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Intervista a Elvio N.
Intervista a Elvio N. realizzata ad Asti il 18 dicembre 2008. Elvio N., nato a Rovigno nel 1945, parte dall'Istria con la famiglia nel 1950. Dopo una breve sosta al Centro di Smistamento di Udine, arriva a Castelnuovo Calcea, piccolo centro dell'astigiano, dove vive alcuni anni prima di trasferirsi ad Asti, dove risiede ancora oggi. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
"Sono nato a Rovigno d'Istria il 5 settembre 1945."
1) Mi parli della sua famiglia di origine...
R.:"Mio papà faceva il falegname, lavorava presso una bottega con diversi operai. Era una persona stimatissima, per quello che ho potuto sapere poi da altri. Dicevano che era [una persona] ben istruita, che lavorava bene [e] via dicendo. E la mamma, purtroppo, era solo una casalinga. Nel senso che... Perché noi eravamo in sette, in cinque figli, e di conseguenza con cinque figli non è che puoi permetterti... Poi all'epoca tanti lavori non c'erano, era già tanto di andare a casa di qualcuno a farle delle ore di pulizia, così, tanto per racimolare quel po' di soldi che ti potevano servire per comprare qualcosa in più al mercato, a far la spesa. Persone semplici, mio papà un falegname, mia mamma una casalinga."
2) Lei saprebbe descrivermi Rovigno da un punto di vista economico, sociale e demografico?
R.:"Basta che lei si giri! Io dovessi andarci ad abitare ci vado subito! Perché? Beh, a parte l'affetto, il cuore, però abbiam trovato che si sta bene, la gente è simpatica e si son sistemati in un bel posticino. Poi non è neanche caro, e tutto sommato si sta bene, ci siamo trovati bene. C'era tanti pescatori, sui moli riparavano le reti. Poi era... Rovigno era conosciuta per i cantori, per le cantorie: c'erano i cori rovignesi che andavano dappertutto, ed ancora adesso ci sono dei posti dove [si canta]. Abbiamo visto quella sera lì dei balletti improvvisati sulla piazza del paesino, della città. Sulla piazza principale, che è piazza Tito, adesso, che è proprio dove sono nato io. Io son nato proprio in centro del paese, proprio vicino alla fontana. C'erano diverse cartoline vecchie, dove si vedono diversi pescatori: anche mio zio, l'altro parente, facevano tutti i pescatori. E poi c'era sto mercatino lungo il borgo - la sera o la mattina, adesso non mi ricordo - [che] vendevano il pesce. Comunque penso [ci fosse] tanto pesce. Forse un po' di agricoltura, però lì la terra mi sa che sia un po' duretta. Forse all'interno [c'era un po' di agricoltura], ma lì secondo me [c'era tanto pesce]. Ecco, [poi c'erano] i cantieri navali: c'è ancora adesso un paio di cantieri che probabilmente all'epoca facevano anche qualcosa di nuovo, adesso riparano solo più barche di pescatori, qualche motonave, però è una cosina piccolina. E poi c'era la Fabbrica del tabacco. La famosa Fabbrica del tabacco, che io a proposito c'ho anche un libro qui che mi è stato regalato da una signora che siamo andati anni fa, in occasione di un anniversario [della Fabbrica]. E questa qui era la signora dove avevamo affittato da lei, e lei mettendoci a parlare, dicendo che eravamo di lì, che mia mamma ha lavorato nella Smirne, una fabbrica di sardine che era sempre a Rovigno. Da una parte c'è la Fabbrica Tabacchi, e dalla parte opposta verso l'ospedale c'era la fabbrica di sardine. E difatti mi ricordo che mia mamma mi diceva: mi raccomando, quando compri le sardine devi guardarle come sono! Lei era abituata, faceva quel lavoro lì! Poi lei a Rovigno faceva la cuoca: lavorava presso una famiglia di un dottore - una persona a posto, di quelle che stavano bene - e lei faceva la cuoca. Aveva in mano tutto lei, aveva parecchie persone."
3) Quindi una realtà fatta di pesca ma anche di industrie...
