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Intervista ad Otello S.
Otello S., nasce nel 1930 a Pola, da dove parte con la madre e le sorelle nel 1950. Arrivato in Italia, trascorre qualche giorno al centro di smistamento di Udine, da dove si trasferisce temporaneamente a Verona presso alcuni parenti. Dopo qualche settimana lascia la città veneta alla volta di Novara, dove è accolto tra le mura del Centro Raccolta Profughi della Caserma Perrone. E' stato intervistato il 20 giugno 2008. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nato?
R.: "Io sono nato a Pola il 13 ottobre del 1930".
2) Mi può parlare della sua famiglia di origine?
R.: "Io sono rimasto figlio unico. Mia mamma era figlia di una veneta e di uno slavo dell'interno dell'Istria, per cui ha il cognome [C.]. Ora, si dice che il fascismo cambiava i cognomi... Bon, mia madre ha lavorato per lo stato italiano, è morta con il suo cognome [C.], va ben? Nessuno gliel'ha imposto. Certo, facevano i ricatti: se vuoi lavorare, italianizza il tuo cognome, giusto? Però non era come dicono che cambiavano il cognome. In località dell'interno è un altro discorso, però c'è chi ancora oggi porta il cognome slavo, c'è poco da fare. Perché quella è una zona che, come dire, se il padre era veneto il cognome era italiano, mentre se il padre era slavo il cognome era slavo, c'è poco da fare. Che poi era sempre dell'Istria poi. Perchè il fascismo sì, ha fatto, ma non ha fatto tanto quanto il comunismo. Perché intanto ha cominciato a mandare la polizia segreta a far fuori tutti quelli che avrebbero potuto contestare l'annessione alla Jugoslavia. Ecco perché non c'è bisogno di speleologi, si sa benissimo chi è finito in foiba, va ben? E si sa benissimo anche perché. Ci sono stati parecchi odi personali, ma quello è un altro discorso. Ma quelli son già venuti con l'elenco da far fuori quelli che potrebbero essere gli oppositori all'annessione alla Jugoslavia, va bene? Si, qualche paese è anche slavo, ma nella maggioranza delle cose, la soluzione americana avrebbe dovuto essere il confine etnico più giusto. Trieste ha gli slavi in casa, Gorizia idem, Fiume era una enclave in un contesto slavo, giusto? L'unica provincia che aveva una maggioranza italiana era l'Istria, ed è quella che ha avuto la sorte peggiore, va bene? Ecco perché dico di Pola. I fiumani possono dire quel che vogliono, ma erano una minoranza dentro un mondo slavo, insomma! E i crimini del fascismo... E questi crimini? [mi mostra una foto di Zara bombardata]. Questi crimini li hanno fatti per mandare via gli italiani dalla costa dalmata."
3) Sua mamma quindi aveva questo cognome, mentre suo padre?
R.: "Mio padre era in pratica il figlio di un napoleonico che si è fermato a Pola."
4) E che lavoro faceva?
R.: "Mio padre, boh? Agli inizi lavorava solo la mamma, poi si è messo a fare l'autista. Ma lui era molto per l'osteria! Quella volta era normale, poi in Veneto era normale!"
5) E sua mamma che lavoro faceva?
R.: "Mia mamma lavorava all'Opificio per la produzione di equipaggiamenti militari, indumenti, scarpe e maglie. Lei [lavorava] per le scarpe, per cui lavorava per lo stato. Nel '44, che per fortuna era domenica, [le bombe] han centrato in pieno l'opificio! Il primo bombardamento di Pola."
6) Lei saprebbe descrivermi Pola da un punti di vista economico: cioè cosa faceva la gente, che industrie c'erano, su cosa si basava l'economia cittadina...
R.: "Pola rispetto a Trieste e a Fiume non era una città commerciale. Era una città di piccola borghesia, tipo impiegati di concetto, commercianti, negozianti, eccetera, eccetera. Ma per lo più viveva dei cantieri navali, dell'Arsenale e dei vari opifici. Per cui era una città operaia più che altro, e quindi non poteva essere una città, come dire, reazionaria, una popolazione reazionaria come la si considera al tempo del fascismo. Anche nelle università c'era il gruppo degli studenti. Che io ho avuto un amico mio, per esempio, che era più grande di me, che lui ha avuto dei problemi. Era di origine slava, ma andava all'università con gli altri, e ha avuto dei problemi di salute proprio perché l'han menato. Ma erano episodi. Io del fascismo ho un buon [ricordo]. A parte la guerra. Ho un buon ricordo, vivevo tranquillo, rispettavo chi dovevo rispettare, ero rispettato e bom, basta. Per quanto riguarda i cognomi, chi li ha cambiati lo ha fatto perché voleva andare incontro al posto di lavoro o cose di questo genere, ecco. Che poi tra le altre cose ci sono dei cognomi in Istria di gente come Lazzari, Benci, Gabrieli, cognomi toscani, che son diventati Lazzerich, Bencich, Gabrielich, tutto grazie ai preti slavi dell'Istria. Hai capito? Loro non facevano proclami, non mandavano circolari in prefettura, lo facevano e basta. Io non son mai stato di destra, intendiamoci, son sempre stato equidistante dai due estremi, perché per me i due estremi si toccano. Io ti dico quello che penso io, poi te pensa quel che hai voglia!"
7) Pola come città industriale aveva anche una forte tradizione socialista o sbaglio?
R.: "Si, si, si. Certo, non poteva esprimersi in maniera palese, però nelle osterie si. Guarda, Pola è stata beneficiata da due imperi, quello romano e quello asburgico, tutti gli altri hanno portato via qualcosa."
