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CARTACEO: Intervista a Mario B.

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Intervista a Mario B.
Mario B., nasce a Dignano d'Istria nel 1940 da una famiglia contadina. Nel 1948 abbandona Dignano e arriva in Italia passando prima per il Silos di Trieste e in seguito per il centro di smistamento di Udine. A Udine i genitori decidono di rinunciare alla permanenza nei centri di raccolta: ritirano un contributo in denaro, rinunciando a ogni tipo di assistenza e si trasferiscano a Cervignano del Friuli. Qui la famiglia B. resta fino al 1952 quando, la mancanza di lavoro li spinge verso Torino. Arrivati a Torino trovano sistemazione nelle baracche di corso Polonia dove rimangono fino al 1956 anno in cui è assegnato loro un appartamento nel Villaggio di Santa Caterina. Mario B., dopo aver lavorato in alcune officine meccaniche, sarà assunto alle Fonderie della Fiat Mirafiori. E' stato intervistato il 25 febbraio 2008. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
"Voglio dire subito una cosa, per chiarezza. Allora, io sono arrivato in corso Polonia che avevo dodici anni, e sono andato via che ne avevo quasi diciassette. Quindi, voglio dire, la mia mentalità era questa, non vorrei confondermi con uno che è arrivato in corso Polonia a quarant'anni, che senz'altro ha un'altra visione della vita. Quindi, a quell'età lì è tutto un'avventura, io penso. E' un po' come nei profughi, quelli che sono andati via a otto anni o a nove anni come me, e quelli che sono andati via come mio nonno. Per loro... Cioè, son due tragedie diverse. La mia, comunque in corso Polonia è questa, tra i dodici-tredici e i sedici-diciassette."

1) Ti chiedo, innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando sei nato?

R.:"Sono nato a Dignano d'Istria nel '40".

2) La tua famiglia di origine com'era? Cioè, puoi raccontarmi cosa facevano i tuoi genitori, quanti eravate...

R.:"Allora, quando eravamo in Istria erano contadini. Contadini, e lavoravano anche per il Comune, carrettieri, praticamente. Li chiamavano cucer, un linguaggio un po' tedesco. D'altronde mio padre - piccola curiosità - [si chiamava] Francesco, però è anche Fransile - che è un po' tedesco - e Checco, che è tipico veneto, diciamo istro veneto. Bom. Quindi contadini e carrettieri finché siamo rimasti in Istria. Poi venuti via dopo l'esodo, mio padre ha sempre cercato di lavorare - quando poteva - sulla...muratore, manovale, quei lavori lì, e quello è stato poi sempre il suo lavoro fino agli ultimi anni. Io no. Io ho fatto due anni di scuola italo-slava - il primo e il secondo anno con la pagella doppia, bilingue - poi quando sono venuto in Italia ho finito la quinta elementare e avevo iniziato il secondo avviamento al lavoro che c'era una volta. Poi ho interrotto perché sono venuto a Torino. A Torino ho smesso di andare a scuola... Noi a Torino siamo venuti in corso Polonia, no? Penso che tu saprai già la differenza che c'è tra quelli che sono arrivati come esuli nei campi e quelli che sono arrivati a Torino dopo. Perché noi, cioè la mia famiglia, aveva già abbandonato i campi - perché eravamo andati prima a Udine - e poi noi siam venuti praticamente a Torino in cerca di lavoro come italiani, non come profughi. C'è questa differenza. Quindi noi siamo entrati in corso Polonia come arrivavano i meridionali e come arrivavano i piemontesi, che magari venivano a Torino a cercar lavoro, oppure dopo la guerra. Quindi, voglio dire, come profughi eravamo entrati nel calderone generale, non so come chiamarlo."

3) Quindi non avevate aiuti...

R.:"No, erano finiti: usciti dal campo profughi erano finiti. Usciti dal campo, a quel punto lì eravamo come tutti gli italiani. In un'Italia come quella che era nel dopoguerra: mio padre è rimasto giù nel Veneto finché ha potuto, però non c'era neanche lavoro da manovale. Andava un po' a lavorare sulle strade, però...Conoscendo della gente che c'era a Torino ha detto: come si potrebbe venire lì? E da lì è stato questo ingresso in corso Polonia, che poi magari me lo chiederai, dopo ne parleremo".

4) Tua mamma invece ha fatto la casalinga?

R.:"Sempre la casalinga. Però, diciamo che quando eravamo in corso Polonia, andava a servire, così, alla buona, senza pagare niente. C'erano della gente, andavi lì in casa, gli pulivi la casa, gli mettevi a posto e guadagnavi qualche lira per prenderti il latte e tornavi a casa. Mai non lavorare però."
5) Puoi parlarmi di Dignano? Che città era?

R.:"Io purtroppo di Dignano sono uscito che avevo pochi anni, e posso dirti quello che sentivo dire dai miei genitori. Però siccome io penso che quando si parla delle proprie cose si ha tendenza ad ingrandirle, e chi le ascolta le ingrandisce ancora di più non so. Era un paese agricolo, quello si. E poi beh, posso dirti una cosa che è tipica degli istriani: che mentre mio padre era di Dignano, quindi della comunità italiana - [B.], il mio cognome, dice già tutto - mia madre abitava in una cascina fuori ed era di origine croata. Poi è venuta ad abitare a Dignano, però, voglio dire, è sempre stata [croata]. Cioè, io un pochettino sono un po' misto, ecco! Che era [una caratteristica] di molti, era di molti."

6) Ecco, proprio a questo proposito vorrei chiederti una cosa, e cioè che rapporti c'erano tra le due comunità, tra il mondo slavo e quello italiano?

