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Intervista a Aldina P.
Aldina P. nasce a Valle d'Istria nel 1940. Nel 1947 parte con la sua famiglia. Arrivata in Italia, dopo una breve sosta a Venezia è smistata a Varallo Sesia, dove resta qualche mese. Da Varallo Sesia si trasferisce a Lignana: la sua famiglia lavora nei campi, lei frequenta la scuola al Collegigo della Provvidenza di Vercelli. Terminati gli studi ritorna a Lignana, restandovi fino al 1956, anno in cui si trasferisce con il marito alle Casermette di Altessano. Nel 1960 ottiene un alloggio al Villaggio di Santa Caterina, dove vive ancora oggi. E' stata intervistata il 17 aprile 2007. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: quando e dove è nata...
R.: "Io sono nata a Valle d'Istria nel 1940".
2) Mi parli un po' della sua famiglia di origine: quanti eravate, cosa facevano i suoi genitori...
R.: "In campagna. Vivevano lì a Valle dove avevamo la casa. Il papà andava a lavorare sotto B.-ch, dove facevano le mine - mettevano le mine per far saltare i sassi e tutte ste robe -, la mattina andava in bicicletta e la sera tornava in bicicletta: venti chilometri la mattina e venti la sera, e poi veniva a casa e andava ancora in campagna con la mia mamma e con la mia zia che viveva con loro perché era un po' handicappata. Andavano ancora in campagna. E noi eravamo in quattro: mio fratello non cominciava ancora a lavorare, perché quando è venuto via aveva sedici anni, mia sorella ne aveva quattordici e io ne avevo sette, che sono andata a finire poi in collegio, a Vercelli. [Il collegio] della Provvidenza, il collegio dei poveri, della Provvidenza, pensi!"
3) Riesce a descrivermi com'era Valle? Cioè cosa faceva la gente, che attività economiche c'erano e cose di questo tipo...
R.: "Tutti [lavoravano] in campagna, tutti in campagna. Là erano tutti campagnoli, pochissimi che andavano a lavorare a Pola sotto padrone, che avevano la busta dei soldi al mensile, pochissimi. Gli altri erano tutti proprietari di campagne: chi un pezzo, chi un altro pezzo, chi un altro pezzo e lavoravano nella sua campagna coi suoi animali ed era tutto così. "
4) E a Pola la gente di Valle dove andava a lavorare?
R.: "Sotto B.-ch, dove c'erano da far saltare ste pietre, che poi ste pietre venivano macinate. Una cava, era una cava, proprio nelle cave a Pola. Sotto B.-ch, che B.-ch era il padron".
5) E da un punto di vista della composizione della popolazione, a Valle com'era la situazione?
R.: "Eravamo tantissimi italiani, tantissimi. La maggioranza era italiana, non erano gente dell'interno, c'è n'erano pochi, eravamo più italiani, ci sentivamo italiani ed è per quello che siamo venuti via. La maggioranza era tutta italiana."
6) Ho capito. E i croati invece dove stavano?
R.: "Più all'interno. Non tanto distanti da noi, però c'erano sti paesetti tipo Carnedo e tutti sti paesetti un po' distanti da noi. Vicino, cioè magari cinque chilometri, però loro erano già croati. Slavi, non le dicevano croati, le dicevano slavi."
7) O anche in un altro modo...
R.: "Eh, anche s'ciavoni!"
8) Ma senta, com'era il rapporto tra gli italiani e gli slavi?
R.: "Eh, non era buono, non era buono, perché si son sempre un po' odiati tra gli italiani e [gli salvi]. E poi dopo sotto Tito ci guardavano malissimo, ed è per quello che poi dopo abbiamo dovuto venir via."
9) In che senso vi guardavano malissimo...
R.: "Eh, ci guardavano male, perché il comunismo voleva fare quello che volevan loro e noi non volevamo accettare. I miei genitori non accettavano di essere sotto Tito. Il quadro di Tito lì in casa mia mamma non lo ha mai voluto!"
10) Parlando sempre di questo rapporto, secondo lei da dove nascono i rancori?
R.: "Eh, c'era l'odio, l'odio patriota, così. C'entrava anche per forza il discorso del fascismo, c'entrava tutto. C'entrava tutto perché anche dopo chi è rimasto si sentivano comunisti e hanno avuto i migliori posti nelle cooperative di qua e di là, e chi non era del partito passava le conseguenze. E uno non poteva accettare una cosa del genere, uno che si sentiva italiano non poteva, tradito in quella maniera... E abbiamo cercato - i genitori e noi piccolini seguiamo i nostri genitori - di andare via. "
11) Lei è nata nel 1940, per cui della guerra credo ricordi poche cose...
R.: "Niente, niente. Io mi ricordo solo quando siamo andati via di notte in bicicletta con mio papà, io e mia sorellina, che siamo scappati di notte, perché non si poteva andare via tutti assieme."
12) Ma questo riguarda l'esodo.
R.: "Si."
13) Allora glielo chiedo dopo. Ma della guerra nulla ricorda quindi...
R.: "No, no. Di quelle cose non mi ricordo. Che raccontavano si, che si sentiva che sono entrati di notte a prenderli nelle case e li hanno buttati nelle foibe, quello si."
14) Ecco, ma delle foibe voi ne eravate al corrente, cioè è una cosa che si sapeva, ne avevate la percezione?