8) Ne parlavamo prima, anche se in maniera non esplicita, e cioè della composizione della popolazione cittadina [mi interrompe]
R.: "Durante l'Austria, Pola era piazzaforte militare, per cui militarmente era in mano agli austriaci, però il comune era in mano agli italiani che erano la maggioranza rispetto agli slavi, capisci. Per cui voglio dire che [Pola] aveva la sua anima istroveneta, o comunque latina."
9) E com'erano i rapporti tra la popolazione italiana e la componente slava?
R.: "Diciamo... Ti farò un paragone... Per esempio, quelle che venivano a Pola, andavano dalle famiglie benestanti a fare le serve, no? O quelle che venivano da fuori a portare le fascine, o quelle che venivano a vendere le uova, mi spiego? A un certo punto c'era un rapporto, come dire, di mutuo rispetto per ognuno. Ci sono state si anche quelli che dispensavano odio, non lo metto in dubbio, ma sono casi, ad esempio, come Torino coi terroni, capisci? Sono situazioni, però non si può fare di tutto uno solo, come dire. Succedevano cose di questo genere. Però non ci sono mai state...Intanto ti voglio dire una cosa, che gli slavi quando venivano a Pola, si uniformavano talmente bene alla cultura, al modo di vivere della gente di Pola che alla fine diventavano più italiani degli italiani, va ben? Perché il croato, in sostanza, non ha una propria cultura, tranne che quella contadina, per carità. Adesso pensi che si travestono da romani davanti all'Arena! Si travestono da romani per far la sceneggiata a Pula, mamma mia! Pola che è stata chiamata dai greci Polai, che vuol dire città degli esuli - guarda te - poi Polae in latino e poi si, si è chiamata Pietas Julia perché ha preso a parteggiare per i partigiani anti cesariani, no? E allora siccome ha vinto Cesare han dovuto chiedere scusa! E poi poco dopo Gesù Cristo è stata costruita quella piccola arena, per cui è una piccola Roma in riva al mare. Su sette colli, eh! Tutto tra un colle e l'altro!"
10) Parliamo della guerra. Qual è il primo ricordo che le viene in mente della guerra?
R.: "L'annonaria! Si, perché voglio dire, non c'era da mangiare, non c'era da mangiare. E allora siccome mia mamma... Mio padre era stato richiamato, e mia madre continuava a lavorare, fino al '44, quando poi è venuta a casa per il primo bombardamento. E però c'era il razionamento. Mi ricordo - io avevo dodici tredici anni, spilungone ma magro - che un giorno mia madre mi ha fatto da magiare - che schifo! - delle patate lesse con la marmellata. Non gliele auguro a nessuno! E comunque, approfitto di questo anche per dirti questa cosa qua: lei aveva degli zii - fratelli del padre - nell'interno dell'Istria, cioè in quella che era l'ex contea di Pisino, sempre parte dell'Istria, ma zona dei villaggi slavi, dove c'era qualcuno che aveva fatto la scuola e parlava in qualche modo l'italiano, ma certamente il loro dialetto era quello ciacavo, che è un dialetto slavo. E posso dirti intanto che in chiesa si facevano le messe in latino, c'era dei villaggi che era un'altra Istria, che sembrava di essere tornati al medioevo, alla servitù della gleba. Una roba! Non so, tra stalla e porcile era tutto insieme, per cui era una cosa...Noi che eravamo abituati in città, vedere quello lì ci veniva voglia di andare via. E comunque posso dirti che c'era il fascismo, ma quella gente là aveva il catechismo in croato. Allora mi vuoi dire? Eravamo in uno stato comandato dai fascisti, giusto? Nelle osterie veniva qualcuno da fuori, e c'era chi parlava in croato tra di loro, lo slavo, perché era un dialetto come il nostro italiano, ma loro avevano il dialetto slavo, non era lingua croata. Questo nelle osterie di Pola, ma ancora di più in Pisino e dintorni parlavano croato, e c'era il fascismo! E allora, come la mettiamo! Come la mettiamo con quello che scrive Oliva e compagnia? Vedi? A un certo punto non si può scrivere perché si trova un documento, non si può applicare il documento su tutte le cose quotidiane che succedono. Allora, niente, mi chiedevi della guerra. Noi portavamo dei vestiti smessi, per che so patate...Nelle campagne, andavamo nei villaggi di campagna, è ovvio."
11) Quindi c'era una specie di scambio?
R.: "Si, beh, si andava dal parentado per dire. Ci vedevamo solo in quell'occasione. Però è chiaro, perché a un certo punto, come in tutta Italia, c'era il razionamento, ma guarda che c'era il razionamento anche sotto Tito, eh! E forse [era] anche peggio!"
12) E delle bombe cosa ricorda?
R.: "Il primo bombardamento, ripeto, per fortuna son venuti di domenica: gli scolari erano a casa, gli operai erano a casa, per cui si, ci sono stati morti ma non eccessivi. Comunque Pola, essendo un porto di guerra, non ha subito nemmeno la metà dei bombardamenti che ha subito Zara che non c'entrava niente con lo stato di guerra, va ben? Tanto per dirne una. Si, ci sono stati bombardamenti. Ma noi per fortuna sotto i colli - tutta roccia - avevamo le gallerie, e più che qualche sassolino non arrivava."
13) I tedeschi lei li ricorda?
