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CARTACEO: Intervista a Giovanni R.

C00/00352/02/00/00006/000/0005
Intervista a Giovanni R.
Giovanni R. nasce a Valle d'Istria nel 1929. Nel 1948 parte con la famiglia. Arrivato in Italia resta un mese al Silos di Trieste e da qui si trasferisce a Vercelli. A Vercelli resta per qualche settimana all'ENTE RISI da dove è inviato a Lenta. Nel 1956 si trasferisce a Gattinara dove abita ancora oggi. E' stato intervistato il 19 maggio 2008. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
[Durante l'intervista è presente anche la moglie, proveniente dalla provincia di Novara. Interviene una sola volta, e nella trascrizione è indicata con M.]

1) Le chiedo un po' di dati anagrafici: dove e quando è nato?

R.: "Sono nato a Valle d'Istria il 26 gennaio 1929"

2) Mi parli della sua famiglia di origine...

R.: "Eravamo in cinque: io, due sorelle e i miei genitori, che erano contadini."

3) Già, perché Valle era un paese contadino, se non mi sbaglio...

R.: "Si, si. Come produzione agricola c'era di tutto, come qui in Piemonte, c'era di tutto. C'era [in] più anche gli ulivi, che qui non ci sono."

4) Le chiedo questo: mi ha detto, prima di iniziare l'intervista, che lì a Valle c'era molta confusione tra fascisti, tedeschi e partigiani. Io cercherei di andare con un po' di ordine, e vorrei chiederle cosa ricorda del periodo fascista?

R.: "Io dico che tra fascisti e tedeschi andavano d'accordo in quell'epoca. Anzi, per noi era bello, perché tutto il vino andava in Germania, e per noi era una gran cosa. Ma poi han cominciato i partigiani, han cominciato a tagliare l'erba e a intromettersi e, si può dire, non volevano più mandare la roba in Germania, e allora poi è successo, si può dire, la guerra tra loro, tra partigiani, fascisti e tedeschi."

5) Ma perché voi contadini vendevate la roba ai tedeschi?

R.:" Eh si, eh! A chi la compra! La grappa che facevamo noi - perché in quell'epoca era libero -, noi contadini facevamo tanta grappa. Io mi ricordo che ero piccolo, ma per due mesi a casa mia si faceva la grappa, e poi quella lì veniva venduta nelle damigiane a Pola. E a Pola poi noi la davamo ai grossisti, e che fine faceva non lo so, se andava in Germania o cosa, boh!"

6) Su Valle volevo ancora chiderle una cosa: dal punto di vista della popolazione, com'era? Italiana?

R.: "Era italiana, italiana. Io sono andato a scuole italiane, a parte che fino alla quinta le ho fatte a metà, perché poi cominciava i rastrellamenti, cominciava i disastri per le strade, alla notte prelevavano della gente, li portavano nei boschi e qualcuno anche lo uccidevano: se uno sapevano che teneva alla parte dei fascisti, allora interveniva i partigiani perché non volevano, come era da qui. Ne avrà sentito parlare, era come da qui."

7) Per cui la popolazione slava abitava un po' fuori da Valle?

R.: "Si, nei paesi che circondavano Valle. Lì parlavano tutti la lingua slava."

8) Posso chiederle com'era il rapporto tra la popolazione italiana e quella slava?

R.: "Ma, in quell'epoca lì, fino a che tutto funzionava bene, andava tutto bene. Andava tutto bene, loro venivano da noi a comprare nel paese, a comprare olio, sale. Perché adesso il sale è sul mercato, ma in quell'epoca lì per un chilo di sale bisognava darle un litro d'olio, che noi avevamo anche la produzione di olio. Era un disastro! C'era uno scambio di cose: uno dava la legna, l'altro gli dava l'olio, e loro portavano in cambio il riso - perché là riso non ce n'è - e il sale. E certe volte [portavano] pezzi di stoffa per fare vestiti, perché oramai nei negozi non c'era più niente. Ma questo già durante la guerra."

9) Ecco, però a me risulta che il rapporto non è sempre stato molto buono...

R.: "Ma no, [c'] è sempre stato un po' di odio tra italiani e slavi, perché noi avevamo tanta campagna, e certa campagna confinava proprio con le proprietà slave, e c'era sempre un po' di astio. Però si cercava di andare d'accordo."

10) E senta, secondo lei, incide anche la politica fascista nei confronti degli slavi?