R.: "Ma si diceva sempre, si è sempre sentito, anche quando eravamo appena venuti si sentiva. Però nessuno ne parlava, nessuno si manifestava su queste cose. Han lasciato morire tutte le persone anziane e poi è venuta fuori la storia dell'Istria, però è venuta fuori troppo tardi! Troppo tardi, perché han lasciato morire quelli che hanno sofferto, perché noi venendo qua, automaticamente siamo andati nel benessere. Non è che abbiamo poi sofferto noi. Hanno sofferto i nostri genitori, poverini: venire via di là, lasciar tutto e ricominciare poi da capo senza avere una forchetta e niente... scherza!"
15) Parliamo allora dell'esodo. Lei quando parte?
R.: "Noi siamo venuti via nel '47, nel gennaio del '47. "
16) Ed è partita da Pola?
R.: "Si, da Pola".
17) Però mi diceva che da Valle a Pola è andata in bici...
R.:"Ah si, siamo andati via un po' alla volta, mica tutta la famiglia insieme! Io, niente, mi ricordo solo questo, che siamo andati con papà in bicicletta, che era freddo, gennaio. Eravamo sulla canna della bicicletta io e mia sorellina e siamo andati a Pola, che c'era la nave che ci aspettava. La nave degli americani per portarci poi via. Poi dopo tre o quattro giorni è venuta la mamma con mio fratello e mia sorella che erano più grandi, [ma] non si poteva andare [via] tutti insieme. Ma non solo noi, tantissime famiglie, moltissime famiglie da tutte le parti: da Fiume, da Spalato, da Zara, da tutte quelle parti lì siamo venuti via. Da Dignano, da Valle, da Pola, da Parenzo e da tutte le parti. Ci aspettavano per portarci tutti via, e siamo arrivati nei ristori a Venezia. E lì anche mi ricordo, che siamo arrivati nei ristori a Venezia con tutti sti grandi saloni con ste tovaglie bianche che non avevamo mai visto! Quello mi è rimasto. Che poi ci han tenuto lì e ci hanno messo un po' e qua e un po' la, un po' nei campi e un po' dappertutto."
18) Da Valle è andata via tanta gente secondo lei? Cioè, era un paese che si svuotava?
R.: "Ma certo che si svuotava, sono andati via tutti, la maggior parte. Non è che ne son rimasti tanti. Se lei fa il conto che siamo andati via dall'Istria in 350.000 , pensi un po' in questi paesi... 350.000 son tante! Io adesso non posso ricordarmi quante persone c'erano perché ero piccolina, però tantissime, tantissime famiglie siamo venuti via. Tra Valle, Rovigno, Pola e Dignano la maggioranza sono venuti tutti via."
19) E lei Pola come se la ricorda?
R.: "Ah, io niente, mi ricordo niente, perché chi andava mai a Pola di noi, piccoline?"
20) No, ma io intendevo quando stava partendo...
R.: "Ah, ma non so niente, non ricordo niente. Io so solo che ci siamo trovate sulla nave e basta. Mi ricordo quando siamo arrivate a Venezia -piccoli- che la mia sorella aveva tre anni, io ne avevo sette. Anche del viaggio ricordo poco, ricordo solo qualche confusione, ma poca. Cioè, poi per sentir dire si..."
21) Ad esempio?
R.: "Ma, per sentir dire si, mi ricordo. Niente, aspettavamo lì nelle navi che arrivavano tutte le famiglie, e poi la Toscana, la nave Toscana, ci portava a Venezia. E poi di lì cominciava."
22) Voi quindi siete arrivati prima Venezia?
R.: "Si, e siamo stati lì fino a che non ci hanno diviso."
23) E a Venezia dove siete stati?
R.: "Ma, in questi ristori di Venezia: saran stati ristoranti, non lo so, perché era tutto bianco con tutte ste tovaglie, tutte ste cose là. Perché ci accettavano pure bene, scherzi? Siamo andati via e abbiamo salvato l'Italia eh quella volta noi con le nostre votazioni! L'abbiamo salvata con De Gasperi e ancora un po' ci tradiva anche lui, che vendeva Trieste per avere il Trentino Alto Adige, per un pelo!"
24) Quindi lei ricorda queste tovaglie bianche...
R.: "Ci accettavano una meraviglia, non vedevano l'ora che arriviamo, perché sapevano che noi eravamo dei democratici e ci accettavano."
25) Della sua famiglia siete partiti tutti?
R.: "In quattro."
26) Qualcuno è rimasto lì?
R.: "La mia zia, la mia nonna e la mamma e il papà di mio papà, e anche diversi fratelli del mio papà son rimasti lì. Poi qualcuno è morto pure là. Invece poi loro sono venuti in un secondo tempo, perché potevano venire senza scappare di notte come siamo scappati noi, potevano venire con le opzioni."
27) Perché voi non potevate andare via?
R.: "Abbiamo fatto le opzioni ma le abbiamo fatte qua in Italia; noi siamo scappati clandestini, di notte."
28) Perché voi eravate già in zona B...
R.: "Eh, certo, certo. E allora era così, invece poi gli altri che potevano venire dopo...Infatti poi mia nonna -la mamma di mia mamma- e la sorella [di mia mamma] son poi venute dopo. Anche un'altra sorella di mia mamma e la mamma e il papà di mio papà son venuti dopo, ma non tanto dopo. Metti che son venuti via nel '48-'49 loro, non tanto dopo. Però potevano venire tranquilli, con l'opzione, mentre invece noi abbiamo poi fatto l'opzione qua in Italia."