R.: "I tedeschi, i tedeschi. I tedeschi, chi li rispettavano... Si, va beh, poi si davano da fare perché al confine c'era di mezzo anche la resistenza, e quindi a reazione, come dire, corrisponde reazione contraria. Si, ci sono state delle cose. Io ero ragazzo, per cui non entravo in queste cose qua. Però mio padre, per esempio, che è tornato dopo l'8 settembre a casa, ha preso lavoro come autista con un' azienda edile, per cui faceva l'autista. Io so che da una parte aveva gli amici che erano partigiani, dall'altra aveva quelli che erano [fascisti] e, come dire, uno cercava di convivere in maniera da non essere sempre in mezzo. Però bisognava anche dire a un certo punto... Quando si parla che l'Italia ha fatto questo e ha fatto quello, io so che lo han fatto in tempo di guerra, non prima. Prima c'erano, come dire, i luoghi dove mandavano al confino, ma non c'erano i lager, non c'erano i lager. Dopo son venuti i lager, dopo. E quando son venuti i tedeschi è cominciato San Sabba, e compagnia e briscola. Ma prima, prima della guerra, non c'erano cose che poi hanno fatto vedere Tito, Stalin e compagnia. Hitler poi non ne parliamo!"
14) Posso chiederle se si ricorda l'ingresso dei titini a Pola?
R.: "Io non c'ero, però siccome mio padre... E' stato una roba... Quell'ora del pomeriggio me la ricordo perché è stata sconvolgente. Era i primi di maggio - non mi ricordo più - e mio padre era andato con la colonna dell'azienda a Trieste, e mia madre era preoccupata, perché sai, passare nelle zone controllate dai partigiani, non si sa bene come finiva. Perché là era... Anche perché, per esempio, i giovani dovevano prendere partito, o andare da una parte o andare dall'altra, non potevano restare a casa propria e basta, non potevano. E se andavano partigiani, non è che restavano in Istria, a parte il Battaglione Budicin, che però è di Rovigno, non è di Pola, e loro si sono organizzati per conto loro e hanno fatto gruppo. Ma gli altri così, sciolti, li mandavano nell'interno della Jugoslavia. Io conosco uno che è finito in Dalmazia, capisci? Pur di non averli a far la guerra, anche contro i tedeschi, ma via dall'Istria. Proprio per non avere italiani che potessero rivendicare qualche cosa. Anche in quel caso là l'utilizzo dei partigiani italiani, era finalizzato a quel che veniva dopo."
15) E quindi l'ingresso titino a Pola mi diceva che è stato sconvolgente...
R.: " Ah, si, si. Allora, siamo arrivati nei pressi dell'arena, e c'era questi vestiti come potevano - molto, molto divertenti, se vogliamo - che ballavano il kolo dentro l'arena, sa quei balli che ballano loro. Ah, ah!"
16) Immagino che la gente non li abbia accolti molto bene...
R.: "No, no, anche perchè... Anche perché è subentrata la paura: c'è gente che è sparita e nessuno sa più niente, capisce? E beh, insomma... Perché al di là delle forze armate, non erano loro il pericolo, il pericolo era la polizia segreta, l'OZNA, quelli che andavano in cerca delle persone per eliminarle."
17) Le ha anticipate ora con le sue parole, le foibe. Parliamone. Le chiedo se voi eravate a conoscenza della loro esistenza...
R.: "Io delle foibe ne ho sentito parlare nell'ambito [di] quando c'erano gli inglesi, perché c'è stata in piazza Porta Aurea, dove c'è l'Arco dei Sergi, tutta una mostra. Perché, tra le altre cose, i primi infoibati sono andati a tirarli fuori i vigili del fuoco di Pola, protetti dai tedeschi, e allora tutte queste foto così, quando son venuti gli inglesi, han fatto una mostra a Porta Aurea con tutte queste belle fotografie: volti tumefatti... Ma non è soltanto stato per questo, perché Pola in quel periodo era una città amministrata dagli inglesi, però ogni via d'accesso - che so, due o tre chilometri fuori dai sobborghi - c'erano i posti di blocco, perché tutta l'Istria era in mano amministrativamente - e han fatto il bello e il cattivo tempo - agli jugoslavi. Per cui, voglio dire, gli jugoslavi facevano quello che volevano: mandavano i camion con la gente a fare le manifestazioni a Pola: Pola è nostra! Viva Tito! E cose di questo genere. Non erano i polesani; [c']era magari anche qualche polesano, ma insomma.. Tu devi renderti conto che sono andati via poi quattro quinti della popolazione. Io mi sono trovato straniero in casa mia dall'oggi al domani. E io non conoscevo la lingua!"
18) Delle foibe quindi si sentiva parlare...
R.: "Si, si, questo è quello che so io. Quello che so io è che ho visto questa mostra."
19) Molte volte le foibe si raccontano con la sparizione fisica delle persone...
R.: "Eh si, chi conosceva quelle persone non le vedeva più, è ovvio insomma. E le famiglie che correvano di qua e correvano di là per cercare i parenti e poi dopo [non li trovavano]. Che loro son rimasti quarantacinque giorni, dopodichè sono subentrati gli alleati, gli inglesi. E allora tutto si è risolto che cercavano di capire dove erano finiti. Il fatto è che però la mostra, la mostra di cui parlo io, riguardava gli infoibati del '43, dopo l'8 settembre, perché gli slavi sono entrati subito e i tedeschi sono arrivati dopo. Intanto gli slavi si erano ritirati, e avevano fatto la loro brava pulizia, hai capito? Etnica!"
20) Visto che lei è di Pola, non posso non chiederle dell'episodio di Vergarolla.