R.:"Eh si, di industria si, perché pensandoci bene tra la fabbrica di sardine e i Tabacchi...I Tabacchi ancora adesso [ci sono], anche se non più tanto, perchè la stanno smantellando: ci è rimasto solo più quel portoncino che oltretutto non c'è neanche più il muretto di fianco".
4) E dal punto di vista demografico, era una città popolata da italiani?
R.:"Eh, io penso di si. Si capisce che era italiana, poi nel '48 è stata data alla Jugoslavia come bottino di guerra."
5) Io mi sono forse espresso male. Volevo cioè parlare di come fosse la distribuzione tra la componente italiana e quella slava, spostata più all'interno, e di come fossero i rapporti tra le due comunità. Questo volevo chiederle...
R.:"Lì erano più italiani. Poi c'era i s'ciavoni... Però si, mi ricordo quella parola lì, però se dovessi collocarla bene il perché e il per come lo dicevano [non saprei]. Probabilmente [era riferita a] gente che non andava, che non gli piaceva ai rovignesi. Erano forse un po' chiusi loro, e allora quelli che venivano dall'interno li chiamavano s'ciavoni perché venivano da fuori. Ma dir bene il perché e il che cosa volesse dire non lo so, non lo saprei. Probabilmente [era] gente che veniva da fuori, gente che non è del paese, non lo so io. Come per dire foresti, forestieri, ecco. Non so se era una parola detta con disprezzo, per disprezzarli, come dispregiativo, oppure se era un nomignolo come per dire: non sei di Asti e allora sei un foresto; come i veneti che dicono sei un foresto e allora vieni di fuori dal paese. Ma non so adesso come andavano, se andavano d'accordo o no. Quello non saprei."
6) E invece della guerra si ricorda o le hanno mai raccontato qualcosa?
R.:"No, della guerra no. Io mi ricordo una cosa sola: in un bar dietro piazza Tito ero con mio zio - eravamo al bar- , io le davo per mano e a un certo punto sono arrivati dei militari, han fatto un po' di casino, fino a che han preso mio zio in mezzo a due e sono usciti. E l'hanno portato via, ed io non ho più saputo. Cioè poi dopo è venuto qui ad Asti, però... Si vede che aveva qualcosa, non so o dovevano fare solo dei chiarimenti. So che erano le guardie... Perché lì c'erano un po' di partigiani, c'era i slavi, c'era gli italiani, c'erano un po' di [tutto]. Il paese era un po' presidiato: da una parte c'erano questi qua, dall'altra c'erano questi tedeschi, questi slavi, era un po' mescolato. A dire la verità non so bene chi erano questi qua. Li ho visto con la divisa, però non mi ricordo, avrò avuti tre anni. Mi ricordo sto fatto di questo bar - che c'è ancora questo bar, è un bar ristorante -, che eravamo lì e vengono dentro sti soldati, lo prendono un po' - bim, bum, bam - lo portano via e io non so. A me qualcuno mi ha preso e mi accompagnato a casa dicendo che è successo questo e quest'altro."
7) Ma poi ha saputo chi erano questi soldati?
R.:"Eh no, non so."
8) Ma questo episodio è successo dopo la guerra?
R.:"Eh si, sarà stato il '47 o il '48."
9) Quindi saranno stati i titini...
R.:"Eh, si, per forza!"
10) Relativamente alla guerra e al periodo immediatamente successivo le chiedo ancora una cosa. Lei delle foibe ne ha sentito parlare. Se si, quando e in che termini?
R.:"Ne abbiam sentito parlare poi qui, quando sono uscite fuori, Una decina di anni fa, quando poi è scoppiata la bomba che è uscito fuori tutto sto can can, ma prima no, io non ho mai sentito di qualcuno che avesse detto qualcosa. Da piccolo poi assolutamente no, non ho mai sentito."
11) Parliamo ora dell'esodo. Quando siete partiti?
R.:"Siamo partiti nel maggio del '50."
12) Lei che ricordi ha dell'esodo?
