati a Lucca. Neanche a Lucca, quando siamo arrivati poi a Torino. Avevamo sempre dei bauli appresso, con la biancheria, coi materassi e con tutto. Si, si, abbiam potuto portare via tutto quello che era possibile, meno gli attrezzi agricoli."

37) Lei ha vissuto fino al '49 a Valle. Posso chiederle se è successo come in altre città - e penso a Pola - che è arrivata gente dall'interno a popolare il paese abbandonato dagli esuli?

R.:"Ah, ma questo è successo poi dopo, si, si. Non tantissimi perché si sono piuttosto riversati nelle città, perché la campagna l'hanno un po' abbandonata. A Pola si, Pola si è ripopolata. Pola su 40.000 abitanti, son rimasti in10.000. Pola dev'essere stato tremendo, non lo so. Valle si è popolata poi dopo con un po' di gente che è rimasta, con qualche slavo di questi villaggi che erano intorno al paese che si è riversato in paese. Ma cercavano di andare piuttosto a Pola e a Rovigno, perché a Rovigno c'era la Fabbrica Tabacchi, c'era la Fabbrica sardine, c'era la fabbrica dei liquori. Rovigno, anche se non era grossissima [attraeva] e poi era sul mare."
38) Parliamo del suo viaggio: lei parte in treno da Dignano fino a Trieste, poi da Trieste va a Udine. Lei se lo ricorda il campo di Udine?

R.:"Si."

39) Ecco, me lo descriva...

R.:"Ah, una meraviglia! Dormivamo - c'erano degli stanzoni tremendi - tutti insieme. Senza divisione e senza niente, perché lì era un campo di smistamento, eh, qui parliamo in termini militari!. Dev'essere stata una grossa caserma, ma quello che mi ricordo è che mia mamma - perché lei si vergognava - mi mandava al mattino a fare la fila per il caffè latte. E mi ricordo il pane, che c'erano le banane, quello mi ricordo. Noi dormivamo...Mi ricordo che mia mamma a noi aveva preso un angolino coi castelli e poi c'erano delle brande tipo campo. Tutti insieme, appassionatamente!"

40) Ho capito. E poi da lì venivi mandato altrove...

R.:"E poi stavi un po' lì e dopo venivi chiamato in direzione e ti dicevano: abbiamo destinato di mandarvi a...A noi volevano mandarci a Santeramo [Bari] e mia mamma non se ne parlava. Santeramo nelle Puglie. Mia mamma lì, coi talian, per l'amor di dio! Perché noi, dalle nostre parti, il meridionale si chiamava talian. Oh per l'amor di Dio, no, no! E lor dicevano: o là signora o a Catania. A Catania!? No, niente da fare! E allora poi ha detto: ma perchè non mi mandate a Lucca che c'ho una sorella lì? E allora a forza di fare e dire dopo otto giorni siamo andati a Lucca."

41) Perché lì come funzionava? Cioè, ti mandavano dove volevi oppure dove avevano posto?

R.:"No, ma dove avevano posti, perché tutti volevano venire a Torino. Ma a Torino non c'era più posto: nel '49 le Casermette di via Veglia erano stracariche, eh!"

42) E come mai volevan venire a Torino?

R.:"Perché c'era possibilità di lavoro a Torino, si. E'[per] quello che [volevano] tutti [venire] a Torino. Ma a Torino niente da fare, e allora mia mamma fa: almeno mandatemi a Lucca, che c'ho una sorella a Lucca. E per fortuna a Lucca eravamo in centro, eravamo in un bel collegio. Bello. Che deve essere stato anche un collegio di lusso ai suoi tempi."

43) Parliamo allora di Lucca: lei quando arriva?

R.:"Nel '49, ma il mese non me lo ricordo: era dopo Pasqua, fine di aprile, maggio, dev'essere stato così."

44) E' lì è andata in un campo profughi dentro a un collegio. Me lo descrive?