R.:"Erano due mondi - voglio dire - che convivevano, ed io da racconti che mi ricordo - un po' sfumati - di mio padre e un po' di mio nonno, che da mio nonno son passati e mio padre e poi son passati a me. Però c'era una cosa: c'era un gran rispetto, diciamo a livelli un pochettino più alti. Per esempio la famiglia di mia madre erano dei discreti benestanti, che avevano campi e tutto, e quindi avevano un certo [prestigio]. E c'era un rapporto abbastanza buono con loro, però man mano che scendevi diventava cattivo, abbastanza brutto. Cioè, per gli italiani, i sloveni erano s'ciavi, che era un modo di dire. Io qualche volta sentivo anche mia madre che si lamentava perché le sue cognate [dicevano] ah, quella s'ciavona! Cioè era dispregiativo, chiaro. Che poi dopo, chiaramente, vivi con le persone, e penso che anche quelli più vicini, cioè, dipende da quello che sei. Però c'era questa realtà, diciamo un po'altezzosa da parte degli italiani rispetto agli slavi. E gli slavi rispetto agli italiani sarebbe bello capire. Perché una cosa è certa: loro erano molto più aperti. Perché noi italiani non sapevamo lo slavo, in Istria, e gli slavi parlavano tutti l'italiano? Non basta dire: eh, ma c'è stato i vent'anni che Mussolini li ha costretti, qua e là. Non è vero. Era una cosa che partiva anche più da lontano: noi italiani ci parlavamo il nostro istro-veneto e buonanotte al secchio; loro lì, potevano parlare il loro slavo-croato e invece quasi tutti - anzi, penso tutti - parlavano anche l'italiano. Era così."

7) Tu lo hai appena introdotto anche se tra le righe. Mi riferisco al fascismo...

R.:"Ma, guarda, il fascismo è una cosa tutta particolare. Io potrei dirti che da cose che ho sentito - in famiglia - c'è n'era qualcuno [di fascista] anche in famiglia: un militare che ha sposato una delle sorelle di mio padre, per esempio. Perché mio padre erano due fratelli e sette sorelle e quindi da qualche parte è arrivato anche qualcuno con il cinturone! Ma non solo, occhio! C'erano anche tanti slavi - e non so, questa forse è una curiosità che può interessarti - che avevano preso il fascismo come il futuro, che hanno dato anima e corpo [al regime] e che, da qual che ho capito io, han fatto anche una certa - non so se si può dire - carriera. Un cugino di mia madre, per esempio, che è stato buttato in foibe, lui era un fascista. Era uno slavo ma era un fascista: era quello che cercava di aiutare gli slavi - perché era come loro - anche in quelle situazioni particolari. Però quando è venuto poi il casotto e tutto, che gli han detto ma scappa via, scappa via, ha detto: ma io ho mica fatto del male a nessuno, però l'han preso e l'han buttato dentro! Voglio dire... Da quello che ho capito io - forse perché sono metà e metà- era come tutti i rapporti: cioè, in certi momenti andavano d'accordo e in certi momenti non andavano d'accordo. Mio nonno che era contadino odiava quelli che avevano le pecore, [mentre] l'altro mio nonno aveva le pecore, perché abitava in una cascina. Quindi c'era un attrito ma non perché uno era slavo e l'altro italiano, ma perché le pecore andavano a mangiare di notte dove c'erano i campi e all'altro non gli andava bene; quindi è inutile andare a cercare la diversità. Anche se era - io penso - un pastore italiano, era la stessa cosa!"

8) E della guerra hai qualche ricordo?

R.:"Eh... Ricordo che da dove abitavo, una volta avevo visto degli aeroplani nella zona di Pola che bombardavano, e ricordo dei tedeschi che frequentavano un po' casa, perché noi come contadini si metteva la frasca per dire che si vende vino, e allora arrivavano. Arrivavano anche i tedeschi, e mi ricordo che una volta guardavo un mitra che era vicino al muro, ma son ricordi così. Poi qualche volta...Ecco, quello che mi ricordo e che mi è rimasto anche un po' impresso è che una volta, dopo un allarme, eravamo andati in un sottoscala, e questo sottoscala mi è rimasto un po' in mente: sentivo gli aerei che volavano, e poi è arrivato uno a dire hanno ammazzato qua, han mitragliato. Però, si perde tutto lì."

9) Quindi anche il ricordo dei tedeschi tu l'hai molto vago...

R.:"Guarda, dei tedeschi posso dirti una cosa, se può essere utile. Una cosa che però mi ha detto mia madre tantissime volte. Allora, mio padre decide di portare la famiglia in campagna per metterla al sicuro, e poi torna in paese col carro. Noi siamo in questa cascina, e in questa cascina - dopo l'ho saputo - c'erano due che erano due militari italiani che stavano cercando di ritornare a casa, quando l'esercito [si era dissolto]. E allora li avevano ospitati, li avevano dato da mangiare e loro per un po' avevano lavorato nei campi e li avevano dato una mano. Probabilmente devono averli visti col binocolo, e son venuti. E ' venuta una squadra di tedeschi verso la cascina. Quando si sono accorti, hanno preso questi due, li hanno nascosti in stalla, gli hanno messo una balla di paglia davanti per nasconderli e poi sono arrivati i tedeschi e ci hanno messo tutti quanti davanti sull'aia e cioè io, mia madre, mio fratello - io ho un fratello - con tutti quelli della cascina: le vecchie, i giovani e tutti. Anzi, più che nell'aia eravamo in una zona un po' alta dove c'era la cisterna, un terrazzino. Tutti lì con il mitra, fermi, e i tedeschi sono andati a cercare per tutta la casa. E i tedeschi stavano lì, duri, con il mitra, ed erano seri, né un dialogo, né niente. Han cercato, han cercato, sono andati in soffitta dappertutto e non li hanno trovati. Allora, dicono, che se li avessero trovati fucilavano quelli, bruciavano la cascina e ci fucilavano tutti. Invece non li hanno trovati, e a un certo momento il comandante ha suonato col fischietto. Allora tutti sono venuti lì e da quel momento in poi han cambiato aspetto questi tedeschi: han messo giù il mitra, han cominciato a parlare, dicevano a mia nonna mutter - madre - e le facevano vedere le fotografie delle loro famiglie, e pian piano sono andati via. Questa è una delle più grosse; comunque se li trovavano, se spostavano una balla di paglia era finito tutto. Non facevo l'intervista qua oggi, eh, eh!"

10) E dei partigiani che cosa puoi raccontarmi?