R.: "No, no, quelle cose lì no. Ognuno ad esempio parlava come la madre lingua le ha insegnato, non c'era pericolo. Per esempio - mi ricordo che ero un bambino -, durante [il periodo] dei funghi andavo sui prati di questi slavi a raccogliere i funghi con un secchiello, e anche se arrivavano non dicevano niente. Loro poi quando c'era la stagione dell'uva facevano pancia piena! Ma si, praticamente si andava d'accordo. Almeno, [con] quelli del circondario, se poi prendiamo i paesi più in su, allora là no, là erano più della terribile!"

11) Ah si? Come mai?

R.: "Ma, adesso non so, perché io ero ragazzi, [ma] non potevano vedersi slavi e italiani. Perché prima c'era l'Austria lì: io mi ricordo che avevo dei nonni da parte della mamma che erano proprio sui confini tra Austria e Italia, e da casa sua si vedeva proprio un muricciolo alto, che c'era il confine. Però c'era già l'Italia, io non ho visto sti austriaci, però c'era il confine. Come dico, sto muricciolo in pietra, a secco, e tutto lì. Io poi ero un ragazzo, e dentro [all'interno dell'Istria] non è che potevo andare andare; non si andava perché era proibito, c'era delle guardie che girava. Poi ha cominciato il fascismo, e un casino di cose che adesso descriverle... Io poi tante cose non le ricordo ora, perché sono già un po' di anni!"

12) Lei è nato nel 1929, quindi ha vissuto anche la guerra. Cosa si ricorda della guerra?

R.: "Ma, io della guerra mi ricordo che noi eravamo un paese non tanto tranquillo, perché c'era il presidio dei fascisti, poi di notte si attaccavano tedeschi e fascisti, poi c'era il coprifuoco e bisognava stare con le finestre chiuse, perché altrimenti si sentiva urlare delle raffiche di mitra, e poi certe volte si attaccavano e certe volte c'era anche dei morti, eh! Poi i tedeschi quando facevano i rastrellamenti, se venivano toccati ogni tedesco morto era dieci italiani."

13) E lì ne hanno ammazzati di tedeschi?

R.: "Eh si, capitava, perché anche i partigiani erano armati bene, per la questione che quando è finita la guerra, noi che avevamo vicino il Forte di Barbariga, lì che è sul mare... Lì c'era armi a non finire, e lì si sono impadroniti e impossessati di queste armi. C'era praticamente lì una polveriera anche. Oltre che il forte c'era anche una polveriera, che lì c'era dentro tutte le qualità di armi: cartucce, bombe a mano, bombe da mortaio, bombe da cannoni..."

14) Ma questo è successo subito dopo l'8 settembre...

R.. "Eh si, dopo il ribaltone, perché poi ha capitolato anche l'italia con Mussolini, compagnia e briscola, e poi sono arrivati subito i tedeschi."

15) Lei si ricorda l'arrivo dei tedeschi?

R.: "Ma, sono arrivati coi camion e con le sue attrezzature, e bon."

16) E la gente come li ha accolti?

R.: "Ma, la gente li ha accolti bene, perché [ci] sapevano fare, al principio. Perché poi dopo son diventati cattivi, perché per esempio andavano nei paesi verso la Jugoslavia e di lì, come tipo di rastrellamento. Andavano per rastrellare, e sti cretini di partigiani - io li chiamo anche così! - gli sparavano addosso agli ultimi camion [della colonna]. E allora tutta la colonna tornava indietro: tornava indietro e bruciavano case, la gente la gettavano nel fuoco, era un disastro!"

17) Lei mi ha parlato di tedeschi e fascisti, quindi entità - anche visivamente- riconoscibili. Invece dei partigiani cosa mi dice?

R.: "Eh si, perché i fascisti avevano la divisa, invece i partigiani erano vestiti come noi. Poi si sapeva, perché la gente aveva 3.000-3.500 abitanti, e si sapeva: quello lì è coi partigiani. Perché i partigiani vivevano in bosco, nei boschi e c'era di quelli che collaboravano e le portavano da mangiare, gli facevano da portalettere, non so io, compagnie e briscola."

18) Valle è stata bombardata?

R.: "Valle no, Pola, si".

19) E lei li vedeva gli aerei che andavano a bombardare Pola?

R.: "Porca miseria! Passavano già a bassa quota, passavano già a bassa quota, venti o trenta per volta. E poi si sentivano già da lontano, perché venti o trenta aeroplani che passano non tanto alti, perché lì in paese non c'era le artiglierie, e dovevano arrivare fino a Pola. E poi lì [a Pola] si vedeva per aria scoppiare aeroplani, bombe che esplodono. Si vedeva proprio la vera guerra!"