R.: "Ah si, ecco, bravo, perché è importante questo! Perché un mese o due fa si è saputo anche chi, materialmente, ha fatto scoppiare quelle mine. Noi l'avevamo sempre pensato - saputo no - ma scusa eh? Oltretutto quel giorno dovevo andare là alla festa anche io. Senonchè quella mattina, mi ricordo sempre quel cielo azzurro e queste nuvole che correvano perché c'era una forte corrente d'aria...I miei amici dovevano fare tutto il centro cittadino per venire alle Baracche, il sobborgo dove abitavo io, per chiamarmi e poter andare a questa festa là. Perché noi andavamo a fare gare e pallanuoto per conto nostro, come azione cattolica. E io le ho viste quelle mine, ma chi se ne fregava? Erano là, e se non le toccavi non succedeva niente, hai capito? E allora anche quella domenica là avremo dovuto andare. Arrivano i miei amici, ma siccome quella domenica mattina, sarà perché ho un sesto senso o non lo so, mi son svegliato verso mattina e nel dormiveglia tra sogno e veglia ho sentito come una radio che diceva: attenzione, attenzione al porto di Ancona è scoppiata una polveriera! Bisogna anche premettere che durante la guerra, quando le formazioni aeree andavano a bombardare in Germania, c'era sempre al largo di Ancona che, come dire, passava la formazione di bombardieri... Comunque io quella mattina non avevo nessuna idea di fare un sogno del genere, di sentire la radio così. E son rimasto sai come i cani quando sentono il terremoto? Inquieto. Dico no, io non vengo. Ma come! Dieci minuti che mi han parlato - era l'una e mezza - hanno sentito [lo scoppio]. Loro son partiti, hanno perso dieci minuti, e io mi son fermato davanti a casa. Sono arrivati a metà strada ed è successo il finimondo, per cui, tutto sommato, gli ho salvato anche la vita!"
21) Mi ha detto di sapere chi è stato a fare esplodere le mine a Vergarolla...
R.: "Un certo K. di Trieste, che faceva parte dell'OZNA, insieme ad altri. Perché a Trieste, nonostante ci fossero gli alleati, c'era il centro dell'OZNA, mascherato come hai voglia. E loro viaggiavano costantemente tra Fiume e Trieste. E adesso c'è gente che andando in Inghilterra, hanno scoperto questa cosa qui, i nomi e tutto quanto. E questo ha determinato il panico tra le gente."
22) Immagino...
R.: "Tra le foibe... Arrivavano e non si poteva... Io conosco un ex partigiano italiano, che ha detto che alla sera dovevano andare in gruppo, perché erano provocati dagli slavi. Perché gli slavi venivano a Pola liberamente, noi per andare fuori dovevamo avere mille lasciapassare, ma quelli venivano liberamente, tanto venivano a fare la loro propaganda."
23) Quindi Vergarolla ha aumentato la paura?
R.: "Beh, si, è ovvio. Se tanto mi da tanto, scusa... Si parla tanto di attentati, ma il primo attentato lo abbiamo avuto noi durante la guerra, e nessuno ne ha mai parlato!"
24) Parliamo dell'esodo. Lei quando è partito da Pola?
R.: "Ma, intanto io ho fatto tre anni sotto Tito."
25) Ah, ho capito, parliamone...
R.: "Eri militarizzato anche da civile, altro che fascismo! Il fascismo era rosa e fiori, perché io col fascismo potevo anche fare il furbetto e non avere la divisa da balilla e non andare al saggio ginnico, ma tutto finiva là! Invece i sabati eri obbligato ad andare a fare il premilitare, con il fucile di legno - sagome di fucile di legno - e obbedendo a ordini in una lingua che non era la tua! Io sono stato fortunato in un certo modo, perché sono venuto a lavorare in officina quando la città era passata alla Jugoslavia, e però c'era anche un circolo italiano molto finalizzato alla propaganda, in cui c'era una filodrammatica cui ho partecipato. E abbiamo partecipato a una rassegna e abbiamo vinto la rassegna , naturalmente con un dramma sulla vita partigiana! Questo è servito però. E c'era uno che veniva da Cuneo, meridionale di Napoli, che ha riparato con tutta la famiglia in Jugoslavia, perché se fosse rimasto in Italia avrebbe dovuto subire determinati processi, va bene? Però, tutto sommato, questo qua avendo la passione per il teatro, è riuscito a coinvolgere quelli del partito comunista e ha realizzato per un anno e mezzo un teatro semi-stabile, e mi ha chiamato a far parte di questo teatro semistabile. Ora, mentre Pola si era svuotata, a Rovigno e negli altri centri della costa, l'esodo era ancora alla spicciolata, l'elemento italiano era ancora abbastanza integro, perché non sono andati via col Toscana come a Pola, migliaia e migliaia per volta. E allora la mia soddisfazione era quella di recitare in italiano in un territorio che era diventato slavo. Poi siccome abbiamo recitato Goldoni, Ibsen, Cecov, una critica della borghesia... Ma il partito voleva addirittura i lavori sovietici, e ne abbiamo fatta una, ne abbiamo messa in scena una, solo che c'erano quei quattro gatti del partito, ma non c'era il pubblico! E han chiuso il teatro. Siccome i quadri culturali erano a livello molto terra, terra, anche io che ero un po' studentello con qualche velleità diversa...Poi, tra l'altro, un bel giorno, quando han chiuso, mio padre - io ero ancora minorenne - aveva fatto l'opzione, firmato l'opzione per voler mantenere la cittadinanza italiana. Ma siccome lui lo impiegavano ad andare a prendere il latte per tutta le regione, non lo mandavano via! Era in sospeso, e così in sospeso restavo anche io. E mi ricordo che nella primavera del '50, mi avevano dato in mano la gestione del cinema, arrivavano tutte le cose [pellicole] in croato e io non capivo niente! Ma questo era il meno. La mia porta [d'ufficio] era di fronte a quella del Fronte popolare che equivaleva al Comune, all'amministrazione. Io ho visto una vecchietta che vendeva un po' di legna, mandata via da lì come i cani rognosi, va bene? Dalla sinistra, dal partito comunista jugoslavo! E allora quando mi hanno chiamato dalla segreteria del partito, per farmi entrare nel partito a me, ho detto: come me la cavo? Ho detto sa, io sono giovane, il partito è una cosa importante per poter prendere una decisione e cose così. E allora mi han lasciato, sono tornato a casa, mi hanno licenziato dal cinema. E allora io sono andato a lavorare al Cantiere Navale Scoglio Olivi. Perché bisognava andare a lavorare e, naturalmente, era peggio dell'annonaria fascista!"