R.:"Ah beh, di quelli te ne posso dire. Il fratello di mio padre, mio zio, è andato addirittura in bosco, è scappato come partigiano, ma allora lui era giovane, aveva sedici, diciassette anni. Però poi so che è ritornato e poi è scappato a Pola. Bisognerebbe capire le dinamiche... Però lui è andato [partigiano] e anche altri parenti nostri, perché poi li hanno spostati dall'Istria all'interno della Jugoslavia e lì mi ha raccontato dei fatti abbastanza brutti: mangiare bucce di patate pur di tirare avanti, freddo, e cose del genere. Lui faceva parte di quel famoso battaglione Pino Budicin, che è il battaglione dell'Istria. Però lui a sentirlo parlare diceva: tre volte ci hanno battuto, ma a me non mi ha mai ammazzato nessuno... Comunque, lui poi deve essere scappato via... E' tornato a Dignano e poi è scappato a Pola, dove, a Pola, c'erano gli inglesi e gli americani. E poi lì mi raccontava invece fatti di questo tipo qua: che Pola, si, dentro c'erano gli americani e tutto, però all'esterno, nelle periferie, erano botte tra italiani e slavi, si incontravano quasi come bande e si picchiavano. Comunque, così. Poi non so, partigiano...anche mio padre è andato, però se guardi la data dal 4 maggio 1944 al 1 maggio 1945, era già una data che... La presenza dei partigiani, comunque si vedeva, caspita! Adesso io non so bene, però, voglio dire, allora anche mio padre ha un merito, che dovrebbero metterlo tra quelli che hanno salvato degli ebrei. Perché mio padre, a un certo momento, ha preso due ebrei da Pola, li ha caricati sul carretto vestiti da contadini e li ha portati fino a Trieste. Con tutto il rischio che comportava, perché li avessero fermati... E lo vogliamo mettere come un eroe di quelli dei giusti? No, ma lui l'ha fatto perché gli han fatto una proposta, gli han detto: ti diamo tanto, li porti? Eh si!"

11) Tu ricordi l'ingresso a Dignano dei titini?

R.:"Purtroppo posso dirti una cosa: mia madre ha detto che si era spaventata perché aveva visto degli straccioni. E' l'unica cosa che posso dirti."

12) Parliamo ora delle foibe: vorrei sapere se voi ne eravate a conoscenza, se ne avevate la percezione...

R.:"Ma, io ce l'avevo dietro la cascina. Dietro la cascina di mia madre c'è un prato. Davanti c'è l'arrivo della strada dove si entra dentro e dove stava anche la trebbia, quando era il periodo. Perché erano tre case, una per fratello, e dietro c'erano questi campi. Ma a una quarantina di metri c'era un muretto, un albero e la foiba. La prima volta che sono andato in Istria e che per curiosità sono andato a vederla, a momenti scivolavo dentro, talmente sono andato vicino. E la zia che era lì mi ha tenuto per la mano: calma, che non scivoli! E le dico: ma gli animali? No, gli animali stanno lontani da lì, stai tranquillo! Perché lì in questo campo c'erano mucche, cavalli, manzi, il cane, delle volte le galline, ma nessuno ci andava."

13) E quella foiba veniva usata?

R.:"Eh, non lo so."

14) Ti faccio questa domanda, perché a me interessa capire se voi sapevate delle foibe...

R.:"No, io no. Almeno, io no. Mio padre che delle volte lavorava come carrettiere per il Comune, una volta sono andati a tirarne fuori uno, ma non durante la guerra. Perché andavano nelle foibe per prendere i colombi."

15) Cioè?

R.:"Nelle foibe c'erano i colombi che andavano a fare i nidi, e allora alcuni prendevano una corda, scendevano giù per prendere questi nidi, i colombi. Era un modo come un altro... E uno dev'essere scivolato e allora han dato l'allarme, e mio padre è partito col carretto e con i pompieri, sono andati lì e han messo le tavole, le corde e le scalette per tirarlo su, perché dice che piangeva, ululava, si era fatto male. Le foibe le conosco solo così."

16) Quindi tu quand'è la prima volta che hai sentito parlare delle foibe come simbolo delle violenza jugoslava?

R.:"Ah, in Italia, in Italia. Anni dopo. Mentre ero lì facevano parte del paesaggio: c'erano i campi, c'erano i lachi - i laghi - e c'erano le foibe. Ma era come se fosse parte del paesaggio, come fosse una collina, che ne so! Non avevo assolutamente il senso di una tragedia lì a due passi. C'è però una cosa da dire, e cioè che uno dei racconti di mio zio che era stato in campo di concentramento e che era stato prigioniero lì, in Istria, era in una zona che io non so più neanche dov'è. E lì avevano una caserma - i tedeschi - e avevano messo uno scivolo addirittura per buttarli nelle foibe. E quello che mi aveva colpito da come me lo raccontava anche questo mio zio - che è stato anche nei campi di concentramento eh, uno dei pochi che si sono salvati - che a lui faceva senso, e quel senso me lo ha dato un po' anche a me, che quando li buttavano dentro gridavano mamma. Però anche questo me lo ha detto quando andavo a trovarlo giù a Pola anni dopo, non subito."

17) Ma lui come mai era finito nei campi di concentramento?

R.:"Lui era militare, quindi come internato militare. Lui è stato a Dachau. A Buchenwald e a Dachau. Era lì prigioniero, ma non so. Perché lì da tutti i racconti che ho sentito, ne ho sentite di tutti i colori. Per esempio, a un certo momento, lo zio che ti dicevo prima che era nel Pino Budicin, con un altro parente che era però parente di mia madre, erano partigiani. E loro tagliavano i fili, ad esempio, e poi aspettavano che venissero ad aggiustarli. Però con quelli che venivano ad aggiustarli c'erano anche le milizie che controllavano, e poi gli facevano l'imboscata, sparavano e poi scappavano via. Era così."

18) Senti, parliamo ora dell'esodo. Quando siete partiti?

R.:"Siamo partiti nel 1948".

19) E' partita tutta la famiglia?