20) Lei era contadino, quindi penso di no, o per lo meno in maniera minore rispetto ad altri: cioè, volevo chiederle se durante la guerra la sua famiglia h, come si dice, patito la fame?

R.: "Noi essendo contadini no, non abbiamo patito la fame, anche perché nascondevamo la roba e poi la tiravamo fuori un po' per volta! C'era anche la tessera, che anche noi che avevamo il grano, il grano turco e quella cosa lì, non si poteva andare al mulino per macinare: davano la tessera, e più di quel tanto non si poteva, perché poi la rimanenza la prelevavano i fascisti. Si nascondeva, si faceva dei buchi e si nascondeva la roba."

21) E non son mai venuti a cercarla la roba da voi?

R: "Oh, venivano, venivano! Venivano quasi tutti i giorni a cercare uova, a cercare l'olio, a cercare da bere il vino, perché c'era anche il vino da noi, eh! Buono..."

22) E chi è che veniva a cercare?

R.: "Veniva i fascisti di giorno e i tedeschi di notte. I partigiani no, non venivano perché avevano già chi li riforniva, e allora..."

23) Io so che durante la guerra, in campagna, veniva gente dalle città a cercare da mangiare...

R.: "Si, si, venivano. C'era che chi poteva fare il cambio e aveva con cosa contraccambiare, e c'era anche chi aveva fior di quattrini per avere qualche chilo di farina gialla per fare la polenta e farina bianca per farsi il pane. E poi era anche da qui una cosa del genere."

24) Alla fine della guerra a Valle arrivano i titini. Lei ricorda l'arrivo a valle dei partigiani?

R.: "Eh, me lo ricordo si! Porca miseria se me lo ricordo! Venivano a squadre fuori de sti boschi, venivano lì e si impadronivano dappertutto. Può capire, erano armati e comandavano loro... Erano vestiti normali, perché era tutta gente della zona. Sono arrivati e sono andati in comune, sono andati nelle scuole, per quello che le ho detto prima che io la quinta l'ho finita per modo di dire, che poi l'ultimo anno della quinta io dovevo fare scuola alle bambine di quarta, che cercavano tra quelli un po' più svegli... Poi dottori non c'è n'era più, erano scappati via. Dottori, scuole, ospedali, non c'era più niente!"

25) E la gente di Valle come ha accolto i titini?

R.: "Eh, quando vede uno col mitra spianato, bisognava accoglierli per forza bene, eh,eh! poi no, non è che c'è stato delle guerre tra partigiani e la popolazione, no, no, perché cercavano di andare d'accordo. Anzi, erano tutti contenti perché i fascisti se ne sono andati: tutta la popolazione era proprio contentissima, perché i fascisti erano un po' bastardi quelli lì, eh!"

26) Ad esempio?

R.: "Ad esempio erano capaci a prendere uno, a picchiarlo, dargli dell'olio da bere... Secondo loro questo qui è uno che tiene dalla parte dei partigiani -pensavano loro-, questo qui le porta da mangiare ai partigiani, era un casino! Lo prendevano, lo picchiavano e qualcuno ci lasciava anche le penne!"

27) Parliamo di un periodo oscuro per la storia dell'Istria, e cioè le foibe. Voi delle foibe, ne eravate a conoscenza, sapevate l'uso che ne veniva fatto?

R.: "Eh, cribbio! Le foibe... Specialmente nel mio paese ce n'erano tre, distanti quattro o cinque chilometri dal paese. E c'era ste foibe [che erano] talmente profonde, che se uno andava dentro non tornava più, oppure lo gettavano."

28) Ecco, ma voi lo sapevate che la gente veniva gettata giù?

R.: "Eh, lo sapevamo si! C'era i partigiani che gettavano i fascisti, e quando i fascisti capitava, prendevano i partigiani e gettavano i partigiani. Era un cambio così. Lì nel mio paese penso che non sia finito nessuno; non ricordo che sia andato nessuno, oppure non si sa. Venivano usate in quel modo là, e d'altro non so. Io, per esempio, per venire via di là, che avevo un cane, un pastore tedesco alto così, che non sapevo a chi darlo... A chi gli davo il cane? Che poi era anche abbastanza feroce... E allora l'ho gettato io nella foiba. Prima l'ho portato fuori paese -che poi anche fuori paese noi avevamo le stalle che le affittavamo tutto l'inverno ai montanari che venivano con mucche, capre e cose così- e poi l'ho gettato anche io: ho preso una pietra grossa, l'ho legata al collo e l'ho gettato dentro con la pietra, e il cane gli è andato dietro. Non ho sentito neanche quando è arrivato giù! Solo un rumore un po' forte, un tonfo. Nelle foibe ci andavano anche gli uomini, ma in quelle foibe di Valle penso di no, perché non c'era gente cattiva, almeno lì in paese tra i valligiani, non c'era gente cattiva. Ma nelle foibe della Jugoslavia si. Ah, lì nelle foibe di Gimino, Pisino, in quelle foibe lì c'è n'era della gente, ma tanta. Almeno dicevano così, poi la gente parlava, la voce correva da uno all'altro: sai lì, nella foiba di Gimino, Pisino, hanno gettato tanti fascisti. Dicevano così."

