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Intervista a Giorgio G.
Intervistato a Giorgio G., realizzata ad Asti il 18 gennaio 2008. Giorgio G., nasce a Clava, presso Fiume nel 1943. Figlio di un carabiniere piemontese in servizio in Istria, parte da Clana con la madre subito dopo l'8 settembre 1943. Attraverso un lungo viaggio, che lo porta prima a Trieste e poi a Milano, riesce a raggiungere la casa materna di Monforte d'Alba dove, dopo la guerra, sarà successivamente raggiunto dal padre che riprenderà il servizio nei carabinieri. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Quando e dove è nato?
R:"Io son nato il 27 luglio del 1943, quindi 27 luglio e il 25 luglio cosa succede? Dunque, mi trovavo là perché mio padre era maresciallo dei carabinieri, comandato là. Ed era con mia madre e con un altro figlio che era nato invece in Piemonte e che aveva due anni più di me. Quindi c'era mia madre che aveva un bambino di due anni e poi c'ero io che ero nato il 27 luglio. Il 25 luglio è successo quello che è successo, e i carabinieri erano un po' nell'occhio del ciclone, perché erano forze di polizia locale, specialmente in quelle zone molto irredente. Io son nato a Fiume, ma a dir la verità bisogna parlare di Clana, che è una località proprio sopra Fiume. Io sono andato a vederla, ed è in montagna, proprio in mezzo, è sopra ad Abbazia. C'è Clana che è in montagna, poi a venti chilometri c'è Pattuglie che è sopra ad Abbazia, un posto bellissimo. Io sono andato vederlo, sono andato a trovarlo, mi son fatto dare la registrazione della mia nascita in croato. Io dico queste cose sulla base dei racconti che mi sono pervenuti dai miei genitori, e anche sulla base di alcune fotografie che ho pubblicato anche nel mio libretto elettorale. Poi sono andato quest'estate - anzi due anni fa - per fare un giro in quelle zone che i miei genitori non hanno mai voluto tornarci. Io ho sollecitato, mi dicevano sempre che sarebbero venuti, poi invece non siamo mai andati. La vicenda è questa qui. Io sono nato il 27 luglio, e mio padre tempo dopo, non so quantificare esattamente, ma l'8 settembre mi pare che sia stata anche una data importante, perché si è verificata questa situazione: i tedeschi hanno considerato i carabinieri un punto di riferimento per la popolazione e quindi li fermavano. Non erano veri e propri arresti, li bloccavano, erano bloccati e internati anche provvisoriamente, perché li volevano far passare con loro per mantenere l'ordine pubblico. I partigiani li volevano accoppare perché dopo l'8 settembre è successo quello che è successo, e fatto sta che nella realtà è successo - almeno così ci han raccontato- che mio padre era lì da un anno e mezzo, e conosceva quindi tutte le famiglie slave. E quando è successo quel fatto lì, uno di questi qui, che poi abbiamo saputo che era diventato un capitano della milizia - di cui ho anche una lettera battuta a macchina - lo ha avvertito che era pericoloso e ha consigliato di andare via, almeno la famiglia. Mi hanno ospitato due giorni a casa di questo che si è rivelato poi essere un partigiano, siamo stati al coperto, ha poi dato abiti borghesi a due carabinieri che su un camioncino ci hanno portato giù dai tedeschi. Mia madre era su questo camioncino con una mia zia, che è morta un anno fa, ma che mi ha raccontato tutto: ci hanno avvertiti, ci hanno nascosti e poi quando è arrivato il momento propizio questo camioncino [è partito]. Sotto un telone eravamo mia mamma, due bambini e mia zia che sarebbe la sorella di mio padre, che era stata chiamata su per aiutare mia mamma [perché sa], con due bambini in mezzo a sta baraonda, è venuta a darle una mano. Non si sapeva che ci sarebbe stato il 25 luglio o l'8 settembre, era andata prima quando mia mamma era gestante. Fatto sta che siamo scesi giù, ci hanno portati giù e io ho visto il percorso, ho visto le strade per arrivare a Trieste, lì dall'alto, da Opicina siamo scesi giù. E lontano c'erano i tedeschi, che avevano i posti di blocco, ma per fortuna sapevano i partigiani dov'erano. E allora, da lontano, ha voltato la macchina, ci ha lasciati lì dove eravamo, sono arrivati i tedeschi che ci hanno liberato. Dato che mia madre ha detto chi eravamo - carabinieri - ci hanno portato in un campo di profughi - pensi, l'ironia della sorte - italiani protetti dai tedeschi, nell'immediato. Insomma, era così, perché i croati erano balordi; mio padre mi ha detto che ha visto delle cose...Noi ne abbiamo fatte, eh, però lui mi ha detto che ha visto delle cose... Dei camioncini pieni di nasi e orecchi tagliati...Là usavano molto questo sistema. Fatto sta che mia mamma è stata a Trieste, mi ha detto che è stata in un posto che era una fabbrica che avevano messo a disposizione, e poi ha preso