R.:"Siamo partiti dalla stazione di Dignano. Mio padre - che era un tipo tutto particolare, perché gli piaceva cantare, gli piaceva ridere, gli piaceva il coro, era sempre messo in tutte le cose - da quello che ho capito io, ci hanno accompagnato con le torce fino alla stazione. E, addirittura, mio padre passando vicino al Comune aveva gridato un'offesa a questi qua. Gli aveva gridato: addio strase de gua che, tradotto, sarebbe addio stracci di quello che fa i coltelli, dell'arrotino. Praticamente gli ha urlato addio stracci dell'arrotino, che però è un modo proprio istriano di disprezzo. Tanto che mia madre si era addirittura preoccupata, aveva paura, perché li sai, andavi via ma... Comunque, siamo partiti mio padre, mia madre, mio nonno, mia nonna, mio fratello, io e un cagnolino. Siamo saliti sul treno e qui ho dei ricordi. Si vede che il treno per un ragazzino è già una novità, e quindi mi ricordo che ero lì in treno che guardavo fuori, anche se poi era venuto buio e mi avevano messo una coperta perché non c'erano i vetri. Poi a un certo punto il treno si è fermato: qualcuno diceva perché hanno minato la ferrovia, parole ne dicevano tante, non lo so. Poi abbiamo camminato lungo la ferrovia ad andare a prendere un altro treno più avanti; e io lì mi ricordo che avevo il cagnolino e camminavo...sai quando cammini su queste... Sai che quando cammini sulla ferrovia hai tendenza a non andare sui sassi...Ecco, quello è un ricordo. Buio, doveva essere buio abbastanza, e mi ricordo questo passaggio."

20) Da Dignano, che tu sappia, è partita tanta gente?

R.:"Si, tantissima. Dignano è vicino a Pola, e Pola è quella che ha dato l'esodo più grosso. Dignano era subito lì vicino. Molti, quasi tutte le mie zie, le sorelle di mio padre, lavoravano tutte a Pola. Dignano si è svuotata molto. Quelli che son rimasti, son rimaste quelle persone che erano già ideologicamente impostate in un certo modo. E quindi, sai, l'astio che mio padre per tutto il tempo ha avuto è quello, che quelle persone lì che non avevano niente, e lui diceva: avevano i moccoli al naso e adesso erano padroni delle sue terre e dei suoi campi. E questo gli è rimasto sempre sullo stomaco!"

21) Tu all'epoca eri piccolo, e non avevi potere decisionale e hai dunque seguito la tua famiglia. Ecco, ma secondo te, quali sono stati i motivi che hanno spinto la tua famiglia ad andare via?

R.:"Guarda, guarda...Allora, una delle ultime cose che mio padre mi ha detto prima di perdere la ragione - e mi dispiace di non averlo intervistato prima, però è così, ogni volta che mio padre parlava di esodo [gli dicevo] adesso basta - una delle cose più chiare è stata: ah, siamo andati via per darla retta a quelli di Pola, ma dovevamo rimanere. Invece, andando più indietro nel tempo, ricordo l'astio che aveva verso queste persone che secondo lui erano pezzenti. E una delle cose che più gli era rimasta dentro [era] che per esempio venivano a controllare quello che avevano. E allora lui che fossero andati col manico di una scopa ad aprire la botte e a vedere quanto vino [c']era dentro, era una cosa inconcepibile. Però, voglio dire, parlando anche con altre persone e non solo con mio padre - anche con uno che conosci te - mi diceva: ma scusa, c'era fame, se non controllavano quelli che avevano qualcosa cosa facevi? Non dimentichiamo che in quel periodo lì, specie all'inizio, i contadini di Dignano andavano a prendersi tutto l'oro che c'era a Pola, portandogli un po' di olio, un po' di grasso. Perché loro ce l'avevano, e quelli lì facevano i cittadini quando non c'era la guerra, ma quando c'era la guerra era tutto il contrario. Cera la bora nera. Uno anche dei ricordi che ho io, è siccome che noi avevamo la fortuna di avere la casa, il cortile e a stalla tutto chiuso con un portone, il carro quando lo portavi dentro e chiudevi il portone non eri visto né controllato da nessuno. E mi ricordo che il carro di mio padre aveva l'asse centrale vuoto, e [lui] aveva fatto delle latte di lamiera sagomata e saldata alla buona con il tappo, lo riempiva d'olio, lo ficcava dentro questo asse e poi lo portava a Pola, naturalmente. Però in cambio qualcosa c'era, eh! Però il senso lì è che forse [mio padre] era stato influenzato da mio zio, che era già andato a Pola, che poi lui dopo è andato via da Pola. Perché quando noi siamo venuti in Italia mio zio era già in cantiere a Monfalcone, mentre l'altro mio zio col cinturone era già in ferrovia che lavorava in magazzino."

22) Quindi, a far scattare la molla che spinge a partire, è stata anche un po' l'ondata, il parto io che parti tu...

R.:"Penso che sia così. Comunque con molto disprezzo."

23) In che senso?

R.:"Eh, quello che ha detto mio padre è significativo, uno che va via proprio [disprezzando]."

24) L'esodo è secondo me un punto di rottura, sia per chi resta che per chi rimane. Prima penso che, come in ogni comunità prima di dividersi, esistessero dei legami tra coloro che partono e coloro che restano. Ecco, questi legami, con il passare degli anni come sono diventati: si sono sfaldati, hanno continuato a esistere, sono stati interrotti e poi ripresi...

R.:"Allora, nel mio caso, siccome mia madre è venuta in Italia con mio padre, ma mia nonna e mio nonno da parte di mia madre son rimasti giù. Suo fratello, quello che era in campo di concentramento, è rimasto a Pola e ha avuto una figlia, che è mia cugina, che è una delle cugine con cui sono più in sintonia, che ha studiato a Lubiana. Lei è architetto ed esercita adesso a Pola. Appena abbiamo potuto venire, abbiamo cominciato ad andare giù, ma io avevo parenti di qua e di là, quindi era difficile che di qua parlassero male e di là facessero altrettanto. Non solo. Siccome in Torino ho avuto degli amici piemontesi che han cominciato ad andare in Istria come andavo io e poi uno di questi ha addirittura sposato una mia cugina e l'ha portata in Italia, quindi c'era un rapporto! No, io penso comunque che chi era completamente quadrato in un senso c'era dell'attrito, non si accettavano: io ho sentito tanti dei miei paesani dire io non vado giù perché non voglio vedere quella gente. Però io so da questo piemontese che ha sposato mia cugina che ha cominciato ad andare in Istria, che quelli che son rimasti hanno avuto dei problemi come noi che siamo andati via. Ma io l'ho saputo perché accettavo di dialogare e di parlare. Cioè, quelli che son rimasti, quando son venuti su dalla bassa Jugoslavia a sostituire noi, c'era un rapporto come noi quando son venuti i meridionali - che qui non davano le case- hai capito? Eravamo allo stesso livello, quindi quando parli dei rimasti è un campo anche molto interessante, se si vuole andare a vederlo con obiettività. Perché, d'altronde, poi mio padre l'ha avuta contro le persone con cui aveva rapporti, che magari qualcuno di questi andava a lavorare i suoi campi per qualche lira e poi se lo vedeva comandare, hai capito? E questi qua invece mi dicevano che con questi venuti su non andavano molto d'accordo, c'era attrito all'inizio. Però passati questi, i figli, finito tutto! Io e mia cugina, o altri...No, ma ancora oggi, dopo sessant'anni li sento qui nel Villaggio: hanno lo stesso astio, la stessa rabbia che aveva suo padre o che aveva suo nonno. A me quello è passato, anzi ho una stima per chi è rimasto!"