29) Ho capito. Parliamo ora dell'esodo. Lei quando è partito?

R.: "Eh, era il mese di... Gli ultimi di marzo i primi di aprile del '47".

30) Ed è partito con tutta la sua famiglia?

R.: "No, io sono partito con una mia sorella. [Siamo partiti] con quei macinini dei bersaglieri, perché biciclette... non si trovava più i copertoni, c'era si le biciclette, ma erano ferme, perché non c'era camera d'aria e non c'era copertoni, e allora siamo partiti così. E invece mio papà, mia mamma e un'altra mia sorella, sono partiti di notte - alle due di notte mi ricordo -, a piedi fino a Dignano. Lì hanno preso il treno - treno bestiame, quello dove caricavano bestie -, e sono arrivati a Pola. Lì a Pola c'era gli americani e allora lì c'era la prima assistenza: davano da mangiare, da vestire, da dormire, davano tutto. Poi lì a Pola siamo stati, non mi ricordo più quanti giorni - pochi giorni però, e poi gli americani ci hanno spedito a Trieste con la nave."

31) Lei mi ha detto di essere partito di nascosto. Perché si partiva di nascosto?

R.: "Di nascosto perché se lei faceva la domanda alle autorità competenti, non veniva accettata. Non veniva accettata perché vedevano che tutta la gente andava via. Dice[vano]: se tutti vanno via qui resta il deserto, e così è stato!"

32) Perché Valle si è spopolata...

R.: "Eh si, eh! Dunque, chi poi ha avuto il coraggio di andare ancora di lì, dopo, con gli andare degli anni, diceva che in tutto il paese c'era sei famiglie."

33) E lei si ricorda il paese nei giorni dell'esodo?

R.: "La maggior parte andava via abusivamente, e invece certi facevano [la domanda]. Specialmente noi che eravamo contadini, che eravamo proprietari non ci lasciavano andare via, cioè le autorità non volevano. E invece chi era nullatenente che faceva gli operai, operaie e quella cosa lì, allora quelli lì gli davano il permesso di andare via."

34) Lei parte in bici di notte da Valle...

R.: "Si, fino a Pola".

35) Ecco. Cosa si porta dietro?

R.: "Sono riuscito a portare nella sella, sa che c'è il tubo, ecco, in quel tubo sono riuscito a infilare il certificato catastale della mia proprietà. Poi quando sono arrivato a Pola l'ho tirato fuori, sono riuscito a tirarlo fuori, rompendo la bicicletta, s'intende! Sono riuscito a tirarlo fuori e questo atto catastale ci è servito per dimostrare alle autorità italiane che noi eravamo proprietari."

36) Quindi la sua famiglia al completo si è poi riunita a Pola...

R.: "Si. E da Pola siamo partiti con la nave"

37) E si ricorda Pola in quei giorni?

R.: "Ma, dov'era bombardato era sempre distrutto, nessuno aveva toccato ancora niente, e mi ricordo che, madonna, c'è n'era un finimondo di gente che andava via. Come le ho detto prima sui 300.000 e anche più."

38) E del viaggio in nave che mi dice?

R.: "Oh, mi ricordo che mi ha fatto star male, sono stato male per tre giorni: andava su e poi giù, con quelle onde, un mare brutto, mamma mia! Dei pesci lunghi un metro dietro la nave! A raccontarlo così viene da ridere, però il viaggio non è stato proprio bello [per] niente!".

39) Poi da Pola siete arrivati a Trieste...

R.: "Si, siamo arrivati a Trieste, e lì a Trieste abbiamo fatto un mese."

40) Dove?

R.: "Boh, lo chiamavano il Silos".

41) Riesce a descrivermi com'era il Silos?

R.: "Ma, era un grande palazzo con delle grandi stanze, e lì c'era pieno di lettini. Sotto c'era le cucine, c'era la gente, c'era gli americani che dirigevano tutto. Brava gente gli americani: ci rispettavano e ci davano tutto quello di cui avevamo bisogno. E dopo quel mese lì ci hanno trasferito a Vercelli."