R.:"Era un collegio attaccato alla chiesa di san Frediano a Lucca. Noi abitavano in piazza del Collegio, ma questo collegio era proprio attaccato alla Chiesa. Noi per andare a messa la domenica, non uscivamo, dal campo andavamo direttamente alla chiesa di San Frediano. Per dirle che tra le mura di Lucca c'era sto campo. C'era tutto. C'era le camere, l'infermeria che sembrava un ospedale - avevamo i medici, uno al mattino e uno al pomeriggio, gli infermieri per tutte le eventualità- e i primi che sono arrivati hanno preso le camerette con i servizi com'erano, su [nei piani superiori]. E invece noi ci avevano messo sotto in un asilo, e non so anche lì quante famiglie [c'erano], che quando di notte ci giravamo ci urtavamo con gli altri! E poi...C'era una palestra, e lì hanno ricavato quattordici box ed eravamo quattordici famiglie. Ma non è che fosse stata immensa [lo spazio]: c'era tre metri per tre metri, per porta c'era una coperta, hanno chiuso non fino in alto , ma fino a un certo punto: sopra era tutto aperto e noi stavamo lì. Però c'era tutto quello che ci serviva, eh."

45) Il campo era dunque proprio nel centro di Lucca...

R.:"Eh, praticamente si. Lucca era una città...Il centro era un po' più avanti, però noi come si usciva dal campo profughi, in pochi passi eravamo già in via Finlungo, cioè la via principale di Lucca. A me è piaciuto Lucca, io ci andrei anche adesso a Lucca!"

46) Riesce a descrivermi com'era la vita in campo?

R.:"Eh, niente. I primi giorni erano - penso- per mia mamma tremendi. Perché come siamo arrivati, [c'era] già la gente che ci guardava per strada. Però avevano ragione, perché ti vedi arrivare tutta sta gente...Venivano [a prenderci] con dei grossi carrettoni coi cavalli, prendevano tutta la roba che si poteva e ci portavano attraverso tutta la città e ci accompagnavano al campo profughi. Appena si arrivava. E ti guardavano come i marziani: quella volta nessuno sapeva chi eravamo, anche perché non se ne parla come adesso come gli extracomunitari. Ma a Lucca mi è piaciuto."

47) Si ricorda se lì nel campo avevate un qualche tipo di assistenza?

R.:"Si, il primo anno ci davano da mangiare loro perché avevano una cucina grandissima, perché essendo un collegio c'era la cucina, c'era il campo da tennis per chi voleva giocare a tennis - e c'era qualcuno dei profughi che giocava a tennis, c'era della gente che stava bene, perché sono venuti via mica solo poveracci- c'era tutto. Avevamo le docce e tutto quello che serviva."

48) E vi davano anche dei vestiti o dei pacchi dono?

R.:"Si, quello lì ce lo davano. Ci davano il pacco dono per la befana. Allora, per un anno c'erano le cucine che facevano da mangiare, e infatti facevano pranzo e cena: incominciavano con il caffè alla mattina e poi hanno tolto questo sistema qui e ci davano un sussidio. Ci davano un tot al giorno e ci si aggiustava: mio papà ha incominciato ad andare a lavorare, ha conosciuto un professore lì che aveva tanta campagna ed ha cominciato ad andare a lavorare in campagna."

49) Parlando ancora di Lucca, io so che lì c'erano tante tabacchine...

R.:"Si! Ma erano in un altro posto, abitavano in un'altra parte le tabacchine, al Crocefisso. Lo chiamavano Crocefisso quella zona - non so [perché] - e lì avevano messo a disposizione case e ognuno aveva la sua stanza. E lì c'erano tutte le tabacchine. [Arrivavano] da Rovigno, Dignano e da Pola. Tante famiglie di Pola [c'] erano a Lucca, che erano spostate in un'altra palazzina, sempre quasi di fronte alla Fabbrica Tabacchi. Lo so perché avevo tante amiche. Siccome io facevo la sartina a Lucca, andavo a consegnare i vestiti a queste signore, e conoscevo tanto."

50) Mi parli un po' di questi pacchi dono, cosa c'era dentro?

R.:"No, i pacchi dono non è che ci davano da vestire. Da vestire, ogni tanto, arrivava della roba in magazzino, delle stoffe e allora uno andava lì e si sceglieva la stoffa per il cappotto o cosa. I pacchi no, c'erano cose per ragazzini, per bambini."

51) Parliamo ora dell'accoglienza. Come siete stati accolti?