25) Parliamo del viaggio. Mi hai detto che sei partito da Dignano...

R.:"Se può essere di utilità, non so, una curiosità. Mia madre aveva prestato la sua carta d'identità ad una delle sue cognate per trafficare, con la scusa che era di nome croato. Ecco, loro l'hanno beccata, e di notte sono venuti a prenderla a casa e l'hanno portata all'OZNA, che era la polizia titina di allora. Si è trovata, combinazione, ad essere capo di questa sezione un suo amico che era di una cascina vicina alla sua prima della guerra, che gli ha detto: Anna, cosa fai!? Ma lo sai che è pericolosissimo? Adesso vai via perché ci sono io qua, ma ha i corso un brutto rischio e non farlo più. E poi gli ha detto anche un'altra cosa che preferisco non dire...Però, voglio dire, quindi è tornata a casa, e tutto tranquillo. Questo ragazzo qua, che era un suo vicino di cascina, che ha fatto tutta la guerra partigiana con Tito, quando poi mia madre è andata su la prima volta per trovare i suoi genitori, ha chiesto di questo ragazzo qua. Sparito. Ma non durante la guerra, dopo la guerra. Poi ho capito che era uno di quelli che non hanno accettato il passaggio di Tito, che si era tolto dal Cominform. E probabilmente lui non l'ha accettato e ne ha pagato le conseguenze. Sparito eh!"

26) Parliamo del viaggio, dunque. Tu parti da Dignano e vai?

R.:"Noi da Dignano andiamo a Udine."

27) Direttamente oppure passando per Trieste?

R.:"No, passando per forza per Trieste, però non ricordo niente. So solo che siamo stati a Udine."

28) Ecco, e di Udine che ricordi hai?

R.:"Pochi, perché a Udine non siamo rimasti molto, e siamo andati da quei due zii che erano in Veneto. Solo che loro - come dicevo prima - uno lavorava in ferrovia e l'altro in cantiere, mio padre [invece] non riusciva a lavorare e per cui siamo venuti a Torino."

29) Quindi quando siete arrivati a Torino?

R.:"Eh, nel '52-'53 e siamo arrivati subito in corso Polonia."

30) Come mai proprio in corso Polonia?

R.:"Allora, perché siccome vicino a corso Polonia c'è via Madama Cristina e via Nizza, e c'erano già le case Fiat e mia madre aveva un cugina che lavorava già alla Fiat e abitava in queste case che sono proprio di fronte a corso Spezia. Allora diceva: ma vieni a Torino io so che c'è un posto - corso Polonia - dove vengono questi a cercare lavoro. Faccio una premessa, ma forse lo saprai: allora a Torino non si entrava se non avevi la residenza, non ti davano lavoro se non avevi la residenza e non ti davano la residenza se non avevi il lavoro. Quindi tu eri costretto a passare da una situazione di questo tipo qua. In corso Polonia cosa succede? Quelli che avevano capito come funzionava la faccenda si preparavano prima. Allora questa cugina di mia madre appena ha saputo che una persona di corso Polonia andava via da uno di quei buchi, di quelle case lì, è andata lì e gli ha detto cosa volevano per mettersi d'accordo. Allora, quelle persone - non vorrei dire cavolate - ma i miei per venire in corso Polonia si son fatti prestare i soldi, perché nel Veneto andavi anche a comperare scrivendo, perché non avevi i soldi e poi alla fine del mese con quelli che avevi pagavi, no? Quindi, non avendo i soldi se li è fatti prestare. Ora, io ho sentito parlare di 140-150.000 Lire, allora, nel '52. Però io non so se glieli ha dati tutti o se metà li ha tenuti per comperare [qualcosa], perché poi a me ha comperato un giubbotto, hai capito? Voglio dire, siamo partiti dal Veneto con un debito verso qualcuno che ci ha prestato i soldi, e un debito da pagare nei negozi dove comperavi da mangiare. Siamo venuti in corso Polonia con le nostre masserizie, e poi mentre l'altro usciva noi entravamo. Abbiam dato i soldi a quello che è uscito e siamo entrati in quel pertugio lì."

31) Riesci a descrivermelo corso Polonia?

R.:"Si. Allora, dove abitavo io era praticamente così: quelle baracche che tu hai visto [in fotografia], quelle due grosse, erano al fianco della strada, messe con altre baracchette. Avevano tante piccole stanze; quella dove ero andato io era praticamente sotto il...non a piano terra, diciamo a piano cantina, perché dalla parte dietro della casa c'era un buco largo - che non so, l'avevano fatti quelli prima - ed erano gli ingressi di queste cantine. Quindi dove siamo entrati noi, praticamente, siamo scesi in questo buco, c'era questa porta, entravi dentro ed era uno stanzone bellissimo, senza finestre e senza niente, perché l'unico ingresso era questo verso il buco. Quindi noi siamo entrati in questo pertugio, in una zona dove c'erano altri pertugi. I muri separavano queste cantine, mentre mi pare addirittura che contro la parete era fango, non era neanche murato."

32) Lì com'era la situazione abitativa, tipo Casermette con tanta gente in una stanza oppure no?