42) Posso chiederle come avveniva il trasferimento, cioè perché uno andava in un posto piuttosto che in un altro?

R.: "Ma, chiedevano. Noi abbiamo chiesto di andare a Vercelli perché sapevamo che qui c'era le risaie, c'era del lavoro. Insomma, era una zona più ricca che Napoli e quelle parti lì, perché tanti preferivano andare a Napoli. Napoli, Napoli, Napoli, che poi facevano -si può dire- della fame! E invece noi qui a Vercelli abbiamo fatto un mese a sua volta anche lì, e poi ci hanno trasferito a Lenta."

43) Un mese dove l'avete fatto?

R.: "A Vercelli."

44) Si, ma dove?

R.: "All'Ente Risi."

45) Ah, ho capito. Riesce a descrivermelo questo Ente Risi?

R.: "L'Ente Risi era una grande casa che lì all'estate venivano le mondine e stavano lì in attesa di essere destinate per le cascine. Noi siamo rimasti lì per un mese. Era un campo profughi: noi al mattino andavamo a fare colazione, a mezzogiorno andavamo a mangiare e alla sera andavamo a mangiare. E alla sera quando era ora di andare a dormire si andava a dormire."

46) Ma mangiavate sempre lì dentro?

R.: "Sempre lì dentro."

47) E riesce a descrivermi com'era fatto questo posto?

R.: "Ognuno aveva il suo letto, ognuno aveva il suo letto: le donne da una parte, gli uomini dall'altra. Le stanze da una parte erano adibite a donne, quelle dall'altra [parte] agli uomini, e c'era un corridoio che divideva."

48) C'era tanta gente lì dentro?

R.: "Era pieno, era pieno! Adesso quanti [eravamo] non lo so, ma ce n'era tanti, davvero."

49) Lei mi ha detto: sono andato via. Posso chiederle qual è stato il motivo che l'ha spinta a partire?

R.: "Noi siamo andati via di là per la questione che da padroni siamo diventati schiavi, e allora ai miei non gli piaceva quella cosa lì."

50) Ma in che senso siete diventati schiavi?

R.: "No, perché noi eravamo proprietari: eravamo proprietari di [piantagioni] di tabacco a Rovigno e a Valle, mio padre era un socio della Fabbrica Tabacchi di Rovigno e di Valle, poi avevamo tanta campagna, tanti boschi. Praticamente noi eravamo proprietari, e quando sono arrivati quelli di Tito non si era più proprietari, perché hanno espropriato tutto, si è passati schiavi. Che al mattino bisognava trovarsi tutti in piazza - i contadini si trovavano tutti in piazza -, e poi man mano questo gruppo andava a lavorare qua, questo gruppo andava là, e allora praticamente si era schiavi. E la gente si è rotta le scatole e sono andati via."

51) E la paura secondo lei ha inciso?

R.: "No, la paura c'è sempre stata, perché di notte, quando volevano fare del male, venivano a prendere per le case, li portavano fuori e li mettevano nelle prigioni, nelle prigioni di Rovigno. Picchiavano [alla porta] da prepotenti, uno andava a vedere chi era e prendevano la persona che gli interessava."

52) E chi è che andavano a prendere?

R.: "Quelli che secondo loro collaboravano con i fascisti o con i tedeschi."

53) Lei è andato via dunque per il discorso della proprietà e delle cooperative. Cioè, voi eravate contadini proprietari da una vita e da un giorno all'altro vi siete trovati senza proprietà, ma anche senza possibilità di tenere il raccolto. Perché, se non sbaglio, si doveva dare tutto alle cooperative e per sé ci si poteva tenere poco...

R.: "Si, c'era la tessera, che ti spettava tanti chili di roba, tanti chili di grano, di granoturco, patate e quelle roba lì. Ti spettava di diritto."

54) Voi siete andati via, però una parte - seppur minima - di italiani è rimasta in Istria. Posso chiederle, secondo lei, perché hanno fatto questa scelta?

R.: "[Sono rimasti] ben, ben, ben pochi! Son rimasti perché loro credevano chissà che cosa. Io ho ancora dei parenti che sono ancora adesso di là. Sono rimasti di là con la speranza che cambiasse, e che credessero che Tito fosse un dio. Invece era un diavolo! Poi si son pentiti, certi scappavano via, anche dopo."

55) Torniamo a Vercelli. Lei arriva a Vercelli perché c'era la campagna...