R.:"Beh, in principio, come le dicevo, vedere tutta sta gente, non sapere che o cosa, praticamente subito dopo la guerra, non penso che sia stato facile neanche per loro. All'inizio si, c'è stato un po' di... Lo sentivo dire dagli altri - io non ho mai fatto caso - un po' di diffidenza, ma poi è tutto rientrato. Difatti io qui ho una foto che hanno fatto i miei genitori con un mio zio. Lui ha subito trovato da fare l'imbianchino, ha subito lavorato, andava nelle famiglie a Lucca a fare l'imbianchino. Cioè, passato il primo momento, come ci han conosciuto, poi dopo è tutto rientrato. Poi quello dell'accoglienza [sull'accoglienza] c'è qualcuno che dice delle strane cose, che dicevano: ti faccio mangiare dai profughi, ma io non ho mai sentito nulla."

52) Le ho chiesto dell'accoglienza perché, e credo lo sappia meglio di me, al profugo si legava uno stereotipo - ovviamente errato come tutti gli stereotipi - e cioè quello di essere fascista. Lei ha mai riscontrato episodi di questo tipo?

R.:"Ma, li abbiamo avuti più a Torino, più a Torino. Ma avevo anche un'altra età, ma sinceramente non me ne importava proprio niente, non me ne importava niente. Io avevo tante amiche, la vita da nomade io l'ho vissuta bene."

53) A Lucca quali sono stati i modi per integrarvi con i lucchesi?

R.:"Con i lucchesi? Si, ci siamo integrati bene, perché noi a scuola avevamo la scuola nel campo profughi - c'era tutto [nel campo] anche il teatro, che era sempre pieno di gente, anche in palcoscenico c'era gente che abitava, tutto pieno!-, poi però ci si frequentava perché si andava in chiesa, si andava all'oratorio - io poi ho fatto la cresima a Lucca e quindi andavo al catechismo- poi abbiamo conosciuto tante ragazze di lì vicino. Che lì vicino c'era la piazza - la piazza la chiamavano, quella ovale - dove facevano il mercato all'aperto e allora lì abbiamo fatto amicizia con dei ragazzi che venivano a vendere, con delle ragazze. Poi si, ogni tanto ci gridavano magari profugacci, e noi [rispondevamo] piazzaioli, ma si, si, abbiamo fatto amicizia con tante famiglie di Lucca. Poi lì vicino c'erano dei palazzi con dei giardini favolosi, proprio vicino alle mura, di fronte a dove abitavamo noi, e avran pensato: vengono a rovinarci il coso [il panorama], però poi dopo...Insomma, eravamo integrati. Siamo diventati poveri, però con dignità."

54) A parte quelli impiegati nella Manifattura Tabacchi, a Lucca dove lavoravano i profughi?

R.:"Mio papà ha sempre lavorato, andava a lavorare in campagna perché c'era tanta campagna. Poi le donne hanno incominciato magari ad andare a fare i servizi. Poi c'erano i mariti delle tabacchine che andavano a lavorare a Livorno, cioè quelli che lavoravano a Pola sotto il governo, andavano a lavorare a Livorno. Ma sempre l'altra parte di Lucca dei profughi. Ma insomma, ci si aggiustava, in qualche maniera si faceva: io sono andata ad imparare a cucire da una sarta di Fiume, che poi ha incominciato a lavorare per tutta Lucca.Venivano tutti i lucchesi a farsi fare i vestiti in campo da noi!"

55) Lei mi sta dicendo che a Lucca gli statali erano da una parte e gli altri profughi da un'altra?

R.:"Lo chiamavano Crocefisso, lo chiamavano così. Era un quartiere proprio di fronte alla Fabbrica Tabacchi: erano case private, poi c'era una palazzina lasciata per tutta gente di Pola, sempre vicino alla Fabbrica Tabacchi. E noi ci andavamo spesso, perché andavamo al cinema - che con un biglietto guardavamo due film! - al dopolavoro della Fabbrica Tabacchi."

56) Lei da Lucca quando va via?
R.:"A Lucca siamo rimasti quattro anni, e nel '53 siamo venuti a Torino."

57) Posso chiederle come mai avete preso questa decisione?