29) Invece ora le chiedo una cosa. Lei all'epoca era piccola, quindi ovviamente seguiva le decisioni della sua famiglia, posso chiederle quindi quali sono state le cause che hanno spinto i suoi genitori ad andare via?
R.: "Eh, perché non si poteva resistere più, né con la gente del paese, né con nessuno. Ti maltrattavano, se facevi una cosa che non andava bene a loro, ti venivano, ti prendevano e ti potevano buttare nella foiba. A d esempio, mia mamma la volevano buttare nella foiba per il fatto che non voleva la fotografia di Tito in casa. E non è che era Tito che le diceva di fare questo, lo facevano i medesimi paesani, quelli che erano del partito. E non si poteva vivere più in quella maniera, come si faceva? E han deciso allora di venire. E poi c'era l'Italia che ci chiamava, perché eravamo italiani."
30) In che senso vi chiamava?
R.: "Eh, perché quella volta anche qua non è che era tanto le acque belle! Ci chiamavano perché sapevano che noi potevamo fare una votazione e salvare l'Italia, quella volta. C'è stato odio personale, odio delle famiglie, odio fra paesani, [c'è stato] di tutto, un odio tremendo."
31) Ha inciso quindi anche un po' di paura nel fatto di andare via?
R.: "Eh beh, certamente, anche paura. Paura si. Io mi ricordo che in quei giorni prima di partire [abbiamo fatto] tutto in silenzio. Sa, si aveva roba in cantina, mamma aveva l'olio, il vino, il prosciutto -sa che si tenevano gli animali-, hanno fatto persino le bugie , facevano i fiocchi in silenzio per consumare sta roba e perché nessuno vedesse. Poi han lasciato la pila dell'olio giù in cantina piena d'olio, poi sono andati subito quel che son rimasti quando siam venuti via a prendersi tutto; persino i pavimenti nuovi della casa [abbiamo lasciato]. Che mamma aveva comprato una casa, nel '38, grande, bella. Prima eravamo in una casa piccola, poi siamo andati in una casa grande - che c'è ancora, l'hanno ristrutturata che è una meraviglia -, e aveva tutto: cantina, pila dell'olio. Sono andati persino a prendere i pavimenti nuovi per farseli: le travi di legno, che c'era quei bei pavimenti con ste travi di legno belle. [Erano] gialli, belli, tutto si sono presi!"
32) Ma chi, scusi?
R.: "Quelli che son rimasti. Anche i medesimi paesani, cattivi, che erano rimasti. Perché lo sappiamo anche chi era andato a prenderseli. Che adesso son morti anche loro, a Valle, però lo sappiamo chi era andato. Era proprio il compare di mio papà, che era andato a prendersi sti legni e ste travi. I medesimi paesani."
33) Lei mi ha raccontato di essere andata via di notte e di nascosto. Cosa è riuscita a portare via con sé?
R.: "Niente, noi. Noi neanche una forchetta, niente. Solo coi vestiti in dosso, e quando siamo arrivati han pensato a tutto le Caritas, che siamo arrivati dove eravamo. E mi ricordo che siamo andati a Varallo, e le suore di Varallo preparavano tutto loro: facevano da mangiare e facevano tutto. E poi di lì ci hanno chiesto dove volevamo andare, perché tantissima gente sono andati nei campi, sia a Torino sia persino giù ad Altamura, sono andati dappertutto. E allora noi abbiamo optato per stare in campagna, e allora in campagna ci hanno messo nelle risaie, a Vercelli, e lì abbiamo cominciato a stare di una meraviglia!"
34) Senta, lei prima mi ha detto di essere andata via per una serie di motivi. Ora io le ribalto la domanda: secondo lei, chi è rimasto, perché ha fatto questa scelta?
R.: "Son rimasti per quello, perché loro ci credevano a Tito, loro credevano al partito. Rimanendo lì, poi hanno avuto i posti migliori. Perché adesso quando che te vai lì e ci parli con sta gente - che mio marito le diceva sempre tante cose, perché prima quando c'era Tito non si poteva, dopo che è mancato Tito la parole era libera, e infatti anche adesso parlano, hanno più libertà e tutto- ti rispondono sa che cosa? Sa che cosa ci rispondono quando che le diciamo qualche cosa? Chi è che ve l'ha detto di andare via, potevate star a casa vostra! Che se stavate a casa vostra eravamo la maggioranza di italiani. Ti rispondono così. Però rispondono, adesso, quelli che hanno l'età come abbiamo noi, che magari non sanno neanche il retroscena di una volta. E' per quello, noi eravamo italiani e siam venuti via; non si poteva sopportare l'odio dei medesimi paesani, non si poteva."
35) Dalle sue parole, sembra fosse proprio una questione a livello di paese più che a livello nazionale...
R.: "Odio, odio. Di paese, perché non è che Tito abbia detto te devi trattare male questo o devi trattare male quello. Erano i medesimi paesani che si facevano del male uno con l'altro. E quanti non si sono ammazzati, paesani, per odio! E' venuto tutto proprio per odio, odio, odio."
36) Parliamo ora del suo percorso. Lei mi ha detto di essere arrivata a Venezia. E da Venezia?
R.: "Vado a finire a Varallo, nel ristoro di Varallo, e siamo stati là fino a che non ci hanno smistato."
37) E a Varallo dove eravate?
R.: "Dalle suore, nel santuario, proprio in quel grande santuario là in alto."
38) E come siete andati a finire lì a Varallo?