un treno e ci ha messo dodici o tredici giorni a venire a Monforte d'Alba, con i due figli. E mi ha raccontato questo viaggio, un viaggio molto difficile perché si fermavano continuamente i treni. Si son fermati a Milano e a Milano mi dice che è successo questo episodio, che mi ha raccontato: c'era una carrozzella in cui io che ero piccolo ero trasportato, e c'era un allarme aereo. La carrozzella l'ha abbandonata e ha dato mio fratello che era più grande alla prima persona che ha visto - c'era lì una signora - e mi dice: se ci penso adesso... Mi son fidata, ho dato sto bambino in mano a questa donna qui, perché l'altra era la sorella, nel senso che la zia si era fermata a Trieste perché doveva aspettare mio padre. E lei era da sola, quindi. E ci dava da mangiare un po' di farina imbevuta, e ha detto che hanno mitragliato e questa carrozzina è saltata. Nei momenti in cui la facevo arrabbiare, mia madre mi diceva: ti avessi lasciato là! Va beh, comunque... Poi ha ripreso il viaggio ed è arrivata dopo quindici giorni a casa. Mio padre si era fermato là. Lui era un maresciallo dei carabinieri, e dopo le prime vicende c'era questa mia zia che era venuta su fino a Trieste ed era lì, è rimasta lì perché mio padre ha detto: io vengo dopo, perché se andiamo giù tutti assieme ci ammazzano, o da una parte o dall'altra. Poi i tedeschi arrestavano, bloccavano. In effetti è avvenuto così: lui a un bel momento era ancora dentro questa caserma con tutti i carabinieri , che io ho visitato, ho visto proprio. Era un bel casone grande che adesso è vuoto, e sono arrivati i tedeschi e in una volta sola hanno arrestato tutti i carabinieri. Sono arrivati su e quando arrivavano, i tedeschi, erano molto agguerriti e ben organizzati e hanno preso i carabinieri, li hanno arrestati e li han portati in un castello mi pare in Boemia. Io ho solo sentito questo, non saprei dire dove. [I carabinieri] erano agli arresti, ma degli arresti un po' particolari: erano non proprio nemici, erano tutti radunati - che c'erano degli stanzoni - e li interrogavano uno per volta, gli chiedevano le cose. Perché l'orientamento era ricostruire il corpo dei carabinieri sotto però il protettorato tedesco. Perché nel frattempo i tedeschi erano lì in attesa che succedesse qualche cosa: o eri amico, o ti mandavano in internamento. Mio padre mi diceva - io ricordo questo fatto qui, me lo ha raccontato- che aveva un foglietto in tasca con dei nomi, e non sapeva bene cosa fossero, non si ricordava più a cosa si riferisse - era il comandate dei carabinieri della zona, e quindi saran stati appunti di indagini - e fatto sta che l'ha preso e l'ha mangiato, perché - mi diceva - se mi avessero chiesto di questi io non sapevo cosa rispondergli, c'era il rischio di andare in equivoci se non peggio. E si è mangiato sti nomi. Per fortuna quando lo hanno preso, lui aveva una sacca con degli abiti civili che gli aveva dato questo qui , o forse erano suoi, non so. E lì erano abbastanza non liberi, ma c'era una vigilanza relativa, e fatto sta che prima dell'interrogatorio è riuscito ad allontanarsi con altri. Ha camminato - di questo non ho i particolari - ed è andato in Trentino Alto Adige, è riuscito ad arrivare in Italia dove è stato per due mesi da una famiglia a fare il contadino - che mio padre era di origine contadina - in attesa che finisse. E di lì ha potuto anche scrivere, e ha potuto fare avvertire - immagino che giro tremendo hanno fatto, ci è voluto due mesi ad avvertirla - la sorella di andarlo a prendere, perché dice: con una donna è più facile viaggiare, perché da solo un uomo... Mentre una donna può essere la moglie o cosa. Dunque, questa qui è stata avvertita, è andata su, è andata a trovarlo e quando sono venuti a casa aveva una grande valigia, una valigia che era mezza vuota. C'era quei treni di terza classe, e allora mio padre si è messo sotto i sedili con la valigia davanti! E - mi diceva - ha fatto un viaggio abbastanza tranquillo, senza tanti controlli, ed è riuscito a rientrare a Monforte d'Alba, dove aveva la casa, sia mia madre che mio padre. Lì lui non è stato nei partigiani, è stato nascosto in quelle case di campagna che c'è la casa, c'è il cortile e poi c'è un'aia un po' sottostante, di un metro e mezzo, dove c'era galline, cose, eccetera. Lì gli avevano fatto un buco profondo - l'ho visto io - e quando c'erano gli allarmi lui andava sotto, mettevano la paglie e le cose e mettevano gli animali. Ma erano scafati, e lui l'ha sfangata! Poi lui si è presentato invece ad Alessandria, perché subito hanno richiamato i carabinieri, ma era già il '45. E ad Alessandria è stato sottoposto a un processo di defascistizzazione - si diceva - ed è stato assolto, e ha ripreso il servizio. E questa è la vicenda di mio padre."