R.:"I miei -mio papà- volevano venire per sistemare mio fratello, perché si pensava che a Lucca [non ci fosse possibilità]. E invece han fatto un grande sbaglio, perché poi in Toscana si sono sistemati tutti bene quelli che sono rimasti a Lucca. Non dico meglio di Torino, ma si son sistemati molto ma molto molto bene: han fatto le case anche lì per i profughi, e niente...Anzi, noi avevamo dei parenti a Carrara: c'era una cugina di mio papà che si è sposata giovanissima con questo carrarese che era maestro a Valle, e lì mediante conoscenze - e non so che conoscenze - abbiamo avuto il trasferimento da Lucca a Torino. E anche nel giro di poco tempo, perché non glielo davano a nessuno il trasferimento a Torino, era tutto pieno, tutto pieno."

58) Dunque siete venuti qui per il lavoro, la Fiat e queste cose...

R.:"Eh, proprio quello, si! Poi dopo, nel '53, mio fratello era andato a lavorare alla Ceat, ma ce ne ha messo un po'! Poi si, dopo che hanno aperto tutte queste cose...Io ero andata...Avevo fatto un corso di taglio e cucito per ragazze - ci davano 500 lire al giorno - ma più che altro era per andare lì, cioè imparavi e ti pagavano. Sono andata a fare questo corso, e poi sono andata a lavorare in sartoria - ho lavorato tre anni in sartoria - e poi sono andata alla Superga. Ero lì, macchinista. Però poi mi sono licenziata nel '68 quando è morta mia mamma, perché ho avuto la seconda bambina e ho detto: come faccio con due?"

59) A Torino qual è stato il vostro percorso nella città?

R.:"Alle Casermette."

60) Che differenze ha trovato tra Lucca e Torino?

R.:"Beh, io a Lucca non è che andassi tanto in giro, perché dovevo andare a cucire. Anche quando andavo a scuola, al mattino dovevo andare a cucire, poi venivo a casa e mia mamma mi mandava a lavare i piatti, poi dovevo farmi i compiti e poi cucire. A Torino mi è piaciuto, mi è piaciuto subito. Come mi è piaciuto Lucca mi è piaciuto anche Torino. Torino era bellissima, era un salotto. E i soldi della domenica ce li tenevamo per andare a fare un giro in centro, con la nostra belle figura e con il nostro bel vestitino, perché eravamo sempre a posto e nessuno avrebbe detto che siamo profughi. Perché ci tenevamo, ci vergognavamo anche di essere profughi, di sentircelo dire: lo dicevamo il meno possibile."

61) Lei mi diceva prima che il discorso della discriminazione lo ha sentito più a Torino che a Lucca...

R.:"Ah no, ma poi dopo, nelle fabbriche, nelle fabbriche."

62) Ah, ho capito. Mi dica...

R.:"Era nelle fabbriche che cominciavano a dirti qualcosa, ma poi dopo niente. Ci davano per fascisti tutti quanti, specialmente quando c'erano gli scioperi che noi non facevamo. Ma [non facevamo] quelli che non erano giusti. Cioè, gli scioperi per i contratti li ho sempre fatti, quando poi però facevano gli scioperi per altre menate è ovvio che [non li facevo]. Sa...Anche perché avevo bisogno di lavorare."

63) Un altro stereotipo - e riguarda le donne, e lo chiedo a lei per questo - che ho riscontrato in alcune testimonianze femminili che mi è capitato di raccogliere è quello che le profughe erano considerate donne di facili costumi. Convinzione forse dovuta al carattere decisamente più emancipato delle donne istriane. Le è mai capitato di assistere a episodi di questo tipo?

R.:"No. Le dirò un'altra cosa: che sono i profughi quelli che parlavano così. Perché si diceva - ad esempio- che a Rovigno le ragazze erano piuttosto svegliete - cioè erano un po' birichine-, quelle di Fiume non ne parliamo perché erano cittadine. Quindi era già la nostra gente che parlava così. Quelle del nostro paese erano sempre le migliori. Infatti io incontro sempre la signora Q., che sua suocera non la voleva perché era di Fiume! Si, anche a Lucca dicevano che quelle del campo erano un po' così...Ma qualcuna [lo] è stata, qualcuna ha combinato qualcosa, è vero. Scappavano dal campo, e per qualcuna si pigliava tutte. Poi quando ci hanno conosciuto non hanno detto più niente. Cioè questa diceria c'era, però da qualcuno era causata! Vede, ad esempio...E' come un po' in tutte le cose, come quando si parla dei rumeni che tutti quanti li vorremo mandare [a casa]. Invece ci sono quelli bravi, che se fossero tutti così! Io ne avevo due che mi guardavano mio fratello, grazie a Dio. Però, per certi pigliano tutti, e così era anche quella volta."

