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CARTACEO: "Abbattere le Casermette significa sanare una grande piaga cittadina", «Gazzetta del Popolo», 21 gennaio 1966

Posizione nella struttura d'archivio

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"Abbattere le Casermette significa sanare una grande piaga cittadina", «Gazzetta del Popolo», 21 gennaio 1966
Riproduzione dattiloscritta dell'articolo "Abbattere le Casermette significa sanare una grande piaga cittadina" pubblicato in «Gazzetta del Popolo» il 21 gennaio 1966.
Il sindaco prof. Grosso, ha parlato l'altra sera in Consiglio comunale della necessità di risolvere definitivamente il grave problema delle Casermette di borgo San Paolo. Non c'è altra strada - ha affermato - che quella di trasferire gli abitanti e distruggere dalle fondamenta le barache che continuano ad essere il ghetto di Torino.
Casermette, Casermone di via Verdi, Altessano, Colonia di Druent, sono nomi noti della cronaca della miseria. I benpensanti in cuor loro li definiscono "luoghi malfamati" ma in effetti ne hanno sempre giustificato l'esistenza parlando di "passaggio obbligato", prima dei profughi di guerra e poi per la più misera immigrazione. Forse in questo caso si può veramente parlare di "lager", luoghi di isolamento urbano e morale, luoghi dove ogni baracca, ogni stanzone, ogni buco ha una sua storia, una lunga serie di storie di uomini e di donne, soprattutto di bambini, storie di fame, di malattie, di miseria morale.
In venti anni, da quando questi rimasugli di stallaggi militari sono stati utilizzati come alloggiamenti provvisori, vi sono passate da 20 a 30 mila persone, la cui vita, quella trascorsa in via Guido Reni o ad Altessano, in via Savigliano, in via Moncrivello o in via Tripoli, in via delle Maddalene o in via della Brocca, preferiscono tacerla, dimenticarla soprattutto.
Attualmente gli alloggiamenti "provvisori" gestiti tutti dall'ECA, sono sei: il Casermone di via Verdi, le Casermette di via Guido Reni e di Altessano, l'ex colonia profilattica di strada Druent 175, via Savigliano 7 ed il nuovo villaggio Anselmetti di via Monte Corno. Ve n'erano altri oltre questi: via Pesaro, corso Tassoni, via Moncrivello, via della Brocca, via Tripoli, via Maddalene, tre altre case cadenti erano a Venaria. Poco per volta sono stati evacuati e demoliti, prima quelli centrali, le baracche che più davano agli occhi, corso Tassoni, via Pesaro, via Tripoli e nell'ultimo anno, per decisione del sindaco, via delle Brocca, via Moncrivello e via delle Maddalene; molti degli evacuati sono andati nel nuovo Villaggio Anselmetti , un quartierino non di lusso ma certamente civile.
Rimangono 811 famiglie in tutto, 3.800 persone circa, per la metà bambini e bambine che non superano i 14 anni. Il nucleo più forte è alle Casermette: 282 famiglie, 1.500 persone, 700 bambini. E' una umanità dolorante - ci dicono - e non di fame. L'ECA assiste totalmente il 40% delle famiglie. Nelle altre ogni mese, ogni giorno, entra qualche reddito, si mangia. Ma qui non è un problema di fame in termini assoluti, è tema di civiltà che deve essere costruita o ricostruita per gente che ha perso ogni speranza nella vita, in quanto responsabilità, partecipazione alla vita comunitaria di quelli che stanno fuori, nelle altre case, nelle fabbriche, negli uffici. Ma è una ricostruzione difficile, impossibile se attuata negli ambienti dove essi vivono, ambienti umanamente, moralmente, psicologicamente paralizzanti e passivi. Ambienti dove si assume una condizione parassitaria, ove tutte le regole normali di vita sono alterate, non si mangia e si compera il televisore, i bambini diventano tubercolotici per la fame e il freddo e i padri acquistano a rate l'automobile.
Alle Casermette l'anno scorso erano stati sistemati i vetri a tutte le finestre. Una settimana dopo erano tutti distrutti. I baraccati dovrebbero pagare un piccolo rimborso spese mensile per luce e acqua ma nessuno o pochissimi hanno mai pagato. Quando gli abitanti delle "case basse" di via Moncrivello sono stati trasferiti nei lindi all'oggetti del Villaggio Anselmetti, in maggioranza il primo mese non hanno voluto pagare l'affitto, tergiversavano , o meglio, è la verità, non erano abituati da anni a pagare l'affitto, erano stati abituati a ricevere tutto dalla mano tesa dell'assistenza materiale. Alla fine del secondo mese, solo poche famiglie sono state morose; ora ne restano appena due sulle 54 che vi abitano. E' bastato cambiare ambiente, togliersi dall'umidità, dalle malattie, dalle cimici e dagli scarafaggi per vedere le cose, i propri diritti ma anche i propri doveri, in una misura umana, nuova per loro, risolutrice per la comunità torinese di un grosso problema sociale.
La decisione del sindaco professor Grosso deve essere vista in questo quadro ed allora ci renderemo conto che si tratta dii una decisione coraggiosa , che supera il concetto paternalistico con ilo quale per due decenni la Città, non solo come Comune ma come comunità di cittadini responsabili di quanto accade tra le nostre mura, ha guardato al fenomeno degli "alloggiamenti provvisori". Concetto paternalistico che ha consentito di bendarci gli occhi su quelli che sono stati e forse sono ancora focolai di delinquenza, di prostituzione, di malattie. Mettiamoci in testa - ci dice una persona che si dedica all'assistenza in questi "campi" - che qui i bambini non vanno a scuola, che le bambine non hanno molto tempo per arrivare vestite di bianco al matrimonio, che i padri trovano con più facilità altre strade che non quella del lavoro e le madri si arrabattano per mantenere i figli, quando li mantengono. Lo sa cosa vuol dire coabitazione? Le cifre ufficiali parlano di 1500 persone alle Casermette, ma sono di più, non può essere fatto un controllo effettivo; di notte diventano un ricettacolo per centinaia di persone senza casa, senza lavoro, senza paese o data di nascita, senza volontà e neppure possibilità di rientrare nella società.
Con le Casermette e gli altri alloggiamenti bisogna fare in fretta. Il sindaco ha assicurato che entro breve tempo si darà il via a quello che può ben essere definito come un piano di risanamento sociale. Bisogna fare in fretta, perché è sempre troppo tardi. Vi son casi e situazioni che non si risoveranno più. Basti un esempio, quello della famiglia di Giuseppe M., che ha avuto la fortuna di essere trasferito in una casa civile; ha moglie e sette figli; la più grandicella è uscita adesso dal sanatorio; gli altri sei, tuitti tra quindici e due anni, sono ricoverati in sanatorio o in preventorio. Forse per Giuseppe M., la "soluzione" è arrivata davvero troppo tardi.
21/01/1966;


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Miletto Enrico 04/09/2013
Pischedda Carlo 04/09/2013
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Come citare questa fonte. "Abbattere le Casermette significa sanare una grande piaga cittadina", «Gazzetta del Popolo», 21 gennaio 1966  in Archivio Istoreto, fondo Miletto Enrico [IT-C00-FD9383]
Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019