2) Suo padre - o chi per lui - le ha mai raccontato quali erano i rapporti tra gli italiani e la parte slava?
R.:"Me ne ha parlato qualche volta, ma sempre in maniera molto diluita, perché era una cosa di cui non parlava [volentieri]. Lui dice che erano duri da entrambi le parti. Là i partigiani ammazzavano molto, c'era molta crudeltà, se cadevi in mano a loro non c'era speranza. E da questa parte qui non facevano molto di meglio. I carabinieri - a dire il vero - erano abbastanza in una posizione di equilibrio. Perché lì c'era la milizia fascista e anche una parte di alpini che erano molto duri, perché qui non ce la contiamo, in Montenegro ne abbiamo fatte! Però diceva che anche lì c'era una varietà di posizioni, c'era i duri e i balordi, gente che si vendicava ed erano terribili! Però lui dice che in questa famiglia che si chiama M.-vich, mio padre mi diceva: io intuivo che questi qua non erano, cioè erano un po' silenziosi eccetera. Però lui ha avuto buoni rapporti con la popolazione locale, specialmente in paese. Certo, loro andavano in perlustrazione in giro con la paura di essere attaccati. Lì c'erano una trentina di carabinieri - eran tanti - c'era un capitano e una stazione, come si usavano una volta. C'eran le famiglie italiane che vivevano su da loro: per esempio il regime aveva fatto delle cose abbastanza ben fatte da un punto di vista organizzativo, perché c'era un ospedale a Matullie - io l'ho visto, ben fatto - poi l'asilo nido, il centro civico, e che erano anche per la popolazione. Certo, erano per gli italiani, ma d'altronde lì si sentivano italiani tutti. E certo, chi era dall'altra parte viveva abbastanza coperto. Mio padre diceva: io ho sempre cercato di mantenere rapporti equilibrati, e questa cosa qui mi ha salvato la vita, nel senso che se questo qui ci ha salvati... Invece in giro erano molto feroci, ammazzavano. Anche tra di loro, si ammazzavano anche tra di loro. Quindi lui con la popolazione aveva detto: noi abbiamo avuto una fase in cui i fascisti, all'inizio, erano stati molto duri con chi non era fascista, e gli altri ci han reso tutto pan per focaccia. Lui sapeva che venivano fatte delle retate - già allora - anche di slavi che si erano compromessi e li trovavano ammazzati, li avevano tolti di mezzo. E questo forse è stato uno dei motivi per cui forse non è mai voluto più andare. E questo anche io: quando sono andato, sono andato a Trieste a vedere le foibe, poi sono andato a Clana. E a Clana ho chiesto a una signora anziana che parlava italiano e le ho detto: senta signora - eravamo io e mia moglie - lei sa mica dove abitava una certa famiglia M-vich, dove c'era la caserma dei carabinieri? E questa qui, tutt'altro che ostile, mi ha parlato con molto piacere, ma io era in uno stato d'animo non incline al parlare, e allora ho chiesto l'informazione e sono andato a vedere questa caserma che ho fotografato. Un casermone grande e bello, con una garitta tutta mitragliata - perché poi non hanno fatto niente, han lasciato così - e devo dire che non ho visto animosità in questa persona. E sono andato anche in un supermercatino, ma non ho visto animosità Poi sono andato al Municipio di Matullie - allora ero deputato - e ho chiesto il mio certificato di nascita. Non parlavano molto l'italiano, ma sono stati molto gentili. E poi sono andato ad Abbazia e a Fiume a fare un giro."