64) Dopo la sartoria la Superga e l'ingresso nella grande fabbrica. Cosa ha provato?

R.:"Ho lavorato tre anni in sartoria, poi avevo provato a lavorare in una fabbrica dove facevano pantofole o cosa, perché c'era bisogno di lavorare e uno andava da tutte le parti. Però io volevo andare alla Superga, e mi hanno presa subito."

65) Posso chiederle come ha fatto a trovare lavoro?

R.:"Ah, niente, ho fatto domanda, e poi ci hanno convocate in quante eravamo. E mi ricordo che quando ci hanno chiamate per il colloquio e ci hanno detto che ci pigliavano per tre mesi, perché quella volta era un poì così. E io dicevo: ahm beh, allora rimango in sartoria dove sono, non guadagno tantissimo ma ho il mio lavoro sicuro - eravamo tutte a posto con la marchette e con tutto-. E mi ricordo che il signor [C.], il capo del personale, mi diceva: guardi, io farei un pensierino signorina - mi ha detto- perché di lavori come in sartoria ne trova fin che vuole. Io proverei. E a un certo punto ho detto: ma si, tanto lavori in sartoria ne trovo finché voglio. E così sono andata a fare la macchinista alla Superga, a cucire le tomaie. Ero già macchinista di prima categoria, anche se ero giovane."

66) Qual è stato il suo impatto con la grande fabbrica?

R.:"Era meglio la sartoria, era meglio la sartoria! Anche perché poi non è che guadagnassi tanto nei primi tempi, e mia mamma mi diceva: ho l'impressione che hai lasciato il ridere per il piangere...Perché venivo a casa stanca, anche perché bisognava rispettare i tempi, c'erano le maestre - le cape - che pressavano un po'. Anche se noi - le macchiniste - eravamo delle privilegiate: non eravamo dove cucinavano la gomma, noi cucivamo le scarpe. Eravamo sempre tutte a posto."

67) Per trovare lavoro - e glielo chiedo perché in molti casi per i profughi è andata così- si è interessato anche Don Macario?

R.:"Si, si. Per me no, io la domanda me la sono portata da sola. Mi era appena passata l'asiatica e ho detto a mio fratello: accompagnami fino alla Superga in Vespa che devo consegnare questa domanda. Invece che spedirla l'ho portata io da dove entravano gli impiegati; l'ho lasciata al portiere. Don Macario no, a me non è che mi piacesse molto, perché con noi non è stato buono, assolutamente."

68) Lei resta alla Casermette fino a quando?

R.:"Fino al 1956".

69) E poi arriva qui a Lucento?

R.:"Si. Non vedevo l'ora [di venire] per sentirmi la radio alla mattina."

70) Cioè?

R.:"Eh, perché lì [alle Casermette] a una certa ora ci toglievano la luce: alla sera la accendevano a una certa ora e al mattino la spegnevano. E io non vedevo l'ora per sentirmi la radio, per sentirmi i miei programmi."

71) E che effetto le ha fatto avere una casa?

R.:"Eh, ero solo più lì che toglievo la polvere da non so cosa! La casa, la casa... Però abbiamo incominciato poi...Cioè, c'è stata la contentezza della casa, che poi dopo piano piano si è comprato i mobili, si è messa a posto e tutte queste cose lì. Poi sa, la casa per conto tuo! La casa era la casa, a prescindere dalla radio. Però poi tutta l'amicizia, tutto il cameratismo che c'era alle Casermette ha incominciato a sciamare un po'. Si, sempre amici, ci si incontrava per strada, si andava alla messa, però non c'era più quella vita comunitaria, sembrava che si fosse lacerato qualcosa. Perché io il periodo più bello della mia vita l'ho passato alle Casermette, quanto mi sono divertita nella nostra povertà!"