R.:"Ma, io mi ricordo che mio papà ha venduto tutto quello che poteva racimolare, tutto quello che poteva vendere, e siamo venuti via con...Adesso, i meridionali avevano la valigia, e noi avevamo più o meno la stessa cosa: una valigia e una scatola con qualche cosa, ma proprio ste cose così. E mi ricordo che eravamo - c'erano anche delle altre persone - tutti quanti nascosti su un treno merci. Nascosti, proprio con la paura che se ti prendono...Almeno, mi hanno sempre detto che se ti prendevano ti fucilavano, adesso poi non so com'è, se è vero. E dovremmo essere andati ad Udine al centro profughi. Io mi ricordo solo sto fatto che mio papà preparava sta roba, la ammucchiava, perché poi dice che dovevamo andar via, che lì non si poteva più stare perché non sapevi come andavi a finire e allora era meglio [andare via]. Avevamo uno scatolone, forse una scatola con qualcosa, perché mia sorella è riuscita a portare un orologio, un pendolo che avevamo in casa, tutto smontato. Probabilmente [mio padre] è riuscito a racimolare quelle due o tre cosette e invece che avere una valigia aveva una scatola di legno, però non avevamo nient'altro. Cioè, era così. Al centro profughi di Udine non so bene come sia successo, come sia andata a finire che siamo poi andati a Noche. Noche che è una frazione di Castelnuovo Calcea. Perché? Perché mio papà nel '39 ha fatto il militare qui; lui era militare nell'aviazione, e l'ha fatto qui al Castello di Annone. Agosto del '39 lui era qui a fare il militare. E allora si ricordava di un maresciallo R. di Castello di Annone. E non so come sono venuti in contatto - se per lettera, perché il telefono non c'era - , ma so che mio papà mi diceva che siamo andati a Noche perché questo qui era un compagno che aveva fatto il militare con lui, e gli ha detto: vieni pure qui, che noi siamo in campagna - in un'abitazione di campagna -, le stanze sopra sono vuote e ti sistemi qui. Perché all'epoca siamo venuti via solo in quattro: io, mio papà, mia mamma e mia sorella. Io sono il più vecchio e mia sorella è del '48. Siamo venuti lì, siamo stati lì in una stanza vuoti, a mio papà gli ha detto: ti aggiusti. Lui ha trovato qualche mobile, poi mio papà si è messo lì e ha fatto qualche mobile, poi, insomma, in campagna qualche cosa ce l'hanno sempre, anche se non era...Siamo stati lì qualche mese perché poi mio papà in bicicletta dev'essere venuto giù al Castello d'Annone a trovare questo maresciallo, per farsi riconoscere e per vedere se si trovava lavoro e se riusciva a mettersi in quadro. E poi si vede che è riuscito tramite questa persona ad andare a lavorare in una falegnameria qui, da Cerrato Mobili. E noi siamo poi passati da Noche, da questa frazioncina, a Castelnuovo Calcea in un paesino lì vicino - infatti Noche è una frazione di Castelnuovo Calcea - e siamo stati lì per tredici anni, dal '50 fino al '63. Infatti io le scuole cosa ho fatto? Le elementari le ho fatte lì, però le superiori le ho fatte qui, e prendevo il treno tutti i giorni per andare da Catelnuovo ad Asti e viaggiavo. Nel '63 siamo poi riusciti a trovare un alloggio qui in corso Milano, e siamo poi venuti ad abitare qua. Però nel frattempo mio papà non lavorava più da falegname, perché la famiglia era aumentata ed eravamo già in sette, ed è andato poi a lavorare alla Fiat a Torino. Perché? Perché Cerrato Mobili probabilmente gli dava poco, eran tempi duri e via dicendo e allora lui ha trovato... Forse la soluzione migliore era quella di andare in Fiat. Comunque lui lavorava sempre nel settore, faceva roba col legno."
13) La casa dove stavate era in affitto?
R.:"Si, si, era in affitto. Era una casa in affitto, in un cortilone grosso. C'erano poi tre stanze, niente di particolare, non si stava tanto bene, perché lì è nata mia sorella, poi è nato l'altro fratello e si capisce, tutti quanti in una camera diventava un po' un problema. Uno dormiva da una parte, l'altro con il lettino improvvisato dormivi dall'altra, e insomma non è che [si stava bene]. Come sia riuscito a trovare quella casa lì non lo so. Non so se perché questo signore qui conosceva la proprietaria e allora lei aveva delle stanze lì, ma n on so."