26) Cioè c'era poca roba da mangiare?
R.: "Mia madre andava a fare, poveretta, delle file, e quando lavorava sul banco non trovava più niente. Non ti dico...Intanto al cantiere navale erano arrivati i monfalconesi, perché il cantiere navale, era rimasto privo della forza lavoro. E tra le altre cose, in quei quarantacinque giorni prima di andare via da Pola e lasciarla agli alleati, gli slavi avevano portato via dei macchinari dall'Arsenale. Ai cantieri costruivano delle navi e a luglio mi ricordo che c'erano queste lamiere che scottavano, un caldo bestiale! Io avevo... Ero aggregato al capo operaio, perché facevo l'apprendista, e si sono presi a pugni per avere prima uno dell'altro la gru per fissare le paratie, che sarebbero le ossature della nave. Per cui ogni mattina che dovevo andare là dentro, sembrava di dover andare all'inferno: il caldo, l'angoscia, madonna, una roba da matti! Fortunatamente, tra virgolette, un giorno ho messo il piede su un asse che era male sistemata tra due tubi, e son caduto giù, di sotto e mi son storto il piede, per cui son stato a casa. Poi dopo nel frattempo è venuto l'approvazione per poter partire. Meno male, perché mi avevano già incasellato a rischio di leva: avrei dovuto andare nell'esercito jugoslavo, senza sapere una parola!"
27) Ma invece dei monfalconesi cosa ricorda?
R.: "Ma, insomma, cosa ricordo... Erano qualche migliaia, si che però poi dopo anche loro hanno avuto la brutta sorpresa del Cominform, e son finiti anche all'Isola Calva! Ma meno male, son contento per loro voglio dire."
28) Quindi a Pola sono arrivati? Ce n'era qualcuno...
R.: "Si, però la città era ancora abbastanza spopolata a quel tempo, eh..."
29) Lei va via nel 1950, giusto? Ma prima di andare via lei vede Pola svuotarsi. Riesce a descrivermi la città in quei giorni?
R.: "Tremendo, tremendo. Intanto i miei amici son scomparsi quasi tutti, chi con la famiglia, chi col gruppo. Che poi dopo quelli dell'azione cattolica, si son trasferiti tutti ad Oderso in provincia di Treviso, in un convitto. Io no, che mio padre aveva deciso di vedere come si sviluppavano le cose e son rimasto là, son rimasto isolato. Per cui mi sono fatto qualche amico nell'ambiente del lavoro, nell'officina dove lavoravo, però non era la stessa cosa, insomma."
30) Quindi era una città che si svuotava...
R.: "Si, si, era tremendo. Io sinceramente evitavo di andare in centro, evitavo di andare in centro, perché tu vedevi porte sprangate, strade deserte e con l'inverno che passava, [era] una roba tremenda. Era che anche nella stessa baracca dove abitavo io, saremmo rimasti un terzo di tutta la gente [che c'era]. Che poi era gente operaia, non era gente così... Non era gente che aveva - come dire - particolari passioni politiche. Però, sa, è contagioso: va via uno, va via l'altro, e insomma...Ti dico, una città che aveva trentadue-trentacinque mila abitanti, per quattro quinti, insomma, ventottomila se ne sono andati. Ti rendi conto? Fiume e le altre parti, o il resto dell'Istria si è spopolata piano, piano. Ma Pola, tremendo, tremendo! Che poi, abbi pazienza, mia madre nata e cresciuta a Pola, che doveva - come dire - sistemare i vari indumenti, si arrangiava, non aveva mai fatto la sarta, però, voglio dire, nella mia famiglia, la donna aveva sempre quella capacità di sistemare le cose senza essere una professionista. Per avere un po' di zucchero, di farina e una cosa e l'altra, là dove abitavamo noi, son venute le famiglie dei sottoufficiali, perché gli ufficiali erano alle palazzine della Marina, quelle migliori, no? Però loro avevano lo spazio per conto loro, capisci? Però loro vivevano per conto loro, noi no. E la rabbia mia era: ma come, mia madre nata lì, deve vivere per fare la serva? E a quel punto no, capisci? Eh... Ah, poi, tra le altre cose in quel periodo là, la prima cosa quando sono arrivati [è stata che] ogni settimana, al venerdì, raduno al Fronte Popolare, perché il Fronte Popolare in ogni - come si dice - rione, borgo, aveva la sua sede, no? E ogni casa aveva - come dire - il responsabile di partito che controllava che tutti facessero questo, facessero quest'altro, andare alla riunione, andare a fare il lavoro volontario, a tirare sassi di qua e metterli dall'altra parte. Là, se non facevi quello che ti dicevano, cominciavano a guardarti [male]."
31) Posso chiederle qual è stato il motivo per cui siete partiti?
R.: "Intanto io ringrazio i miei genitori per cosa han fatto. Perché io che volevo scrivere... Ho vinto anche un premio con la Schiava istriana, e cioè mi sono inventato una storia al tempo di Roma, mettendo nei romani la classe prepotente rispetto al popolo degli istriani, perché è così: i romani hanno invaso l'Istria, hanno fatto la guerra che sarà durata sette o dieci anni - adesso non mi ricordo più - per sottomettere quelle popolazioni. Perché altrimenti non potevi scrivere: o scrivevi del partito, o non scrivevi, ma peggio del fascismo! Perché non avevi vie traverse, dovevi scrivere la lode a Tito o cosa. Io ho dei libri che ti danno il senso di quello che poteva essere la scrittura o la cultura a quel tempo là. O ti adeguavi a quello che volevano quelli del partito, o non facevi niente. Anzi, cominciavi ad essere guardato con sospetto."