R.: "Eh, ci hanno mandato loro, perché smistavano, chi qua e chi là. Sapevano che volevamo andare in campagna, e le campagne dov'erano? Nel Piemonte... E in campagna ci hanno mandato!"
39) E quanto siete stati a Varallo?
R.: "Ma, non so, due mesi... Due o tre mesi, e poi siamo andati subito a Vercelli."
40) E posso chiederle come eravate sistemati nel santuario?
R.: "Dormivamo nei saloni. Tutti nei saloni, con le brandine, come i militari, nei saloni. Le suore facevano da mangiare, e poi si mangiava tutti insieme, tutte ste famiglie. Più che tutto eravamo famiglie che ci conoscevamo, [eravamo] quasi tutti di Valle. Metti che saremo stati una ventina di famiglie, ci conoscevamo tutti. Che poi, difatti, siamo andati quasi tutti a Vercelli, alla Veneria, a lavorare la campagna, nel riso."
41) Quindi a Varallo eravate lì...
R.: "Si, in questi grandi ristori delle suore, nei ristori di accoglienza delle suore, come quando si accolgono questi che arrivano adesso. E' un fac simile, eh! Solo che eravamo più lavoratori."
42) A Varallo avevate un po' di assistenza?
R.: "Eh, tutto ci davano, ci davano tutto loro: da mangiare e tutto. Poi andavamo anche a chiederlo alle persone di Varallo, anche noi bambini andavamo. Andavamo a chiedere... Come andare a chiedere la carità nelle porte, e poi sta gente ci dava la roba proprio di buona volontà, perché avevano visto come eravamo, che gente buona che eravamo. Che ci davano la roba da vestire, specialmente. A noi bambini ce ne davano di roba, stavamo bene di una meraviglia, ci trattavano pure bene. Invece quando siamo arrivati poi in campagna non ci trattavano bene perché ci davano dei fascisti."
43) Da Varallo siete poi andati alla Veneria, come mai?
R.: "Perché il lavoro era lì. Loro ti dicevano: dove vuoi lavorare? In campagna? E il lavoro era lì, a Vercelli, sulla Padana. Anche a Novara ce ne sono, ce n'è ancora tantissimi: Novara, Torino, tutti nel Piemonte, in queste cascine del Piemonte. E lì abbiamo cominciato la nostra vita di nuovo: dopo un mese si lavorava, si prendeva la paga, un mese si comprava la camera, un mese si comprava la cucina, un mese si comprava un'altra robe e abbiamo ricominciato la nostra vita."
44) Quindi anche lei è stata alla Veneria...
R.: "Io si, ma poco, perché poi sono andata in collegio, che dovevo finire la scuola."
45) E lei la Veneria come la ricorda?
R.: "Ah, la ricordo una meraviglia, perché poi sono ritornata a undici anni che avevo finito le elementari. Sono andata pure in campagna a lavorare, a portar da bere [alle mondine]. Si stava di un incanto: mia mamma e mio papà lavoravano - metti che abbiano cominciato a lavorare dal '47, subito -, perché alla monda del '47 si lavorava già."
46) Perché sua mamma andava a fare la mondina...
R.: "Si, si. Papà in campagna con le mucche, o nelle stalle, di notte, e mia mamma la mondina. Mia mamma è stata quarantanove anni lì a Vercelli, finché è morto mio papà. E' stata del '47 fino al '95."
47) Alla Veneria dove e come eravate sistemati?
R.: "Ognuno la nostra casa avevamo, lì c'è n'erano di case!"
48) Ma appena arrivati vi han subito dato la casa?
R.: "Prima eravamo nei padiglioni in fondo, dove c'erano i padiglioni delle mondine, tutti nei padiglioni. E poi piano piano ci hanno dato a tutti la nostra casa, ma abbastanza in fretta, non è che ci hanno fatto aspettare chissà cosa. E pure delle belle case avevamo, belle grandi. Sotto la cucina, con una camera grande e il gabinetto, e sopra due camere da letto meravigliose, bellissime erano!"
49) Come avete fatto a trovare lavoro a Lignana? Cioè, c'era qualche ente che si interessava al vostro collocamento?
R.: "Erano tutti che si interessavano, c'era dei patronati che si interessavano. E poi c'era pure il prete di Vercelli che si interessava per farti dare la roba da vestire."
50) Me lo racconta...
R.: "Eh, si andava dal patronato del prete - che tra l'altro era proprio vicino al mio collegio, vicino al duomo di Vercelli - e ci dava tutta la roba da vestire, si, si. Finché uno ha avuto bisogno, poi una volta che uno ha cominciato a lavorare - mio fratello ha iniziato a lavorare, mia sorella anche, tutti però sempre in campagna e nelle stalle, che c'erano tantissimi animali una volta lì - poi dopo uno si aggiustava da solo. Però nel momento in cui siamo arrivati, sti patronati si davano da fare."
51) Ed erano a Vercelli?
R.: "Si, si, il patronato erano in Vercelli. Vicino al duomo, vicino al duomo grande: c'era il duomo grande e poi c'era una piccola casetta vicino al duomo grande, e lì c'era il patronato del prete che ci dava la roba. E poi avanti in un'altra piazzetta - lo vedo come adesso - c'era il mio collegio, il collegio della Provvidenza."
52) Posso chiederle come mai è finita in collegio?