R.: "Loro da Trieste ci hanno mandato a Vercelli. Perché loro - quelli che dirigevano - ti destinavano. C'era la scelta: Torino - che a Venaria c'è n'è un mucchio -, Piemonte... E noi abbiamo scelto Vercelli, perché io ero ragazzo e mio padre era già un po' vecchiotto, e allora tramite gente che avevano fatto le guerra, abbiamo detto stiamo in Piemonte. [Dicevano] stiamo in Piemonte, che c'è il lavoro e c'è gente brava, e così è stato."

56) Lei se lo ricorda il viaggio da Trieste a Vercelli?

R.: "Da Trieste a Vercelli [siamo andati] col treno. Treni normali, dell'epoca, terza categoria - che una volta c'era prima, seconda e terza categoria -, coi sedili di legno. Siamo arrivati a Vercelli a sto Ente Risi, ma mi ricordo bene che quando siamo arrivati a Venezia, hanno fermato il treno e ci hanno fatto andare a cena."

57) Perché voi avete fatto Trieste Venezia e Venezia Vercelli?

R.: "Da Trieste siamo andati a Venezia e ci hanno dato cena. Adesso non mi ricordo, ma so che c'era delle assistenti ed erano attrezzati bene. Poi siamo arrivati all'Ente Riso."

58) Al vostro arrivo a Vercelli, avete trovato qualcuno ad accogliervi e ad assistervi?

R.: "Eh si, eh si. Prima cosa c'era il vescovado e quella gente lì, c'era dei preti che erano venuti e tutta quella gente lì. Ci hanno dato da mangiare e poi da dormire e poi destinavano, decidevano loro dove andare con destinazioni scelte. Cioè chiedevano se eravamo contanti di andare lì in un posto. Io ero ragazzo, ma ricordo certi particolari."

59) Ad esempio?

R.: "Ad esempio chiedevano: le piace il Piemonte, vuole andare in Piemonte? Chiedevano tutte ste cose qui, ma che ne sapevo io del Piemonte!"

60) Lei sta un mese all'Ente Riso e poi va a Lenta. Dove?

R.: "Andiamo a Lenta ai capannoni Fiat, e lì abbiamo fatto dieci anni."

61) Riesce a descrivermi questi capannoni?

R.: "Nei capannoni c'era delle stanze, ma noi praticamente non eravamo nei capannoni, eravamo fuori sulla strada che va da Lenta e Rovasenda. Sulla strada, fuori dai capannoni, c'era una specie di villetta, e lì c'era delle stanze, tutte stanze normali. E allora lì ci hanno messo tre o quattro famiglie. C'era due o tre stanze per famiglie. C'era proprio le stanze con porte, chiavi e tutto. C'era anche la luce!"

62) Perché è andato a Lenta?

R.: "Eh, perché lì era una zona di campagna, e allora era più facile inserirsi nei lavori tramite qualcuno che aveva bisogno. Ma poi a noi il governo ci dava anche un sussidio. Leggero, ma ci passava qualcosa. Non è che ci hanno lasciato morire di fame."

63) Ma questi capannoni, cos'erano?

R.: "Erano capannoni che dentro c'era tutta roba della Fiat e io, per esempio ho lavorato tanti anni dentro lì. Poi sta roba qui veniva immagazzinata, inscatolata e messa nei cassoni, e poi veniva spedita a Torino alla Fiat."

64) Quindi la villetta era vicino ai capannoni, e voi della villetta lavoravate nei capannoni?

R.: "Si, non tutti. Io a me mi piaceva e sono andato là. Ero un dipendente Fiat. Poi volevano che andiamo a Torino, specialmente io che ero giovane, volevano a tutti i costi che andassimo a Torino. Ma io avevo già il padre anziano, la madre non giovane, due sorelle in giovane età e allora ho preferito stare qui. Che poi contemporaneamente hanno cominciato a dare degli acconti sulla proprietà che abbiamo abbandonato a Valle, e allora ho cominciato a comprare la casa e qui siamo ancora adesso."

65) Lei lavorava ai capannoni, e invece le sue sorelle cosa facevano le mondine?

R.: "No, no, non le piaceva andare nell'acqua, non erano abituate! Andavano a lavorare a Lenta in bicicletta. Ma poi andavano ancora a scuola, e quando hanno finito le elementari andava a fare quel che trovavano da fare: dalle sarte a imparare a cucire e tutte ste cose qui."

66) Lei come ha fatto a trovare lavoro?