72) Aneddoti da raccontare...

R.:"Ah, niente, si andava a lavorare, poi la sera si veniva a casa, si cenava, bisognava fare un salto in chiesa alla funzione - se no mia madre non mi faceva uscire - che poi si andava da un campo a quell'altro, poi c'era le serate che si andava al cinema - ma si andava sempre alla prima [visione] perché c'era gli amici e si faceva un po' di cagnara - e niente, tutte quelle cose così, nel piccolo. Poi si andava a ballare nei padiglioni, che veniva mia mamma a prendermi per i capelli e mi trascinava a casa, ma insomma..."

73) Ah, ecco, perché alla Casermette si ballava...

R.:"Si, si, ma poi dopo qualcuno andava ad avvisare il prete e non si ballava più! C'era un ragazzo con la fisarmonica che lo tormentavamo [per suonare] . Suonava quasi sempre nel suo padiglione, ma meglio così, così brontolavano sol lì e dall'altra parte non brontolavano. E poi, niente, magari d'estate ci riunivamo, si passeggiava, si stava lì a chiacchierare."

74) Posso chiederle com'è stato invece il rapporto coi torinesi?

R.:"Ah, bene, bene. Noi mi ricordo che c'era una navetta che ci portava fino in piazza Sabotino, e noi eravamo tutti clienti di Viecca. Si andava alla signora Viecca a comprare, che era un negozio di stoffe - che adesso è diventato di abbigliamento - e difatti noi eravamo tutti clienti dei signori Viecca. No, no, ma avevamo un buon rapporto, anche sul lavoro. Anche in sartoria, che quella volta eravamo tutte ragazze - eh si, quella volta eravamo ragazze! - e io ero una delle più giovani. Venivano addirittura da fuori Torino: una veniva addirittura da Carmagnola a lavorare - e non è che si guadagnasse tanto - una veniva da None, una veniva da Ciriè, e dicevo: e noi ci lamentiamo che dobbiamo fare solo la via Cesana a piedi, pensa queste qui che vengono da lontano!"

75) Perché la sartoria era in San Paolo?

R.:"Era in corso Vittorio, vicino a dove c'era la Boringhieri una volta, proprio davanti, in fondo alla via Cesana. E c'era sta sartoria che si lavorava già in serie, ed eravamo già in tante, quasi tutte profughe. Oltre alle piemontesi, eravamo quasi tutte profughe. E' bastata una che avesse trovato un lavoro così, e poi dopo, piano, piano...Io sapevo cucire, perché ho imparato tanti anni a Lucca, e allora mi hanno presa."

76) Lei arriva qui a Lucento nel '56, riesce a descrivermi com'era all'epoca il quartiere?

R.:"Quando andavamo a messa, quando si veniva a casa bisognava lavare le scarpe! Però, niente...Era un po' lontano, ma eravamo contenti perché c'era la casa, è quello. Poi piano piano hanno incominciato [ad esserci in] via Sansovino qualche negozio, però quella volta ci si riversava sempre verso il centro. Cioè, si lavorava e anche la domenica non è che si stava nel villaggio, non si stava molto."

77) Perché, cosa si faceva la domenica?

R.:"La domenica con le mie amiche si decideva, o si va a ballare, o si va al cinema o andiamo a passeggiare, secondo i soldi. Prendevamo il tram: o quello di Venaria - ma passava ogni ora e poi arrivava a Porta Palazzo ed era una zona che non ci piaceva molto - o andavamo a prendere il 13. Andavamo a piedi fino al capolinea del 13, dove inizia la via Pianezza, e poi da lì andavamo in centro, andavamo a passeggiare in via Roma. Mi ricordo quando eravamo alla e Casermette, che per risparmiare i soldi di un pullman andavamo a piedi fino alla Primavera a prendere il 3 o il 5, e poi da lì si andava a Porta Nuova. La Primavera era un posto vicino a dove c'erano le caserme dei militari, in via Monginevro. Dalle Casermette si tagliava - che c'era la ferrovia - e si andava fino in via Monginevro a prendere [il pullman], ma non era tanto [lontano]. E poi si faceva un giro in centro: bella via Roma! Un salotto! E tante volte si diceva: quando ci verremo noi a prendere qualche cosa qua dentro? Perché chi andava? Non si andava... Poi si andava in piazza Castello e in via Po. E poi si andava in via Verdi ad aspettare che uscissero i cantanti dalla RAI. Ecco, quella era la domenica. Si arrivava fino in via Po e poi indietro, altra scarpinata, Porta Nuova e poi casa. Ma tutte soddisfatte."