R.: "Dovevo studiare, dovevo finire la scuola. Eravamo poveri e bisognava...Mamma non poteva mica tenermi a casa, dovevo andare a scuola. Mia sorella era piccola, aveva tre anni e non potevano metterla, così mi hanno messo me. Fino a undici anni sono sempre stata lì, estate e inverno, non venivo [neanche] a casa. Eravamo diverse, eravamo in tante ragazze. Poi, magari, più grandi erano e son venute via presto per andare a lavorare, e allora son rimasta io con un'altra ragazza che era della mia stessa età e bon. L'ultima son rimasta io, che avevo undici anni."
53) E per andare in questo collegio lei ha avuto dei vantaggi? Cioè, voi non pagavate nulla...
R.: "E chi pagava? Ma neanche una lira, se era il collegio della Provvidenza! Se andavamo a dire i rosari dietro ai morti, che le suore prendevano i soldi per la Provvidenza! Sa quanti rosari ho detto dietro ai morti con la mantella nera, e andavamo persino in cimitero a fare i rosari coi signori che pagavano, per i morti?! Eh, che soldi! Eravamo nel collegio della Provvidenza, quello dei poveri. Ma non [c'] eravamo solo noi istriani, c'erano [anche] ragazze che non avevano i genitori, ragazze abbandonate... Il collegio dei poveri."
54) Ed era dura la vita in collegio?
R.: "Andavamo a scuola, si che mi ricordo io se era dura, quando si è ragazze piace tutto. Andavamo a scuola e dopo [c'era] chi imparava a ricamare, chi disegnava, e cose così. Si facevano le ore di scuola, le ore di refezione, le ore di preghiera, le ore di lavoro, e la giornata era sempre impegnata. Le pulizie no, non mi ricordo che facevamo le pulizia noi. Le facevano quelli più grandi, perché si poteva stare fino a diciotto anni lì dentro, dopo magari una trovava da lavorare e se voleva andare via andava via, se no se non aveva nessuno stava ancora lì."
55) Lei è stata lì fino a undici anni, e dopo?
R.: "E dopo son tornata a casa da mamma e andavo anche io in campagna."
56) A mondare?
R.: "No, a portare da bere col bariletto sulla bicicletta. Noi, ragazzi più giovani, andavamo a fare questo [lavoro]: dai tredici anni in avanti fino ai sedici anni, sempre a portare da bere in campagna, col bariletto sulla bicicletta. Andavamo a prendere l'acqua all'acquedotto, ed era una meraviglia, bellissimo!"
57) Parliamo dell'accoglienza. Lei mi ha detto che a Venezia vi hanno accolto benissimo...
R.: "Si, si bellissimo".
58) Ecco. E invece a Lignana?
R.: "Ma, insomma, a Lignana in principio, finché non hanno capito chi eravamo, come eravamo [non ci hanno accolto bene]. Perché loro credevano che venendo via di là eravamo fascisti. Loro erano comunisti a Vercelli, erano tutti comunisti a Vercelli, tutti, era proprio il paese dei comunisti una volta. Hanno capito chi eravamo e hanno cominciato a comunicare con noi, ma prima non ci volevano vicino: le paesane di mia cognata - e mia cognata era un'eccezione - che erano tutte piemontesi, non volevano neanche mia cognata e mia sorella a lavorare vicino che le dicevano fasciste! Poi quando han visto che gente siamo, lavoratori e tutto, allora han cominciato la vita normale, ma i primi due anni son stati duri anche lì, eh! E poi pian piano dopo...Eravamo tutte amiche: io mi ricordo quando sono uscita da Vercelli dal collegio, con [le] mie amiche - ragazze come me - andavo a spigolare il riso con loro, ridevamo, andavamo al ballo, andavamo di qua e andavamo di là, tutto normale poi. Ma i primi due anni eravamo molto duri."
59) E lei in collegio è stata al centro di episodi di discriminazione?
R.: "No, non mi ricordo, assolutamente, le suore no...Fascisti lo dicevano a loro, perché venendo via di là loro calcolavano che non siamo rimasti perché eravamo fascisti. Non dicevano che noi siamo cattolici e democristiani, loro credevano fascismo. Poteva essere anche che era fascismo, però sentendosi italiani, siamo venuti in Italia e abbiamo salvato l'Italia, abbiamo fatto venire la democrazia, perché è stato quella volta che è venuta la democrazie, eh! Nel '47."
60) Ma lei si riferisce alle elezioni del '48?
R.: "Alle elezioni, eh, eh. Per forza, c'è stato tutto uno sballamento quella volta, con De Gasperi e quell'altro. Han salvato l'Italia: noi siamo venuti via dall'Istria in 350.000 e abbiamo salvato l'Italia. E poi avevano promesso tante cose, tante, tante - i migliori posto - e invece poi abbiamo dovuto tirarci su le maniche e prenderceli da soli, i posti. Anche per entrare alla Fiat e dappertutto."
61) Lei la gioventù l'ha passata a Lignana. Posso chiederle come passava il suo tempo libero?
R.: "C'era il ballo che andavamo tutti. La domenica c'era il dopolavoro, c'era il ballo, andavamo in bicicletta e ci divertivamo, eh!"
62) E il ballo come funzionava?
R.: "Il ballo... Fuori della bettola - il Dopolavoro - c'era il ballo, e poi quando c'erano le mondine c'era un'allegria che era una meraviglia, si cantava dappertutto! Venivano più di mille mondine, venivano. E poi si andava dalle suore: si andava a cucire, a ricamare anche qui alla Veneria. Si facevano i teatri con le suore, si andava a cantare, la messa: era una meraviglia!"
63) Alla Veneria eravate tanti voi giuliani?