R.: "Bisognava venire a Gattinara - da Lenta venire a Gattinara -, e mettersi al collocamento il lista per essere assunti in qualche posto. E solo che era dura, perché lavori in quell'epoca non c'è n'era tanti, e allora bisognava adattarsi a qualsiasi lavoro. Anche lavoro di campagna, adattarsi anche a quello, adoperare il badile, e chi era fortunato da avere poi il lavoro c'era la Ceramica Pozzi, c'era quella lì. Che poi io dopo anni, nel 1956, son riuscito a entrare lì, e lì poi ho fatto la vita."

67) Come ha fatto a entrare lì?

R.: "Tramite il collocamento."

68) Non ha avuto raccomandazioni? Sa, le chiedo questo perché ad esempio a Torino era il prete che faceva assumere nelle fabbriche molti profughi, quindi vorrei sapere se anche qui era così...

R.: "Si, c'era quelli ingranati. Chiaro che quelli che erano ingranati bene stavano meglio. Erano ammanicati, era gente più anziani di me, io ero un ragazzo, avevo ventisei anni."

69) Parliamo ora di un'altra cosa, e cioè dell'accoglienza. Come siete stati accolti dalla gente del posto?

R.: "Ma, la gente [per] prima cosa a Vercelli non ci conoscevano, perché essendo città non ci conoscevano e però nessuno ha detto mai niente. Invece a Lenta ci davano dei fascisti."

70) Mi racconti...

R.: "Eh... Erano malfidenti, non si fidavano di noi perché dicevano che eravamo dei fascisti, che siamo venuti via di là perché eravamo fascisti. Non sapevano tutta la vicenda, tutta la storia com'era, e allora dicevano che eravamo dei fascisti e ci trattavano male. E poi invece hanno capito che noi non eravamo fascisti, ma ci è voluto qualche anno. E poi avevano paura. Perchè noi abitando a Lenta, che lì era circondato di campagna, loro pensavano: questi qui ci ruberanno tutto. E invece noi non abbiamo mai toccato niente di nessuno."

71) Cosa vuol dire che vi trattavano male?

R.: "Eh, ci trattavano male. Non ci davano fiducia nel parlare, se davi il buongiorno non rispondevano neanche, cose così."

M.: "Noi ci siamo conosciuti nel '50. E io per esempio, anche dei miei parenti mi dicevanO: ma cosa vai con quello lì, che son fascisti, che son venuti da là. I primi tempi è stata un po' dura, poi la gente ha cominciato a capire."

72) Ecco. Posso chiederle come avete fatto a integrarvi?

R.: "A ingranare?"

73) Si.

R.: "Io quando ho cominciato a lavorare alla Ceramica Pozzi, allora mi son dato subito da fare, mi son fatto volere bene. I capi mi volevano bene, mi rispettavano perché io sapevo fare il mio lavoro, poi ero giovane e quando mi chiedevano di andare a fare straordinario accettavo. Finché dopo un po' di anni sono passato a fare l'attrezzista, una socia di capo di cinquanta-sessanta persone, e poi sono arrivato alla prima super."

74) Quali sono stati i modi per integrarsi con la gente del posto, come avete fatto?

R.: "Eh, proprio perchè ci hanno conosciuto e hanno capito che noi non siamo della gente che ruba o che cerca delle grane. Hanno capito che eravamo gente calma noi. E praticamente noi eravamo gente calma, come lo siamo adesso."

75) E come avete fatto a conoscervi con la gente, a fare amicizia?

R.: "Noi poi è cominciata la faccenda del ballo. Lì eravamo quattro giovanotti: ce n'era due che erano da Pola e che erano una spanna più alti di me. Quella volta lì, non è che uno poteva andare a ballare come adesso libero, dappertutto. Quella volta lì se uno andava in un altro paese a ballare, veniva fuori, lo aspettavano e lo grattavano! Noi non le abbiamo mai prese perché eravamo sempre pronti e decisi a difenderci. Poi c'erano anche i giovanotti degli altri paesi vicini, hanno cominciato a capire che non eravamo gente che cerca brighe una cosa e l'altra e allora si è cominciato a fare amicizia con questi qui dei paesi qui intorno e abbiamo cominciato a fare amicizia. Io avevo dodici o tredici amici: abitando lì a Lenta , sulla strada tra Lenta e Rovasenda, ho cominciato ad andare a Rovasenda a messa le domeniche. Andavo a messa e poi si è cominciato a fare una parola con uno, una parola con l'altro. Poi mi sono trovato un lavoro a Rovasenda, che ho lavorato sei o sette anni lì, proprio dal conte di Rovasenda, e così abbiamo fatto amicizia con tanta gente. Poi hanno visto che noi eravamo gente rispettosa, che rispettavamo tutti, che non attaccavamo briga con nessuno, e allora si è cominciato a fare le amicizie."