14) Della sua famiglia siete partiti tutti?
R.:"Si."
15) Le chiedo un'altra cosa relativa al viaggio. Provi a chiudere gli occhi e a descrivermi lo stato d'animo con cui si preparava ad affrontare il viaggio...
R.:"Penso solamente che avevo freddo, paura e tutti mi stavano addosso a dire stai qui, stai là, attento qui e attento là, però altro non [ricordo]. Poi dopo non abbiamo mai parlato con mia mamma, non ho mai chiesto: mamma, durante il viaggio lì come eravamo, avevate paura, perché non abbiamo mai più voluto. Difatti anche mia sorella....Magari lei sa qualche cosa in più o magari qualche cosa la so io o non la sa lei, ma non abbiamo mai [parlato]. Proprio perché [ai miei genitori] dovevi cavarli proprio le parole dalla bocca, se no loro, spontaneamente, non hanno mai detto: allora, adesso ti dico perché [siamo partiti]. Questo non c'è mai stato. Mio papà poi soprattutto."
16) Ma qualche parente è rimasto lì?
R.:"Erano rimasti lì la sorella di mio papà. Che poi loro sono venuti lì nel '55. Sono venuti via, però non li hanno mandati qui ad Asti, li hanno mandati a Bari, al Centro Profughi là. E mio papà so che ci ha messo tanto tempo per sapere - non so come ha fatto - per sapere dove erano andati a finire. E infatti so che dopo anni è riuscito poi a trovarla e a farla venire qui ad Asti in corso Alfieri. Abitava poi in corso Alfieri; ma questo dieci anni dopo, perché aveva perso notizie. C'erano ancora dei parenti di mia mamma in Toscana, a Marina di Massa, sul mare, vicino a Pisa."
17) Al momento della partenza è ovvio, visto la sua età, che lei non avesse alcun potere decisionale, quindi ha seguito le scelte fatte dalla sua famiglia. Però, se io le chiedessi quali sono i motivi che hanno spinto i suoi genitori a partire, lei cosa mi risponderebbe?
R.:"Ma, a me me l'hanno venduta in questa maniera: dicevano che se andavano sotto Tito non sapevano come andava a finire, venivano tutti quanti padroni loro [gli slavi] e loro non avevano più niente, e quel po' che avevi te lo prendeva tutto lo stato e tu non eri più padrone di niente. E penso che sia stato quello, loro me l'hanno venduta [così]. Loro avevano paura che stare sotto di loro si stesse male, e allora hanno pensato bene di tagliare la corda e di venire via. A me così l'hanno venduta."
18) E invece se io le ribaltassi la domanda chiedendole, secondo lei, quelli che sono rimasti cpome mai hanno deciso di restare?
R.:"Ma, perché si vede che loro non la vedevano nera come l'ha vista mio papà. Probabilmente per loro era : vediamo un po' come va a finire, proviamo... Che poi molto più tardi sono andate tante persone, ma si sono fermati a Trieste, si son fermati solo di là. Ma non hanno interrotto proprio niente, anzi. Sono persone che poi sono tornate dopo, hanno comperato e sono state persin contente di comperare la casa. Si vede che in quel momento lì, va a sapere, avran detto: guarda qui se ci prendono ci fucilano, qui ti prendono tutto, e allora... Probabilmente lui [mio padre] ha detto [così]. Io ho fatto il militare qua, e piuttosto che stare male qua con la mia famiglia, piuttosto vado ad abitare dove ho fatto il militare. Penso che l'abbia pensata così, perché non aveva nessun altro aggancio, nessun altro appoggio. Poi avrà fatto in maniera di scrivergli a questo qui: guarda, mi succede così, così e così, son venuto via, sai dirmi dove andare? E questo deve avergli detto: vieni qui a casa mia, poi in qualche maniera ci aggiustiamo. Credo che sia stata così."
19) Ecco, ma parlando della sua zia che è arrivata dopo, le ha mai detto il motivo?