R.: "Eh, saremo stati un ventina di famiglie. Eravamo venuti tutti insieme lì. E poi ci siamo inseriti, a voglia! Eravamo diventati poi tutti amici. Ma noi siamo stati un gruppo di quelli che sono stati meglio di tutti, perché siamo stati molto meglio di quelli che sono andati a finire nei campi. Perché nei campi le davano il sussidio, a noi il sussidio non ce l'hanno mai dato, però abbiamo subito avuto il lavoro. E poi tutti i giorni che si lavorava, c'era anche il litro di latte a papà che lavorava nelle mucche e il chilo di riso al giorno a mamma che lavorava nella risaia. E si stava bene. Avevamo il nostro orto con le nostre verdure, i nostri pomodori, le nostre galline e i nostri conigli: si stava bene! Se le dico che mia mamma - siamo venuti via nel '47 - nel '50 a Natale aveva già messo via 500.000 Lire, aveva già i mobili tutti in casa, e si faceva già i buoni fruttiferi di 500.000 Lire. Parlo del '50, son soldi eh! Aveva già messo via 500.000 Lire nel '50 mia mamma, eh! I primi soldi che metteva via dopo che siamo venuti via di là."
64) Le chiedo ancora una cosa: a Lignana, la casa in cui stavate [mi interrompe]
R.: "Non si pagava neanche una lira, era tutto gratuito: non si pagava acqua, non si pagava gas, forse la luce si pagava. E questo in quanto lavoranti lì, non si pagava niente, né della campagna, né dell'orto, era tutto incluso nel salario. E sa chi comandava lì in quella cascina lì? Agnelli!"
65) Come Agnelli?
R.: "Si, tutta la tenuta era di Agnelli. Era grande eh, una grandissima tenuta. E negli uffici, c'erano tutte le fotografie di Agnelli. Negli uffici alla Veneria...Tutto Agnelli comandava, era una cascina di Agnelli, e siamo stati proprio bene, veramente bene."
66) Fino ad ora mi ha detto di essersi trovata bene alla Veneria. Posso chiederle allora come mai è venuta Torino?
R: "Io sono venuta a Torino perché mio marito è venuto qui a lavorare."
67) Mi spieghi un po' questa trafila...
R.: "Prima stavo alla Veneria con mamma e lavoravo lì in campagna. Poi ci siamo fidanzati con mio marito, che lui era già venuto a Torino perché voleva venire nella fabbrica. Si voleva venire nella fabbrica, tutti i giovani volevano venire nelle fabbriche e allora prima è venuto suo fratello - che si era sposato prima di noi -, poi ha fatto domanda lui e nel '56 è entrato anche lui e, automaticamente per non venire avanti indietro a Vercelli, poi Veneria, poi Torino al sabato e alla domenica, abbiamo deciso di sposarci e siamo venuti a finire in Casermette qua ad Altessano, ha capito?"
68) E mi permetto di dire che non è stato un bel salto. O sbaglio?
R.: "Siamo stati in Casermette ad Altessano due anni, perché poi nel '60 siamo venuti qui, nel gennaio del 1960."
69) Quindi lei è arrivata qui in che anno?
R.: "Nel '57-'58, e sono stata in Casermette, ad Altessano."
70) E cosa si ricorda di Altessano?
R.: "Di Altessano mi ricordo tutto, madonna mia! Eravamo divisi coi cartoni! Avevamo un pezzettino lungo e stretto di camera e cucinetta, con la stufa da far fuoco con la legna. L'acqua era fuori, nel pozzetto, il gabinetto era fuori più lontano ancora, e siamo stati due anni lì, fino a che non ci hanno dato questa casa."
71) Ma come si faceva ad arrivare ad Altessano?
R.: "Bisognava andare su negli uffici, ed avere pure fortuna ad entrare! Lì non era un campo profughi, però eravamo tantissimi lì di profughi. C'era una direzione e dovevi dargli una caparra per entrare dentro. Io adesso non mi ricordo cosa le ha dato mio marito, però per avere quel pezzo qualche cosa ha dovuto dargli. Se avevi fortuna entravi, perché tanti non son neanche potuti entrare: dovevi avere pura le simpatia del direttore della Casermette."
72) E la struttura lì com'era?
R.: "Erano delle vecchie caserme, tutte tramezzate con dei cartoni e del legno, con ognuno il suo pezzo: io ero da una parte, uno dall'altra, dall'altra c'era una di Dignano, poi c'era di nuovo altri di Valle, eravamo tanti. Lì siamo stati un bel po' anche, ma tanti sono stati anche cinque o sei anni, fino a che non hanno fatto le case."
73) Io ho letto che lì c'erano anche degli abusivi...
R.: "Ma certamente che c'erano gli abusivi! Anche meridionali abusivi c'erano, una valanga! Si costruivano le baracche, per forza: non le davano il pezzo, e loro si costruivano le baracche. Lì era recintato, e dentro c'era le baracche tutte tramezzate con dentro tantissima gente."
74) E lì la vita com'era?
R.: "Eh, bisognava stare, perché c'era da tribolare. Perché facevano anche la notte in fabbrica gli operai - e mio marito anche - e [c'era] chi cantava, chi suonava, chi gridava. In comunità devi stare, è così. I rapporti erano buoni perché eravamo tutti paesani, [eravamo] tutti nella medesima acqua. Perché loro, questi che sono venuti in Casermette - adesso io son venuta dalla campagna e dal bene sono venuta a finire nel male a tribolare - tantissimi erano venuti da Altamura , per andare a lavorare in fabbrica, perché c'era il boom della Fiat e tutti volevano andare nell'industria. I giovani non accettavano di stare nella terra come hanno accettato i genitori nostri, che erano abituati a stare nella terra, volevano andare nell'industria. E nell'industria siamo venuti, ed è per quello che siamo venuti poi a Torino."