76) Lei il suo tempo libero come lo passava? Andava, non so io, al cinema a ballare...

R.: "Eh, quando si poteva, quando si poteva! Perché non c'era i soldi! E allora poi quando ho cominciato ad aver qualche liretta, ho cominciato a comprarmi la bicicletta e allora poi si andava a ballare qui a Gattinara - all'Enel lo chiamavano, il dopolavoro -, si andava a ballare lì, per cui si conosceva già della gente, si faceva amicizia con uno, con l'altro, e con le ragazze, che ancora adesso ci conosciamo."

77) E sua moglie l'ha conosciuta al ballo?

R.:"Si, ballando! A Fara Novarese, lontano. Avevo la Vespa e andavo fuori, anche perché poi ho fatto amicizia con ragazzi di Lenta, ragazzi di Rovasenda: avevo un sacco di amici, e poi venivano perfino a cercarmi."

78) A Lenta quante famiglie eravate?

R.: "Tre o quattro mi sembra."

79) E gli altri giuliani che erano lì con lei dove andavano a lavorare?

R.: "Andavano a lavorare nella fornace a Ghislarengo, poi certi andavano a lavorare in campagna, e certi da muratore, perché da muratore si trovava da lavorare, eh! Era tutto da rifare!"

80) Le chiedo solo più due cose. La prima è questa: lei parte da Valle, un paese a sei-sette chilometri dal mare, e si trova improvvisamente qui nel vercellesi, quindi in un posto completamente diverso. Le ha fatto un po' di effetto?

R.: "Dalla mia finestra lo vedevo il mare, qui c'era invece il mare a quadretti! Io non ho avuto lo shock, però i miei si. Io no perché ero ragazzo, ci sormontavo a tutto, lasciavo correre, pensavo solo al divertimento, ad andare a ballare e a divertirmi. Pensavo solo questo, non avevo capito ancora la situazione, però con l'andare degli anni ho cominciato a capire la situazione com'era, a pensare a tutte le mie proprietà dove erano finite e a tutte ste cose qui. Poi uno comincia anche a pensare al passato: ma perché siamo venuti via, era il caso di venire via... Si pensa a tante cose. E comunque poi oramai quando hanno incominciato a dare degli acconti sulle proprietà che abbiamo abbandonato, praticamente girava qualche soldo, e come le ho detto abbiamo fatto sta casa - che quando l'ho comprata nel '56 c'era due stanze - e pian piano siamo andati avanti."

81) Lei dice di no, però i suoi genitori hanno avuto un impatto forte...

R.: "Eh, si, son rimasti delusi della vita. Perché puoi capire... Loro erano già di una certa età, pensavano più di me, mentre io pensavo solo a divertirmi, sa, ero giovane... Si capisce che loro essendo da padroni... I miei genitori ne hanno risentito più di me, di abbandonare tutte le proprietà ed essere nulla tenenti. Sta roba qui adesso non la ricordo neanche, perché son tanti anni che sono morti... Mia madre per esempio, non ha mai voluto tornare di là, a vedere almeno. Come tanti che andavano di lì e ritornavano indietro, per curiosare, in ferie."

82) Lei invece è ritornato?

R.: "No, perché mia madre non ha mai voluto, perché diceva: se vado di là, il nervoso che mi fa venire la gente che conosco, che sarei capace anche di fargli del male. Io stavo su quello che dicevano i genitori, e allora non sono mai andato."

83) Lei ha nostalgia di Valle?

R.: "Ma no, perché son venuto via che ero ragazzo. La mia gioventù l'ho fatta qui, l'ho fatta qui la vita, e allora piano piano. Poi ho trovato l'anima gemella, e allora! Io, praticamente avendo vissuto da qui tutta la gioventù, l'Istria me la ricordo si e no. Mi sento più da qui che di là!"
19/05/2008;


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dattiloscritto carta 18





Buono
CD 1

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Broz, Josip, Tito
Az. Ceramica Pozzi di Gattinara ; Az. Enel ; Az. Fiat ; Az. Manifattura Tabacchi di Rovigno
Arrivare da lontano, 2010 ; Esodo in Piemonte, 2011


Miletto Enrico 12/11/2010
Pischedda Carlo 22/11/2010
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Come citare questa fonte. Intervista a Giovanni R.  in Archivio Istoreto, fondo Miletto Enrico [IT-C00-FD14587]
Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019