32) Quindi perché siete partiti?
R.: "Ma, intanto ci si sentiva condizionati al massimo, almeno io, e parlo per me, non vedevo l'ora di andarmene via. Dico sarà quel che sarà, tra il campo profughi e il cavallo, ma almeno potrò dire crepa se mi veniva da dire crepa, capisci? Io, sinceramente... Poi niente, era diventato asfissiante il clima politico."
33) In che senso?
R.: "Nel senso cha a un certo punto, tutto doveva essere organizzato come voleva il partito. Non c'era una vita sociale autonoma, venivi inquadrato e basta. Il lavoro, si, andava bene, però dovevi stare attento a cosa leggevi."
34) Un regime che quindi penetrava in ogni aspetto della vita quotidiana...
R.: "Ma certamente, perché non potevi dire niente, perché a un certo punto incontravi chi riferiva ed era finita. Ma, voglio dire, nella Russia hanno fatto così, non è che ci sia stato molto diverso, eh!"
35) Ribaltando la domanda, ora le chiedo chi è rimasto, secondo lei, perché lo ha fatto?
R.: "Ci sono quelli che son rimasti anche per ideologia, no? Sono una minoranza, ma ci sono anche quelli. Altri [sono rimasti] perché, tutto sommato, insomma, [dicevano] ho una casa, ho un terreno, ma dove vado? Capisci, cioè? Quelli son rimasti in questo senso qua, capisci? E, tra le altre cose, quelli che adesso si vantano dell'italianità, perché fa comodo, sono i famosi [R.], che uno è vicesindaco, e l'altro è deputato a Zagabria. Il loro padre era un funzionario del partito, che partito? Comunista! Hai capito? Voglio dire che si riciclano quella gente là. Io non voglio far ricadere le colpe dei padri sui figli, se sono rimasti è perché c'era una ragione. E guarda che chi aveva in mano il potere, ha fatto poi le sue brave berlusconate, eh, eh!"
36) Si ricorda il viaggio?
R.: "Io parto la notte di San Martino del 1950. Io sono partito in treno insieme a qualche altra decina di persone che avevamo quella sera, come dire, il permesso di andare a Trieste."
37) E dietro avete portato tutto con voi o c'erano delle limitazioni?
R.: "No, si poteva portare i propri effetti personali, per cui mia madre che ha penato una vita per farsi la mobilia - a rete e una cosa e l'altra - ha dovuto disfarsene prima, così, per quattro soldi e via! "
38) Del viaggio che ricordi ha?
R.: "Che non finiva mai quella notte! Siamo arrivati a Opicina, sopra Trieste, che pioveva che dio la mandava, e se non la mandava lui, la mandava qualche d'un altro! Allora, ci hanno messo dentro delle baracche, con i letti a castello e a mezzogiorno, un calderone così di roba fumante dentro la gavetta, che noi la chiamavamo la gamella. Bon, insomma, roba da guerra. E ho passato la prima notte così, e ho subito, come tutti gli altri un interrogatorio: ah, lei lavorava al cantiere navale! Una cosa e un'altra, e io cosa dovevo dire? Si, beh, costruivo le navi! Questo la polizia italiana, o alleata, comunque. Un disagio della madonna, insomma."
39) Un disagio, perché?
R.: "Eh, campo profughi perché ti trovi là, non è che ti mandano in camera d'albergo, insieme ai tuoi letti ci sono gli altri, hai capito? Non parliamo poi del campo profughi di Novara! E allora ci mandano a Udine, che è un campo di smistamento."
40) Lei si ricorda il campo di Udine? Cos'era una scuola, una caserma?
R.: "Io mi ricordo un grande stanzone, dove c'erano vari cosi - materassi, questo e quell'altro, un gran casino -, un grande stanzone. Che però io a Novara sono capitato per caso, perché se avessi seguito la sorte di quelli che son venuti fuori dalla Jugoslavia insieme a me - che, notare, io ritornavo in territorio italiano, non è che ero diverso, che ero extracomunitario! - loro son finiti a L'Aquila. Io con la mia famiglia siamo andati da Udine, abbiamo chiesto di andare a trovare mia nonna e le sorelle di mia mamma [a Verona], che mio zio era già morto, e tra le altre cose, faceva il carabiniere a Verona. E allora ci hanno dato il permesso, come militari, [di andare] una settimana a Verona, e siamo andati."
41) Però non in campo...
R.: "No, no, a casa di mia nonna. Chi aveva i parenti, insomma... Loro non potevano ospitarci perché erano già con due figli in una camera e cucina e in una stanzina. Quella settimana, però, avevo la roba... Avevo un cappotto fatto con la coperta di lana, un cappotto a tre quarti, proprio da pellegrini! Ma quando siamo tornati poi a Udine - era domenica - è venuta da Novara la richiesta di posti che erano disponibili, e allora niente, ci hanno convogliato a Novara. Anche là, abbiam mangiato una pastasciutta alla stazione di Milano alla sera, poi abbiamo aspettato il treno del mattino per arrivare qua a Novara che c'era una nebbia!"
42) E a Milano la pastasciutta chi ve l'ha data? Qualche organizzazione di assistenza?