75) Erano, i giovani, un po' ammagliati dall'industria...
R.: "Eh certo! Mio marito è andato anche tre anni in Australia, prima che ci siamo fidanzati. E' stato a lavorare tre anni in Australia, che è andato senza pagare, perché li mandavano, chi voleva andare. E difatti è andato tre anni e poi per la malinconia della famiglia è venuto poi a casa, e nel '56 è andato alla Fiat."
76) Posso chiederle come ha fatto a entrare in Fiat?
R.: "Molta fatica bello mio, molta fatica! Raccomandazioni tantissime!"
77) Di chi, per esempio?
R.: "Di un dottore che adesso è morto poverino, il prof. Mattei. Lui era tanto amico di una zia di mio marito - la sorella del papà di mio marito -, e l'ha presa tanto in benevolenza sta zia, perché lei andava a farle i lavori a sto professor Mattei. E allora lei presto ha raccomandato uno, presto ha raccomandato un altro, e insomma piano piano li ha fatti entrare tutti alla Fiat. Ma con delle visite tremende in via Chiabrera!"
78) Cioè?
R.: "Gli facevano le visite prima di entrare, e poi volevano sapere anche del partito: non entravi se eri comunista! Eh, eh, caro... Mio marito è andato a fare la visita in via Chiabrera, e lui era magro, come un chiodo, magro. Quando lo hanno visitato gli han detto: mi dica un po' da chi è raccomandato lei? E lui le ha detto subito il nome, perché il professor Mattei gli aveva detto alla zia che non abbiano paura di dirlo, perché lui sapeva chi raccomandava. E mio marito gliel'ha subito detto, altrimenti non entrava! Perché doveva avere salute e tutto. Insomma, salute ne aveva, però era così, magro come un chiodo!"
79) E dove lo han mandato?
R.: "In Fonderie, in fonderie. E quello che dico io, quando dico che dovevamo avere dei posti migliori, dei posti un po' decenti. E' stato lì quindici anni: quindici anni in fonderia, con il fuoco notte e giorno! Dopo quindici anni lo hanno messo al collaudo - sempre a Mirafiori - : è stato ventinove anni a Mirafiori. Però da quando siamo venuti da Valle a tutto, abbiamo passato anche dei periodi belli, non solo tragedie! Han sofferto più quelli che son rimasti in Istria che noi qua."
80) Lei ci torna in Istria?
R.: "Certo, tutti gli anni! Dal '62 sino all'anno scorso, al 2007, siamo andati sempre. Da quando abbiamo potuto andare siamo andati tutti gli anni. C'ho una casa in affitto io adesso là: la affitto a una signora, lei abita sopra e io sotto. Andavamo tutti gli anni con mio marito e stavamo anche due mesi e mezzo."
81) Come sono i rapporti con gli italiani rimasti? Perché, siamo sinceri, mi sembra che non sia sempre tutto rose e fiori. Mi sbaglio?
R.: "Non devi mai esporti proprio tanto! Adesso qualche cosa in più si può fare e qualche cosa in più anche loro possono dire, però sempre devi guardare cento volte le parole prima di buttarle fuori, Perché sempre loro son rimasti con le idee sue di loro, e noi siamo rimasti con le nostre idee. E allora non è che si combaciano proprio tanto! Ad esempio, una cosa che noi reclamiamo sempre è che sono rimasti di là e le danno le pensione italiana, cosa c'entra la pensione italiana! Ma guai se glielo dici, non ti guardano più in faccia. Bisogna sempre un po' mordersi la lingua, ma non è che puoi proprio sempre parlare come la pensi, bisogna sempre stare un po' attenti, altrimenti ti fai poi nemici e non serve che vai più."
82) Lei è stata alle Casermette di Altessano fino al 1960 e poi è arrivata qui al villaggio. Come ha fatto a trovare una casa qui?
R.: "Con le domande alla prefettura, si facevano. Domande alla prefettura, all'[Istituto Autonomo per le] case popolari e poi avevi un punteggio. E qua certamente che il punteggio ce l'avevi, stavi nei cartoni, non c'era il gabinetto e non c'era niente e la prima casa che ci hanno dato l'abbiamo presa."
83) E come si è sentita quando è arrivata in casa?
R.: "Quando siamo arrivati non pensavamo di avere una casa piccola così, pensavamo di avere una casa meravigliosa trovandoci con il gabinetto, con l'acqua, con la luce e con tutto. Ero contenta, per forza! "
84) E si ricorda com'era questo quartiere appena arrivata?
R.: "Il quartiere era uguale, come adesso, non hanno fatto più niente. C'erano campi, tutti campi, le case non c'erano; c'era la latteria, la stalla dove andavamo a prendere il latte. La scuola non c'era, non c'era niente quando siamo venuti noi, han fatto tutto dopo! Era tutto campi, non c'era niente, c'era solo questo grande villaggio con la chiesetta piccola - non c'era neanche la chiesa grande - e tutto campagna era, tutta, tutta."
85) Senta, le chiedo solo più due cose. Lei da Valle, paese a pochi chilometri dal mare, viene presa e portata a Vercelli. Che effetto le ha fatto?