78) E invece a ballare dove andava?

R.:"Ah, ma di giorno. Andavamo in un locale che era vicino lì, sempre in piazza Sabotino, alla Serenella. Ma non tanto, perché non mi piaceva, preferivo andare a vedermi un bel film. Ero più per il cinema. Mi sarebbe piaciuto andare a teatro, ma non c'era possibilità Ma a ballare poco...Alle Casermette si, tra noi, perché ci conoscevamo, ma andare in una sala - mi ricordo che qualche volta si andava anche alla Perla, ma non ricordo più in che zona era- non mi piaceva, non mi trovavo, non mi piaceva l'ambiente."

79) Sarà stata troppo corteggiata...

R.:"Ma non era quello, non era quello! Era che noi eravamo abituati a stare tra di noi, non so se rendo l'idea. Cioè io la sala da ballo la concepivo con delle persone che si conoscono, ma lì non conosci nessuno. Poi con la mia amica ci siamo decise: sai che facciamo? Andiamo al cinema e non se ne parla più!"

80) Le faccio ancora un po' di domande. Una riguarda la memoria, nel senso che ho notato che gli esuli hanno una memoria molto viva delle loro vicende. Lei l'ha trasmessa ai suoi figli o ai suoi nipoti?

R.:"Non è che mi stanno molto a sentire. I ragazzi non vogliono, certe volte neanche i miei figli. Mi dicono: mamma, tu sei nata in quell'epoca, noi non abbiamo colpa! Le loro origini le conoscono, perché anche mio marito era di là, però più di tanto non gliene parlo, perché sembra di scocciarli."

81) Quindi è una cosa che tiene per sé?

R.:"Ma sa cosa le dirò? Che io prima ci pensavo e non ci pensavo, come tutti. Avevamo un 'altra età, si andava spasso, c'era mio marito, andavo in ferie, non si aveva tempo di pensare. Adesso penso, che sono solo come il cucco! Penso a tante cose, a tante cose che mi diceva mia mamma e che io non ascoltavo, anche riguardo...Cioè, vengono in mente delle cose, dei flash, perché poi quello che non si vuol ricordare non si ricorda. Io, probabilmente, tante cose le ho rimosse forse perché avevo paura, avevo forse paura anche io."

82) Li ha nostalgia di Valle? Ci torna spesso?

R.:"Mi piace quando vado, ma adesso è un po' di anni che non vado, perché ho dovuto guardare mio fratello che era malato di tumore ed è mancato due anni fa. Adesso è più di cinque anni che non vado, poi non sono andata più. Dovevo andare l'anno scorso ma mi sono originata un ginocchio, e non sono potuta andare più. Quest'anni forse andrò, però non più di otto giorni, perché non mi trovo. Cioè, mi piace vedere e tutto, però il mio mondo è qua."

83) Perché, mi scusi, subentra anche un po' di malinconia quando è là?

R.:"Malinconia no...Si, adesso vedo la mia casa che l'hanno tutta aggiustata - perché è andata mezza giù- e a desso l'hanno fatta tutta bene. Ma dico: mia perché? Non c'è più mia mamma nè mio papà, non c'è più nessuno, i miei parenti son tutti morti. La mia vita è a Torino, io è come se fossi nata qua, è come se fossi nata qua. Cioè, mi piace, quando son lì mi piace andare al mio paese, perché io conosco tutti i buchi del mio paese, tutti. Anche le persone e le gli anziani che abitavano, mi sembra di vederli sulla porta, me li ricordo, ecco. Perché ero un tipo un po' vivacetto io, e poi noi avevamo tanti parenti. Eravamo imparentati non dico con tutto il paese, ma quasi!"
31/03/2008;


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Miletto Enrico 22/06/2009
Pischedda Carlo 22/06/2009
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Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019