R.:"Forse per raggiungere il fratello. Probabilmente o lei dice lui è qui e noi siamo qua e cosa facciamo, andiamo anche noi? Però poi come sia venuta di qua [non lo so]. Non è scappata, perché loro potevano raggiungere i familiari che erano sfollati, potevano andare liberamente, passavi la tua frontiera tranquillamente. Solo che poi sto fatto di andare a finire a Bari, questo non lo so proprio il perché. Ci sarà stato un qualche cosa dove li destinavano, non lo so."
20) La sua famiglia era la sola ad essere arrivata, oppure si ricorda qualche altro esule con cui eravate in contatto o che era presente ove abitavate?
R.:"Lì a Noche non c'era nessuno. Qui ad Asti si, mio papà aveva trovato uno. Si chiamava S. La prima volta che siamo andati a Rovigno nel '74, siamo andati tramite uno che faceva l'usciere all'Ufficio Imposte, ed era di lì. E qualcuno mi ha detto: ah, ma se hai bisogno per trovarti la casa lì a Rovigno vai da questo qui Giovanni S., che lui ha ancora degli agganci là, dei parenti, ha ancora qualcuno. E infatti sono andato da questo qui, mi son presentato e lui mi ha detto:si, si, vai pure lì a mio nome. Qui ad Asti ci saranno, però saranno un po' sparsi e ognuno sta nel suo."
21) I profughi giuliani ricevevano dallo stato tutta una serie di misure assistenziali. Lei si ricorda se anche voi ne avete in qualche modo usufruito?
R.:"Mio papà non ha avuto niente, mai preso niente. Difatti lui, mio papà, ha sempre detto: io son falegname... E questo qui, questo Giovanni S., probabilmente sarà riuscito ad avere questi aiuti ed avrà anche avuto - dicevano - il posto di lavoro. Mio papà invece faceva il falegname e ha fatto il falegname, ma non ci hanno mai dato niente. Si, si, sui documenti fuori c'era scritto profugo giuliano, ma non è che andavi da una parte e dicevano ah si, tu sei profugo e questo invece di costare così costa così, no, mai. E neanche è mai arrivato un pacco dono da qualcuno tanto per dirti questo è un regalo. Io, a casa mia, che mi ricordo io non c'è mai stato. Ma neanche non so, scuole, libri e quelle robe lì: abbiamo sempre pagato quello che c'era da pagare, ma non abbiamo mai [avuto niente]. Almeno, per quel che ricordo io non ci è mai stato fatto nessun regalo da parte di qualche ente pubblico in quella maniera lì. Poi magari a Torino avran fatto un'associazione e allora quelli saran riusciti anche ad avere qualche cosa, ma qui, forse proprio perché non eravamo uniti ed eri solo uno qui uno lì e uno là e ognuno si faceva i cavoli suoi e caso mai avevi anche paura a domandare. Perché poi lì dipende anche dalle persone."
22) Ecco, perché qui ad Asti non c'era una struttura dove venivano ospitati i giuliani?
R.:"Ecco, no, non c'era, non c'è mai stata."
23) Parliamo ora dell'accoglienza che avete ricevuto. Voi come siete stati accolti quando siete arrivati?
R.:"Ma, qui ad Asti non lo so. A Castelnuovo siamo stati accolti bene, bene."
24) Mi spieghi...
R.:"Ma, bene perché non ci hanno mai... Diciamo che [interviene la moglie]..."
Moglie:"Io so che la pettinatrice di Noche, di sua mamma ricordano il fatto che questa donna fumava. Probabilmente le donne piemontesi, campagnole, non fumavano e questa cosa era strana. Lei mi dice così: mi ricordo di tuo marito perché c'erano questi bambini di queste persone che venivano e la cosa che incuriosiva è che sua mamma fumava, come donna."
R.:"Si, che fumava come donna. Diciamo che all'epoca le donne qui non andavano in giro a fumare. Però ci dicevano poi anche una cosa caratteristica per dire che venivamo da via. Ma non dispregiativa, tutt'altro. Comunque ci hanno accolti bene, per quello si. Io mi ricordo che ho fatto le elementari lì, conosco ancora adesso il prete, conosco ancora amici e uno ha fatto addirittura il sindaco."
25) Quindi non si ricorda atteggiamenti discriminatori nei vostri confronti...