R.:"No, no. Lì era a famiglie. Lì c'era un buco, e qualcuno lo aveva anche abbastanza bello, quelli ai piani superiori, i primi che sono arrivati e magari avran pagato anche di più...Avevano stanze vere e proprie, hai capito, con la finestra magari dalla parte opposta."

33) Lì, comunque, eravate abusivi?

R.:"Abusivi. Infatti io ho trovato dei documenti che il Comune ci diceva di andare via, che noi eravamo illegali."

34) Da un punto di vista della composizione della popolazione, lì eravate solo giuliani oppure c'era anche altra gente?

R.:"Io mi ricordo che eravamo un misto di giuliani - e c'è n'era parecchi, eh, che erano venuti da diversi campi a cerare lavoro a Torino - meridionali - che erano le prime ondate perché dopo quelle successive hanno fatto le Vallette, ma allora no, ti arrangiavi come potevi - e piemontesi. Piemontesi, addirittura, che venivano dalla campagna a cercare lavoro a Torino, oppure che avevano avuto durante la guerra - che ne so - disastri, e quindi cercavano di venire a Torino. Però, come ti dicevo, non era facile, perché allora c'erano i dazi tutto intorno a Torino, e il modo di entrare che era questo come abbiamo avuto noi, e cioè che pagavi qualcosa a chi lasciava il posto e tu entravi, poi dopo andavi a lavorare. Mio padre che era un muratore o un manovale - chiamalo come vuoi - appena è arrivato a Torino poteva lavorare...Lavorava dodici ore al giorno, che c'è n'era, c'è n'era senza problemi! E allora dopo un anno o due anni che lavoravi con quell'impresa, che quello lì aveva bisogno di te e ti conosceva, lui ti assumeva. E come eri assunto, allora andavi a chiedere la residenza in Comune. Penso di aver capito che funzionava in quel modo lì, che quasi tutti facevano quel passaggio lì, perché i campi per noi erano... al momento che eri uscito più niente."

35) E tra le baracche c'era situazione di degrado, di precarietà di delinquenza?

R.:"No,no, no, occhio. Cioè, degrado ambientale si, però c'era tanta voglia di migliorare, tanta voglia di comperare la prima bicicletta, di comperare la prima moto. Voglia di lavorare c'è n'era per tutti, anche nelle difficoltà. Ti faccio una piccola parentesi: se oggi andiamo a cercare quelli che erano lì in corso Polonia - e alcuni li conosco anche io - abbiamo dei cavalieri del lavoro, gente che ha raggiunto livelli alti in Fiat. Io sono arrivato - modestamente - con la seconda avviamento al lavoro e dopo il militare mi sono diplomato."

36) No, ti ho chiesto quello perché ho in mente un articolo de «La Gazzetta del Popolo» che quando parlava di corso Polonia parlava di situazioni ai margini della legalità, come per esempio signorine dai facili costumi ...

R.:"Beh, si, c'è n'erano! C'è n'era, le avevamo vicino: le avevamo vicino. Mi ricordo da ragazzini che andavamo a curiosare e una volta c'era una che stava picchiando uno perché era andato assieme e non aveva i soldi e questa qui si era incavolata e gli aveva buttato la moto per terra! Poi avrei aneddoti anche scabrosetti, però, voglio dire, la voglia di fare e di integrarsi c'era. Le prime cose, comunque, che abbiamo cominciato a fare io e questi miei amici - che combinazione ero io giuliano, un siciliano e un piemontese che eravamo diventati tre amici - abbiamo incominciato a lavorare nelle officine, andavamo alla Vittorino da Feltre, che faceva i corsi serali per apprendisti, quindi una voglia di fare c'era eh! E' chiaro."

37) E nelle baracche che vita si faceva?

R.:"Eh, come fai...Mangiavi e dormivi. Poi il papà era fuori tutto il giorno e quasi tutta la notte, la mamma pure veniva poi di sera e noi vivevamo lì alla vai là che vai bene."

38) C'era socialità tra voi che abitavate lì?

R.:"Ma si, socialità c'è n'era finché si vuole, ci si conosceva, c'erano tante piccole bande. Occhio che in quel periodo lì nel dopoguerra, anche penso nelle città, in diversi quartieri...Quando ad esempio le giostre erano in un quartiere non andavi mica a fare il furbo lì, perché erano botte e qualche volte sassate, eh! Senza bisogno di differenze sociali, c'era questo spirito. Però questo spirito faceva si che dov'eri eri più eri più... ti compattavi."

39) E voi dov'è che andavate a fare a sassate?

R.:"Alle case bulgare, che le chiamavamo [così]. Erano - non so - le case che c'erano dopo...Devono essere case popolari che c'erano dopo l'ospedale delle Molinette; dalla parte verso Lingotto c'erano delle zone di case popolari che noi le chiamavamo bulgare, e non so perché. Oppure si andava dalle parti del Sangone e lì qualche volta era così."

40) E il tempo libero come lo trascorrevate?

R.:"Io, per esempio, finché...Qui andiamo su due argomenti: appena arrivato lì mi ricordo che andavo in discarica a raccogliere ferro, rame e tutto quello che si trovava. Avevamo una paletta - la discarica era a cielo aperto - arrivava il furgone oppure il carrettino e scaricava giù tutto. Allora noi andavamo lì con la paletta a raccogliere e con quei quattro soldi poi magari ti compravi cose tue oppure andavamo al cinema. Tieni presente che in quel periodo lì il cinema per la gente era la realizzazione della giornata, cioè, non è come oggi, eh! Andare a sedersi al cinema era...eh! Allora, andavi lì e raccoglievi: se trovavi il rame andava bene perché col rame prendevi di più, altrimenti prendevi il ferro. Tante volte mi ricordo che arrivavo a casa e mia madre era incavolata come una bestia perché mi ero tutto impregnato. Però, questo è - diciamo - prima dei tredici anni; tredici- tredici anni e mezzo. Perché poi io ho cominciato a lavorare in officina. E siccome quando sono andato a cercare lavoro, la prima che sono andato a vedere non mi hanno voluto perché non avevo ancora quattordici anni e loro volevano essere in regola, invece nella seconda dove sono andato mi hanno preso lo stesso. Quindi, probabilmente, a loro gliene fregava poco: ed era un lavoro da pulire roba, roba di ferro col solvente. Facevano i reostati per le lampadine al neon, e quindi...Quindi da quel momento in poi io ho incominciato a lavorare otto ore al giorno, o nove, non mi ricordo più, che portavo le prime 2.000 Lire alla settimana a casa. 2.000 Lire alla settimana, che la prima volta le ho buttate sul tavolo con arroganza, e quindi a quel punto lì è finita un po' la discarica. A lavorare ho conosciuto degli amici che abitavano da altre parti, tutti quanti lavoravamo e quando ci si incontrava, di sera, era o andare al cinema, insomma, è cambiato. Il mondo è cambiato."