R.: "Beh, ma il mare noi l'abbiamo visto poco, perché non è che i genitori ci portavano al mare. A me non ha fatto tanto effetto, perché ero piccola, ma mio marito ha avuto uno shock, perché lui lì al mare andava - anche a piedi - e poi trovarsi nella campagna così, insomma, lo shock lo ha anche avuto."
86) Anche perché era una campagna diversa dalla vostra...
R.: "Eh si, eh! La nostra era tutta roccia: viti, ulivi, qui invece tutta pianura, tutto riso, tutta acqua, tutto frumento. Da noi invece c'è viti, ulivo. Un impatto c'è stato, per loro sicuramente. Io no, perché essendo piccola ho sempre vissuto bene, ma per i più vecchi si, c'è stato."
87) Lei ha nostalgia dell'Istria?
R.: "Ma, a volte si. Se non vado - adesso che sono abituata ad andare - mi sento una cosa strana. Perché, anche se vado... Adesso sono andata in Liguria per Pasqua, ma mi sento un po' fuori posto, perché io sono abituata ad essere nel bosco, in campagna e mi sento più a mio agio. Qui mi piace andare e tutto, perché è signorile e cosa, però quando sono lì mi trovo in un'altra maniera, diversa."
88) E cosa prova quando torna in Istria?
R.: "Ma, mi piace perché ho delle amiche... Mi trovo come a casa, dai! Perché ne ho tante di amiche, uno dopo tanti anni si fa le amicizie, sai con chi devi parlare e con chi non devi parlare. Insomma, quindici o venti giorni al mese ci sto volentieri, non è che trovo brutto andare. Poi è anche bello per le cose da gustarsi, il nostro cibo, il nostro pesce."
89) Che qui non trova?
R.: "Si, ma lì è tutta un'altra cosa: c'è il pescatore che te lo porta, c'è la verdura fuori dalla porta..."
90) Perché voi avete continuato a mangiare tanto pesce...
R.: "Si, adesso che son sola no, ne faccio poco. Ma mio marito, quasi tutti i giorni mangiava il pesce, le piaceva proprio: brodetto, fritto, arrosto, le piaceva tanto. Però quando siamo lì sempre, tutti i giorni. Poi è bello andare, perché vai a Rovigno e c'è tutto sto pesce sul mare, vai a Pola e c'è la pescheria sul mare e, insomma, ti senti in un altro mondo!"
91) Una curiosità: ad esempio, a Vercelli il pesce lo mangiavate?
R.: "Si mangiava conigli, si mangiava galline, si mangiava di tutto! Pure le rane, che buone! Il pesce si trovava di acqua dolce, come no! Ce né di acqua dolce pesce... Lo fai in brusco: andavamo a prenderlo sotto il tunnel; c'era un tunnel che andavamo, era lungo, eh! E si passava dentro a questo tunnel da un buco, e avanti con le mani si spingeva, perché i pesci venivano poi tutti dalla risaia, e che pesci! Che tinche! Si spingevano alla Veneria: da un buco entravamo dentro in due o tre e dall'altra parte, dall'altro buco, aspettavano con la rete, e loro entravano, eh! E li mangiavamo. E che buoni fritti, eh! Si mangiava bene, anche perché avevamo tutta la roba di campagna: insalata, piselli, melanzane, tutto si piantava. E poi c'era il latte buono, che andavamo a prenderlo col pignattino."
92) Senta, visto che parliamo di cibo: c'è stato uno scambio con i gusti dei piemontesi?
R.: "Eh come no, come no! Si imparava a fare la polenta col fegato o il riso alla panissa, si imparavano a fare tutte queste cose, differenti e loro le nostre. Loro le nostre e noi le sue, come no! Si faceva tante robe insieme, perché poi non eravamo mica solo noi, c'erano anche tanti bresciani Brescia lì in campagna, da Brescia e da Bergamo. Sa quanti ne venivano su da Brescia e da Bergamo? Tantissimi! E alla fine vivevamo tutti insieme, e le polente che facevano i bresciani coi salami, oh! Abbiamo vissuto bene noi. Forse gli anni più tristi erano proprio questi di qua, della Casermette, che siamo andati alle Casermette. Lì non c'era niente, dovevi comprarti tutto. Io ero ancora una delle più fortunate, perché si andava a Vercelli da mamma alla domenica e si arrivava su con la roba, persino addirittura la legna, qualche volta, per far fuoco in Casermette, che avevamo la stufa a legna lì per far fuoco. Ero ancora una delle più fortunate, perché mi portavo la verdura, mi portavo le uova fresche, ero ancora fortunata."
93) Lei signora ha lavorato oppure ha fatto la casalinga?
R.: "Ho lavorato, che casalinga! Ho lavorato che avevo vent'anni e andavo a servizio, e poi da ventiquattro sono andata in corso Sebastopoli a servizio dai signori B. e poi sono andata diciannove anni a scuola, ho fatto la bidella. Poi ho avuto la pensione e adesso me ne hanno mangiata mezza dopo che è morto mio marito: praticamente tra la mia e la sua ne ce ne una sola."
94) Le chiedo ancora una cosa: queste sue vicende lei le racconta ai suoi figli o, se ne ha , ai suoi nipoti?
R.: "Uh, si, loro lo sanno. Poi c'è il mio genero, quello più vecchio, che diventa pazzo per andare giù in Istria, vuole andare sempre. Queste cose le mie figlie le sanno tutte, pure mio nipote, che ha venticinque anni ed è già ingegnere edile."
17/04/2007;
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