R.: "No, no, per conto nostro. No, io non sono stato in quei convogli della gente, quelli sono venuti prima di me. Perché vedi, a Novara ci son pochi polesani, o polesi, come ci chiamavano per distinguerci da quelli del Polesine. Perché tutti quelli che son partiti col Toscana o son venuti via così, lavorando all'Arsenale o alla Fabbrica Tabacchi, hanno trovato il posto a Torino, La Spezia, Venezia, tutti luoghi dove hanno potuto, come dire, trovare una sistemazione quanto meno provvisoria, ma una sistemazione. Quando sono arrivato a Novara io, ci hanno sistemato tutti - sei famiglie - in uno stanzone che sarà stato lungo da là alla porta e qualche metro più largo: c'era i listelli con le coperte che delimitavano sia il corridoio - che c'era la finestra in fondo - e la porta chiusa dal corridoio. Sei famiglie, tre da una parte e tre dall'altra: chi scoreggiava, chi pompava col petrolio per cucinare qualcosa, un casino della madonna! E poi, sa, poco alla volta uno si sistema, perché magari uno va via, trova posto e ti lascia più spazio. Quel posto di prima accoglienza, non esiste più, perché adesso c'è il parcheggio delle automobili. Perché l'unico danno che ha avuto dalla guerra Novara, è stato un attentato che ha fatto crollare una parte della Caserma Perrone. Ma roba più dimostrativa che altro. Di bombardamenti hanno avuto dei mitragliamenti sulla stazione e qualche spezzone così e basta, non l'han toccata. Evidentemente c'era un nucleo antifascista, partigiano, molto forte qua. E anche nella localizzazione del campo profughi, [a] quel tempo la politica era in mano alla Democrazia Cristiana, e allora la destra, il MSI, ci utilizzava come quelli che ecco, avete visto, il paradiso comunista eccetera, eccetera. I democristiani ci mandavano qua e là dove c'erano le amministrazioni di sinistra per bilanciare i voti: si, ci hanno dato il sussidio, non più la minestra da calderone ma il sussidio, per cui uno poteva organizzarsi un pochettino, ma però l'abbiamo pagata! C'era però... Che quando sono arrivato io, era già buona, perché all'inizio i miei compagni di sventura - chiamiamoli così - dovevano girare, soprattutto di sera a gruppi, perché c'era a Novara chi non ci poteva vedere. Venite a portarci via il pane! [dicevano]. Tant'è vero che quando io ho lavorato alla De Agostini, c'era uno che abbiamo lavorato insieme per diciotto anni. Eppure dopo tanto tempo, non so per che quale discussione [mi ha detto]: eh, se non ci fossi tu qua! Era il più negato a fare quel lavoro, aveva sempre bisogno di qualcuno, comunque! Era comunista, milanista e mangiatore per dieci! Mi fa: se non ci fossi qua tu, ci sarebbe mio fratello! [Gli ho detto]: guarda, senti un po', mio padre è andato in Russia con la colonna dell'esercito italiano, per cui, voglio dire, io ho gli stessi diritti tuoi sia che abiti a Novara che da un'altra parte della città. E dopo tanto tempo, eh!"
43) Ad esempio, com'era la vita nel campo profughi?
R.: "Ah beh, la vita nel campo profughi era già un dato acquisito quando sono arrivato io. Noi avevamo tutto un altro modo di concepire la vita, perché non dimenticare che sono nato e vissuto in una città. Perchè Novara adesso si è ingrandita, ma quella volta, per me, era più vuota di Pola, perché non prendevano iniziative. Allora a Pola avevamo i gruppi di ragazzi e ragazze che con la chitarra si suonava; cioè, c'è uno spirito diverso. Mi ricordo che tra le altre cose, siccome c'era chi lavorava... Ma si faceva quei lavori che capitavano: portare il carbone nelle cantine, portare i cesti di frutta al mercato all'ingrosso. Io per esempio ho preso parte alla canalizzazione del gas tutta intorno a Novara. Ma tutti lavori, come dire, a termine insomma. Per cui, voglio dire, c'era chi aveva qualche soldo in tasca e chi no. Allora quando c'era la festa, facevamo i nostri gruppi, cioè ragazze e ragazzi insieme... Ma non, come dire... Noi avevamo un cameratismo che qua non c'era. E allora andavamo, pigliavamo, affittavamo a carnevale una stanza dietro a un'osteria, c'era il giradischi, noi portavamo da bere, le ragazze portavano i panini e si ballava, si faceva i giochi di società, sa, quei giochi a premi e quelle stupidaggini là. E il padrone del locale ci diceva: se volete, ci sono le stanze di sopra, e noi gli abbiamo fatto una risata in faccia. Si, c'erano quei ragazzi che oramai erano già fidanzati, però, in compagnia, non si permettevano di appartarsi come poi ho visto fare qua un sacco di volte, o una ragazza che si stringe a me poi bam, si stacca con la mamma che aspetta che finisca di ballare. Capisci? Per cui era tutto un altro rapporto, ci divertivamo come potevamo, alla fine. Però, vedi, le nostre ragazze erano prese per puttane soltanto perché fraternizzavano coi maschi. E' soltanto che eravamo amici."
44) Qui a Novara come siete stati accolti?
R.: "Con molto distacco. Intanto non ti dicono mai niente: pensano e parlano ma non ti dicono mai niente, poi sotto sotto ti tagliano i panni addosso. Questa è proprio una caratteristica [dei novaresi]. Tanto è vero che nei tanti anni che ho passato coi miei colleghi alla De Agostini, noi eravamo un gruppo di cromisti, una dozzina di persone. Tante cene, nei vari trattorie e ristoranti ma mai un novarese - dopo quindici o venti anni - che mi avesse chiamato in casa. In casa sono andato di gente che era venuta come me dal meridione, ma di novaresi no. Il novarese è molto cortese però ti lasciava dove ti trovi."
45) Lei ha provato sulla sua pelle l'essere accostato al grande stereotipo, ovviamente sbagliato, dell'istriano fascista?