41) Alle baracche di corso Polonia, non c'era nessun tipo di assistenza?

R.:"Eh, non lo so. Non lo so ma penso di no. Penso di no perché eravamo illegali. Comunque, questo non son sicuro, perché c'erano delle persone nelle baracche alte - che sarebbero quelle costruzioni - che erano già arrivati prima e che probabilmente erano già integrati: lì c'era già qualcuno che lavorava alla Fiat, e quindi questi qua non so come erano mesi, hai capito."

42) Si, ho capito. Però, voglio dire, non è che arrivava l'ECA a dare pacchi dono o vestiti o cose del genere...

R.:"No, no, quello era solo nel campo, lì ti arrangiavi."

43) Come sei stato accolto a Torino?

R.:"Ma, lì eravamo tra persone come noi, quindi non c'era nessun problema, anzi era più un aiutarsi che altro. Poi, non lo so, i primi anni si andava d'estate a fare il bagno a Po. Poi, uno dei ricordi che ho e che nei fine settimana mia madre mi mandava a fare il bagno ai bagni pubblici, che quelli te li raccomando, però [almeno] facevo una doccia! Almeno una volta alla settimana."

44) Ed erano lì vicino?

R.:"In via Madama Cristina, quelle zone lì. Erano delle cose orrende...Correva tanta acqua, e meno male, perché poi come odori c'è n'era finché volevi! Perché lì [in corso Polonia] avevamo la fontanella fuori, non è che avevi dentro acqua corrente. Anzi un giorno parlando con una signora, che era da un po' più di me che era lì, una delle cose che ha detto - ridendo, mentre eravamo al circolo - che loro, specialmente le ragazze che devono lavarsi un po' di più, avevano i mastelloni che riempivano d'acqua dentro queste baracche, e facevi il bagno così."

45) Tu, in quanto istriano, hai mai avuto episodi di discriminazione?

R.:"No, niente di questo. Forse possono essere successe ai miei genitori, ma a me no. Anzi, diciamo che poi conoscendo altre persone che già erano in via Nizza, a Millefonti o da quelle parti lì, frequentavi e ti integravi."

46) I rapporti con i torinesi e con il quartiere erano, mi sembra di capire,buoni.

R.:"Si, penso di si."
47) Ti faccio ancora un po' di domande, poi abbiamo quasi finito. Posso chiederti - mi serve per inquadrarti da un punto di vista professionale - qual è stato il tuo percorso lavorativo? Cioè, dopo la boita dove sei andato?

R.:"Prima sono andato in questa boita dove facevano i reattori per le lampade al neon, e lì praticamente col solvente pulivo i pezzi prima di essere verniciati, questo era il mio lavoro. Poi, però, ho avuto la fortuna - e lo dico veramente, io quelle persone lì, son quelle persone che gli farei un monumento - di andare a lavorare da un certo [F. Andrea], vicino a piazza Sabotino, in via Villarbasse, mi pare. Lì ho trovato delle persone - cioè il padrone dell'officina e i suoi figli - veramente eccezionali, perché mi hanno preso, mi hanno fatto iniziare a lavorare dal basso, fino ad andare a lavorare sulla fresa in pochi anni. Non solo, ma quelli lì mi hanno messo anche la marchetta, che poi mi è servita per la pensione. Non solo, ma poi anche perché ero giovane, mi mandavano due volte a settimana a scuola, nell'ora di lavoro, alla scuola che c'era... Alla scuola dei salesiani che c'è...Non mi ricordo... Madonna, divento vecchio anche io! Comunque, facevi due o quattro ore alla settimana, più il viaggio ad andare e tornare indietro. Alla scuola per apprendisti, che secondo me è tantissimo: cioè quelle persone lì, quell'officina, è un esempio, non è come l'altra che gliene fregava niente, 2.000 Lire, pedala e via. Quello lì invece mi ha aiutato molto, perché io poi dopo sono entrato in Fiat. Ho lasciato loro, sono entrato in Fiat, ma poi lì è tutta un'altra storia. In Fiat alle Fonderie di Mirafiori."

48) Vorrei chiederti ancora due cose su quella che potremmo definire la memoria degli esuli. Nel senso che, secondo me, gli esuli tendono a far rimanere molto viva la memoria. Tu, ad esempio, ai tuoi figli e ai tuoi nipoti hai trasmesso queste esperienze, gliene parli, loro sono interessati oppure no?

R.:"E' bella questa domanda. Allora, ti dico: fino a quando mio padre avrebbe potuto raccontarmi le cose vere, quelle interessanti - che qualcosa mi ha raccontato- proprio da apprendere bene, beh, quando lui mi raccontava dell'Istria io sbuffavo [dicevo] basta, lascia perdere! Poi, diventando più anziano, più vecchio, mi è venuto quasi automatico di tornare un po' indietro, di andare a cercare le fotografie. E allora ho cominciato a cercare le fotografie, le fotografie dei nonni, a cercare di capire cos'è. Poi, combinazione, entrando in sto Villaggio, è stato addirittura amplificato. Oggi come oggi, io ho un figlio e una figlia. Il figlio s'è n'è andato in Inghilterra ed è finito lì, mentre la figlia ha sposato un pugliese. Però lei è figlia di profughi, nata a Torino, lui è figlio di emigrati pugliesi, ma nato a Torino anche lui, e cosa gli dico a quei due lì? Posso raccontargli per ridere, posso fargli vedere le foto, però non hanno certo interesse. L'interesse è poi quello che dopo quando abbiamo cominciato ad andare in Istria in ferie, a conoscere i parenti, a vedere quel bel mare, ecco, quello lì si è diventato un interesse; però non un interesse da capire le motivazioni, non credo. Per me finisce con quella generazione, la nostra storia".