R.:"No, no. Eh, ma qui parliamo del '50, del '51, siamo stati lì fino al '63. All'epoca non c'era neanche ancora l'immigrazione dei meridionali e di conseguenza...Qualche veneto era capitato, però... Ah istriani ci chiamavano, ci dicevano ah, istriani, o giuliani, non ricordo. Ma non era una cosa cattiva, solo proprio per identificarci. Mentre so che quando poi han cominciato a venire i meridionali [gli dicevano] terun. Però questo lo dicevano già in maniera cattiva, che poi era gente come mio papà che lavorava, non era gente che veniva e diceva adesso io sono qui e cosa... Si tiravano su le maniche e si davano da fare, è vero?".
26) Le chiedo ancora un'altra cosa. Lei torna a Rovigno?
R.:"Ci torneremo... Mi piace, mi piace, però certe volte fare seicento e più chilometri per andare fino a là diventa un po'un problemino... Fosse un pelino più vicino ci andrei di più."
27) Ecco, ma alle sue origini, lei è sempre stato attaccato oppure le ha riscoperte da poco?
Moglie:"Forse le sta riscoprendo di più adesso, con la maturità. Cioè adesso lo dico perché noi viviamo insieme dal '73! Quando siamo andati nel '74 siamo andati per il mare, non perché lui era nato lì. Nel '90 ci abbiam portato già mia figlia per farle vedere dove era nato. E infatti lì siamo andati anche a Lussinpiccolo."
R.:"Eh si, perché mio papà è nato anche a Lussinpiccolo. Mia mamma è di Rovigno, ma mio papà è nato a Lussinpiccolo. Difatti tutti i rovignesi avevano un soprannome - io l'ho scoperto quest'anno parlando con questi rovignesi - e non mi davo per vinto. Mi han detto: ma tu, che soprannome hai? Ma porca miseria - pensavo - ma io non ce l'ho il soprannome! Ma come non ce l'hai? Ma sei nato a Rovigno? Certo che son nato a Rovigno! E allora? E allora cosa, come faccio a saperlo? E allora mi son detto: spetta che devo andare a parlare con mia zia, perché è l'unica che poteva sapere. E mi viene a dire che papà non è nato a Rovigno - cioè lo sapevo che era nato a Lussimpiccolo, ma non sapevo che fosse arrivato a Rovigno da piccolo - e allora solo chi era nato a Rovigno [aveva il soprannome]. Il problema qual era? Che c'erano tanti cognomi simili, tutti uguali, e allora loro per differenziare uno dall'altro quello lì lo chiamavano pisci in cesa perché quando prendeva i pesci andava sempre lì, l'altro capel de paia, tutte caratteristiche che distinguevano lo stesso cognome. Perché anche adesso il sindaco di là mi pare sia uno S., per cui ce ne sono tantissimi."
28) L'ultima domanda serve per fare una scheda degli intervistati. Le chiedo che lavoro ha fatto.
R.:"Io lavoravo alla Società del Gas, all'Italgas."
29) Sua madre, ed è l'ultima domanda che le faccio, ha avuto un trauma di vedersi catapultata dal mare di Rovigno alla nebbia dell'astigiano?
R.:"Eh si, perché non era contenta, ma solo per il fatto del mare, non per il resto, perché dopo si è adeguata. Mia madre si lamentava per il tempo, perché qui c'era la nebbia mentre là c'era il mare, perché qui era brutto, ma solo per quello, non per altro, perché lei poi si è adattata benissimo anche qua. Si capisce che là però era un'altra cosa: era un paesino piccolo, si conoscevano tutti e stavano bene, è inutile. Ma anche mio papà, eh! Noi partivamo di qua con la Lambretta per andare a Savona a fare il bagno, perché lui gli piaceva troppo il mare. Purtroppo è venuto qui, e mi ricordo tanti viaggi con la Lambretta che andavamo giù al mare solo proprio per respirare quest'aria e per poter fare un bagno. Mi ricordo a Rovigno che sulla canna della bicicletta mi portava a Punta Corrente a fare il bagno. Ma sono ricordi così, flash di un bambino."
18/12/2008;
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