3) Suo padre delle foibe le ha mai parlato?
R.:"Si, si. Vede, mio padre non è mai stato troppo [loquace], perché sa , sono quelle cose... Mio padre era uno molto pacifico, una persona buona, però mi parlava delle foibe."
4) Posso chiederle in che termini?
R.:"Che si sapeva, perché noi ne avevamo parlato e lui ne aveva sentito. Era un metodo anche molto normale, non ti sparano ma ti gettano giù. Erano usate anche per delitti normali, le foibe erano un metodo piuttosto brillante. E lui vedeva questa crudeltà, diceva che ogni tanto spariva della gente e loro andavano anche a cercarla. Come è iniziata la guerra e quando ha cominciato a girare, c'erano anche queste cose qui, si sentivano. Io ero più ragazzino, ma poi me ne ha parlato più dopo: io chiedevo cosa sono le foibe? E lui mi diceva, sono dei canaloni, noi andavamo anche in e perlustrazione... Che poi io sono andato anche a vederle, non fanno impressione, sono proprio piccole, una roba un po' così, insomma. No, no, ma me ne ha parlato delle foibe, mi ha detto che erano molto crudeli, che lì ne son successe da vendere e da appendere, e ci è andata bene, che abbiamo conosciuto questi qui."
5) Senta, parliamo dell'esodo. Suo padre, ovviamente, non lo ha vissuto, ma le ha mai raccontato qualcosa, gliene ha mai parlato?
R.:"Mi ricordo che una volta mi ha detto: povera gente, questa qui ne vedrà di tutti i colori. Ne hanno viste e ne vedranno di tutti colori, mi aveva detto questo. Lui era molto parco, ma è stata mia zia che mi ha raccontato bene queste cose, anche mia madre. Ma mia zia si era innamorata di un carabiniere e mi diceva: mai stata così bene, scappavamo sotto sto tendone con questo qui - che lei stravedeva per lui - per dirle la vita..."
6) Lei ha mai avuto notizia di quali riflessi abbia avuto l'esodo qui ad Asti?
R.:"Io ho incontrato due persone, una signora elegante, una bella signora, che però lei ha fatto proprio l'esodo. Una bella signora, proprio slava, anche dal cognome, che tra l'altro mi ha detto io l'ho sempre votata e continuerò, ma mi sfugge il nome. Poi un'altra ragazza, la madre, che adesso è però andata ad Alba. Poi gli altri, sono venuti a trovarmi adesso gli zingari e mi han detto: noi siamo compaesani! I rom, che mi han detto: lei deve stare dalla nostra parte, siamo tutti della stessa famiglia! Va beh..."
7) Quindi qui ad Asti non c'è una grossa presenza di esuli sul territorio?
R.:"No, no. Solo una volta... Io ero socialista, e una volta alle elezioni mi han detto, cioè mi aveva messo un manifesto il Movimento Sociale: tu che sei un irredento, che dovresti fare diverso e invece appoggi questi qui."
8) Ma quindi, secondo lei, come sono stati accolti gli esuli?
R.:"Qui ad Asti penso niente, cioè in modo indifferente, perché troppo pochi, e quindi l'hanno passata liscia, perché insomma, se sei in pochi... Quando arrivavano invece in gruppi la gente tende sempre a difendersi, a reagire. Io ho letto un libro di un autore, un romanzo... Di Tomizza, ecco. Che mi ha fatto vedere bene l'idea di questi fratelli che vanno via, e mi ha dato l'idea di come poteva essere dura. Poi in questi momenti tutti gli stronzi, tutti i vigliacconi vengono fuori e ti tengono per il bavero. Io poi ho letto un po' di storia, ma non ho delle conoscenze dirette, perché mio padre è venuto via prima. Però lui mi diceva: la troveranno lunga. E infatti è andata un po' così. C'è stata un po' di vigliaccheria da parte di tutti, un po' di realismo politico che ha nascosto. Adesso però viene fuori tutto, ma credo che li abbiano trattati abbastanza male."
18/01/2008;
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