49) Tu quando sei arrivato qui a Santa Caterina?

R.:"Nel Villaggio...Allora, io siccome ero di corso Polonia, non c'entravo con le Casermette, sono andato in una casa e ho praticamente sempre vissuto in case in affitto. Una volta addirittura sfrattato, secondo me ingiustamente, però chi compre alla fine la spunta. E, diciamo, son rimasto fuori. Poi, diciamo, che grazie a questa gran forza che ha [A.], questo chiamarci tutti dentro, ho capito che forse a qualcosa avevo diritto anche io, e son riuscito - naturalmente in regola - ad entrare qui. E' chiaro che io la domanda l'ho fatta in Comune, i miei documenti li ho consegnati in comune e poi dopo sono riuscito a passare."

50) Quindi tu non sei arrivato qua negli anni Cinquanta, quando il villaggio era stato appena costruito?

R.:"No, no, io ero fuori; per me i profughi non esistevano, ero in case di affitto, lavoravo, non ero in questa zona. Tutto ricomincia quasi per caso, conoscendo [A.] che mi ha illustrato e mi ha istruito; io ero già un po' esasperato dal fatto che gli affitti crescevano, che i figli dovevano studiare ed ho avuto un momento di...Nonostante tutto quello che ho fatto, il lavoro, e altro, ero entrato un po' in crisi. Poi dopo grazie a questa storia nata con lui, allora mi ha..."

51) Tu in che quartieri hai vissuto in città?

R.:"Ah, c'è anche un passaggio... Che io dopo sposato sono andato in case in affitto, però con i miei genitori sono entrato nell'altro villaggio, quello lì dei baraccati, quando hanno buttato giù corso Polonia e hanno spostato tutta la massa in quel villaggio lì."

52) Ah, ecco, perché mi sembrava...

R.:"Eh no, c'era un passaggio! Quindi, da piccolo, noi usciamo da corso Polonia ed entriamo nel villaggio chiamato dei baraccati, qui vicino. Che son case come queste."

53) E che effetto ti ha fatto la casa. Penso una cosa meravigliosa....

R.:"Eh, una cosa meravigliosa! Penso che il gusto più grande, pur essendo piccola, di mia madre sia stato quello. Neanche tanto mio padre, che lui ha sempre lavorato e quando non ha lavorato stava con gli amici, con il coro o con altre cose, però la casa per mia madre... Penso che venendo qua ai baraccati sia stato il suo momento più alto."

54) Posso chiederti com'era il quartiere?

R.:"Ah, c'erano solo queste case in mezzo ai campi. Non c'erano le Vallette, c'erano qualche cascina qua e là. Il primo contatto era il 13 che arrivava in piazzetta a Lucento, e quindi da questo villaggio si partiva per sentieri battuti camminando e si arrivava lì al 13. Poi chi andava a Mirafiori cambiava coi pullman, o chi andava da un'altra parte. Però, era così."

55) L'ultima domanda è questa. Tu torni spesso in Istria?

R.:"Si. Io per quindici anni di seguito son sempre andato in un campeggio a Pola. Ho smesso di andare quando è successa la guerra, e poi le cose sono così. Cambi e poi dopo non riprendi più: [dici] magari andremo, ma si è perso il gruppo. Perchè - io non so se lo sai - quelli che vanno nei campeggi si trovano sempre da un anno all'altro con altri, hai capito? E quindi c'è tutta una comunità che si ritrova, e per quindici anni io son sempre andato lì. Poi, torno a ripeterti, mia cugina è lì. L'ultima volta sono andato tre anni fa, ma non ero più andato. Penso che quest'anno tornerò; volevo quasi andare l'altro anno ma poi non sono andato, ma quest'anno sicuramente andrò."

56) E se ti chiedessi che effetto ti fa ritornare: rimpianto, nostalgia, dolore oppure nulla di tutto ciò perché oramai sei torinese a tutti gli effetti?

R.:"Eh...Vorrei farti vedere una vignetta che ho fatto che dice tutto. Io la prima volta che sono andato a Dignano, ero fidanzato, non ero ancora sposato. Sarà stato nel '64 o nel '65, perché io nei primi anni non sono mai andato. Sono andato giù con la Vespa e con la fidanzata, che mia moglie è di Grado. Quando sono arrivato su una discesa, che in lontananza si vedeva il campanile e una strada lunga, un'emozione l'ho provata. E, voglio dire, sono due cose un po' similari: la prima volta che sono andato nel Veneto, dopo essere arrivato a Torino, sono andato da militare, a Udine, e quindi ho cominciato a frequentare Grado, e mi sono sentito nel mio ambiente. [Ho provato] una sensazione strana, cioè dire le persone - e non è vero - qui sono diverse da Torino: mi son sentito dentro con più... E lo stesso mi è successo quando sono tornato a Dignano, ma non saprei filosofare. Però, voglio dire, questi due casi qua: tornare nel Veneto dove ho vissuto tra otto e tredici anni, e tornare in Istria dove ho vissuto da zero a otto [anni], [ho provato] un'emozione. [L'emozione] di credere di essere nel mio vero ambiente, che non è vero niente, perché oggi mi rendo conto di essere piemontese a tutti gli effetti. Me lo sento anche in confronto di quelli veneti, sia dei nostri. Però la prima impressione è stata questa."

57) Ma in Veneto dove sei stato?

R.:"Ero a Cervignano del Friuli".

58) Ah, in Friuli.

R.:"Si, lì è Friuli. Friuli Venezia Giulia. Vedi, questa è un'altra di quelle cose...Vedi, anche noi abbiamo l'abitudine di dire che siamo veneti. [Invece] no, noi siamo giuliani. Cervignano è in Friuli, e lì giù se dici veneto o friulano c'è differenza!"
25/02/2008;


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Miletto Enrico 14/07/2009
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Come citare questa fonte. Intervista a Mario B.  in Archivio Istoreto, fondo Miletto Enrico [IT-C00-FD9359]
Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019