R.: "Ah, quello, quello era sottinteso! Non te lo dicevano ma lo pensavano. Anche perché, parliamoci chiaro, io non ho avuto l'avventura di arrivare col piroscafo a Venezia o ad Ancona, o di viaggiare a Bologna col treno, che son stati fatti eclatanti, però era sempre come dire, ah si? Anche perché. Non dimentichiamo quell'idea, che Novara è di sinistra. Io poi ho fatto una grossa amicizia col sindaco socialista, che mi ha dato anche i biglietti per andare a Roma gratis, per esempio. Ma perché i socialisti erano già diversi, più bonaccioni. Ma quello invece che era comunista, come quello che mi ha detto se non c'eri qua tu c'era mio fratello, beh, quello non guardava in faccia nessuno."
46) Mi interessava sapere sempre relativamente all'arrivo a Novara il capitolo del lavoro.
R.:" Qui, a parte il fatto del lavoro precario, c'era chi era già andato che avvisava gli altri: c'era un passaparola per questi lavori qua. Per quanto riguarda invece il lavoro da sistemarsi, c'era una legge che diceva che una parte delle assunzioni deve essere riservata ai profughi. Io non mi è mai piaciuto chiamarmi profugo, ho sempre preferito chiamarmi esule, perché poi è stata anche una scelta politica. Come mi rifiutavo di indossare la divisa balilla, peggio ancora quell'altra! Ma perché non faceva parte della mia etnia. Io per esempio sono entrato [in De Agostini] perché avevo la licenza di un avviamento professionale, e allora avevo le carte in regola, ma è molto facile che abbia...Io non lo so, voglio dire, ho fatto la domanda e mi hanno assunto. Non so se sono rientrato in quella percentuale oppure andava bene quello che avevo come individuo."
47) E il resto dei suoi conterranei dove ha lavorato, nelle fabbriche?
R.: "Si, per lo più si. Qui c'era la Pavesi, c'era le fabbriche della chimica, dell'azoto. Si, insomma, ci si è un po' sparsi un po' dappertutto."
48) C'è stata poi l'ultima parentesi che è quella del Villaggio Dalmazia. Lei come è arrivato qui e com'era il quartiere ai tempi?
R.: "Io non sono... Io sono qua soltanto da otto anni, perché? Perché la prima occasione che ci è capitata con la mia famiglia - quelle dei miei genitori - siamo andati nelle case popolari dell'INA."
49) L'INA Casas...
R.: "Si. Anche in quel caso là, un certo numero, una certa percentuale veniva riservata ai profughi, per cui la mia famiglia si è sistemata là. Erano due zone: una era Bicocca, e uno era Santa Babbio e ancora un'altra era dalle parti del Sacro Cuore. Si, ma voglio dire, sparsi, chi di qua e chi di là. Noi appena possibile abbiamo cercato di venire. Perché, quando siamo andati via noi, c'era ancora il campo profughi, e poi ho fatto la mia vita quando mi son sposato e ho vissuto in parecchi borghi. E soltanto ultimamente perché il mio reddito cominciava a essere scarso nei confronti delle esigenze di chi mi affittava l'appartamento, e allora mi han detto: guarda che tu potresti andare. Ho fatto la domanda e anche qua, siccome le case non sono del comune ma sono del demanio e sfuggono alle caratteristiche delle case popolari, ed essendo uno per il quale sono state costruite, me le hanno date. Ma son già otto anni."
50) Lei ritorna a Pola?
R.: "Tornavo, ma adesso non posso andare perché ho dei problemi di salute, per cui come faccio a muovermi con la debolezza di cuore che ho adesso? Prima andavo, andavo si."
51) Lei ha nostalgia dell'Istria?
R.: "Oh! Più passa il tempo e peggio è! Dopo che avrai letto le mie cose, capirai quanto... Insomma, anche perché è un'identità, la mia, da istriano, anomala a Novara. Gli altri sono accasati, si sono integrati, e io non sono mai riuscito a integrarmi casa lavoro, lavoro casa. Come dire, ho sempre avuto questa spinta alla creatività, se non c'è qualcosa cerco di crearla."
52) Da Pola e dal suo mare arriva qui a Novara, dove di acqua, ben che vada, c'è quella delle risaie. Io penso abbia fatto un po' di effetto...
R.: "Uh, mamma mia, che estati! Che estati tremende! Perché poi qui tra le altre cose, quando c'è l'afa... Quando c'è l'afa ti tagliano le gambe. Io ho sempre detto - adesso non lo posso dire più per ragioni mie personali -, che a Novara è maglio l'inverno che l'estate. Perché d'inverno se fa freddo ti copri, ma d'estate non puoi andar nudo. Poi il mare mi è sempre mancato, anche se io non ero un patito per il mare. Ma poi, abbi pazienza, quelle rocce bianche e quel mare pulito! Ma io non vado neanche sulla riviera Romagnola. Sono andato per qualche anno a Viareggio perché c'è la fiera del libro. [Sono andato] un po' per lavoro e un po' per passione, però anche a Viareggio andavo a metà della diga a fare il bagno. Noi avevamo un paradiso e non sapevamo di averlo. Adesso tutti corrono là, i tedeschi... Poi un'altra cosa: adesso forse han cambiato - e vogliono entrare in Europa - ma vendevano le case agli stranieri e non agli italiani, lo sapevi? Hai capito? Ai tedeschi si, agli italiani no. No, capisci? Vedi che razza... E vogliono entrare in Europa."
53) Secondo me non ci entreranno...
R.: "Magari, magari! Io spero che perdano anche la partita di calcio coi turchi, venerdì. Insomma, son mie speranze!"
20/06/2008;
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